Perché i sondaggi non hanno previsto la sconfitta della Le Pen al secondo turno

L’esito delle elezioni francesi ha ribaltato tutti i sondaggi della vigilia. Che cosa ha prodotto questo risultato inatteso? «I rilevamenti demoscopici registrano l’orientamento al voto del momento in cui sono elaborati e non previsioni certe sulle elezioni», dice al CdT Alberto Bitonti, docente di comunicazione politica all’USI di Lugano. Che subito dopo aggiunge: «Molti elettori dei partiti giudicati socialmente poco accettabili o impopolari tendono a non manifestare pubblicamente la propria reale preferenza, esprimendola poi in segreto nelle urne». Inoltre, «le variazioni di affluenza possono stravolgere totalmente e in modo imprevedibile il quadro elettorale». Nel caso francese, «il rischio di avere il Rassemblement National (RN) al governo ha mobilitato elettori che generalmente si astengono».
In realtà, i sondaggi hanno funzionato nel primo ma non nel secondo turno. «La legge elettorale francese mobilita gli elettori con modalità di voto differenti. Al primo turno – dice Bitonti – i cittadini assecondano le proprie preferenze; al secondo, al quale accedono solo i candidati più votati, scelgono invece strategicamente».
Una previsione precisa è quindi impossibile, sostiene il docente luganese. Anche se il campione rappresentativo è costruito in modo ineccepibile. «I sondaggi degli istituti demoscopici più affidabili devono sempre rendere esplicite le proprie scelte metodologiche e avere un numero elevato di rispondenti con una stratificazione e una rappresentatività del campione molto ampie». Nonostante questo, chi fa sondaggi «indica sempre scarti che tengano conto di diverse variabili, perché non si può mai dare una previsione certa». D’altra parte, ripete Bitonti, «un sondaggio fotografa sempre l’attitudine del momento».
I sondaggi, in parte, non hanno funzionato nemmeno in Inghilterra. I laburisti - che pure hanno vinto - erano dati al 40% ma, in realtà, hanno preso alla fine poco più del 33%, addirittura meno voti delle elezioni precedenti. «Quando si analizzano i risultati elettorali bisogna ragionare in termini di voti assoluti e non aggregati, come spesso viene invece fatto – dice ancora Bitonti – In effetti, soprattutto nelle elezioni basate su collegi uninominali, quali sono quelle inglesi o francesi, non bisogna guardare al dato aggregato nazionale, ma ai singoli collegi». Nel caso inglese, dove vige il maggioritario secco, «al candidato vincente basta un voto in più del secondo arrivato per ottenere il seggio. E i voti di chi perde, di viene sconfitto, si disperdono». Questo sicuramente «favorisce la governabilità a scapito della rappresentatività» ma, nello stesso tempo, impedisce di trasformare automaticamente i voti in seggi anche sul piano di previsione.
Un sondaggio efficace, conclude Bitonti, ha bisogno di «un’effettiva rappresentatività del campionamento, cosa che è stata affinata metodologicamente nei decenni». Nel XX secolo, da quando cioè sono nati i sondaggi, «erano presenti distorsioni dovute ai bias (convincimenti, ndr) degli intervistatori, che sovra-rappresentavano alcune categorie, escludendone altre». Successivamente, «la metodologia dei sondaggi è migliorata grazie a molti studi che hanno permesso di identificare questi bias, di non eliminarli, ma di contenerli e di esplicitarli». Ciò ha permesso di produrre risultati scientificamente più fondati. I campioni rappresentativi, oggi, si formano «selezionando un numero quanto più elevato e stratificato di persone, distinguendole per genere, classi sociali, livello di istruzione e altre categorie sociografiche, il che permette di garantire una reale affidabilità della rilevazione».