"Perché la Svizzera è nell'agenda Renzi"

I contatti tra Roma e la Confederazione sui dossier fiscali e sul capitolo dei trasporti
Marco Del Panta Ridolfi.
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
20.02.2016 10:27

Marco Del Panta Ridolfi è il nuovo ambasciatore d'Italia in Svizzera. Nel percorso della sua carriera ci sono state, tra l'altro, la carica di direttore centrale per le politiche migratorie e i visti presso il Ministero italiano degli esteri e quella di responsabile della preparazione della presidenza italiana dell'Unione europea. In questa intervista al Corriere del Ticino, fa il punto sullo stato attuale delle relazioni politiche, economiche, culturali tra Italia e Svizzera, sugli accordi raggiunti e sui dossier ancora aperti. E annuncia che è prevista la visita in Svizzera del premier italiano Matteo Renzi.

Ambasciatore, spesso si è parlato di Svizzera e Italia come di due Paesi che sono vicini e lontani al tempo stesso. Qual è il suo parere sulle relazioni attuali?

«Tra l'Italia e la Svizzera ci sono relazioni strette, che poggiano su basi storiche. C'è stata e c'è un'influenza reciproca anche sul piano culturale. Ora dobbiamo da ogni punto di vista intensificare ulteriormente questi rapporti. A livello politico le relazioni sono già molto buone, credo che occorra però per alcuni aspetti dare ancor maggiore visibilità a queste nostre relazioni, sia sul versante delle istituzioni sia sul versante dei punti di incontro tra esperti e personalità dei due Paesi, utilizzando ambiti adeguati tra cui l'annuale Forum di dialogo, che ha già avuto tre edizioni di successo e che quest'anno conoscerà la sua quarta edizione, che si terrà in Svizzera».

Sul versante economico come vede l'andamento dei rapporti tra i due Paesi?

«I rapporti commerciali ed economici tra Italia e Svizzera sono già fiorenti, l'interscambio è rilevante. Naturalmente occorre operare affinché questi buoni rapporti si possano rafforzare. Dobbiamo ora in particolare gestire insieme questa nuova fase che si è aperta con la firma dell'accordo fiscale tra Roma e Berna e con l'avvio della fine del segreto bancario svizzero per i non residenti e del passaggio allo scambio automatico di informazioni. Credo sia interesse di entrambi i Paesi che anche il capitolo bancario e finanziario possa conoscere un quadro di certezze e di reciproca utilità. Tornando ai rapporti economici più in generale, vorrei anche sottolineare che l'Italia è molto interessata a rafforzare la sua capacità di attrarre capitali e investimenti. E questo è un discorso che può riguardare anche la Svizzera, che è sede di importanti realtà sia industriali sia finanziarie».

Dal punto di vista svizzero però resta aperto un nodo importante, quello dell'accesso al mercato italiano per le banche elvetiche. Su questo ci sono prospettive oppure no?

«L'accesso pieno al mercato italiano dei servizi finanziari da parte delle banche svizzere è uno dei capitoli su cui come previsto Italia e Svizzera intendono consultarsi. La questione come si sa riguarda anche le normative dell'Unione europea in materia. Occorre trovare un punto di incontro che tenga conto delle posizioni dei due Paesi e al tempo stesso delle norme UE. Bisogna proseguire nel dialogo, credo sia possibile trovare un'intesa anche su questo».

Per quel che riguarda i frontalieri, continuano ad esserci riserve e critiche sia sul versante svizzero, e in particolare ticinese, sia su quello italiano. Qual è la sua valutazione?

«Sui frontalieri italiani che lavorano in Svizzera è stato raggiunto un accordo che delinea un nuovo quadro per il futuro. Era previsto che ci sarebbero state critiche, sia in Italia sia in Svizzera. Credo però che l'accordo rimarrà, perché bisogna porre rimedio a una situazione che nel tempo si è fatta insostenibile. L'imposizione fiscale che riguarda i frontalieri deve essere equilibrata, nell'interesse di tutte le parti in causa. I Comuni italiani di frontiera non devono temere di avere meno risorse in futuro. Il Canton Ticino, che ha visto accresciuta la sua competitività non solo ma anche grazie ai frontalieri, non deve temere di essere sommerso. Mi rendo conto dei problemi che il Ticino sta affrontando. Ma non ci sarà un'ondata migratoria dall'Italia, per almeno tre ragioni: i frontalieri sono presenti se c'è una domanda corrispondente; la Lombardia è una delle regioni economiche più forti in Europa e il Jobs Act varato in Italia sta ora dando un contributo all'impiego; il nuovo quadro fiscale, con una maggior quota di imposizione in Italia, appunto darà un nuovo equilibrio».

Sullo sfondo resta, lo sappiamo, il nodo della libera circolazione, su cui ancora non è emerso uno schema di accordo tra Berna e Bruxelles. Come vede questo punto?

«Mi auguro che la Svizzera e l'Unione europea possano trovare insieme una soluzione sulla questione della libera circolazione. L'Italia si sta adoperando per la sua parte, come ponte tra Berna e Bruxelles. Di questa questione hanno tra l'altro recentemente parlato i due ministri degli Esteri, Paolo Gentiloni e Didier Burkhalter, durante l'incontro che hanno avuto il mese scorso a margine del Forum di Davos».

Il capitolo trasporti, con l'AlpTransit elvetico, è importante. In Svizzera ci sono da tempo timori sull'adeguamento nei tempi giusti delle strutture in Italia. Cosa può dire a questo riguardo?

«C'è coscienza dell'importanza del dossier AlpTransit, che è rilevante anche per l'Italia. Si tratta di un collegamento ferroviario che legherà maggiormente il Nord Europa a parti del Mediterraneo, con un ruolo centrale soprattutto per Genova. L'operazione è strategica, i lavori per l'adeguamento della rete in Italia sono in corso, sarà mio compito trasmettere anche i timori e le preoccupazioni che la Svizzera ha. Il Governo italiano, devo dire, è in campo. Il ministro Delrio è stato a Lugano nel dicembre scorso e sarà presente in giugno all'inaugurazione del nuovo tunnel del San Gottardo. E l'evento di questa inaugurazione è nell'agenda del premier Matteo Renzi, che avrà in questo caso la possibilità di nuovi contatti diretti con membri del Consiglio federale e con altre autorità svizzere».

Cultura, università, difesa della lingua italiana. Quando si parla di Svizzera e Italia emergono ovviamente anche questi temi. Come valuta il quadro, cosa realisticamente si può fare su questi versanti?

«La Svizzera è riuscita a generare un livello elevato di benessere anche perché ha investito molto nel capitale umano. L'Italia è interessata ad ampliare la collaborazione sul versante delle università, penso in particolare a maggiori rapporti tra i Politecnici di Zurigo e Losanna e i Politecnici italiani. Ma penso anche al valore che potrebbero avere alcune cattedre in Italia su temi tipicamente svizzeri. Ho prestato servizio come segretario generale dell'Istituto Europeo Universitario, che ha sede a Firenze e ha studenti da tutta Europa, e ho potuto vedere ad esempio l'interesse che ha lì riscosso una cattedra sul federalismo. Quanto alla lingua italiana, il problema è stimolante. Occorre definire una strategia di difesa dell'italiano, con la Svizzera e in particolare con il Canton Ticino. Di questo vorrei parlare durante la mia prossima visita in Ticino. Dovremmo attuare una difesa effettiva, non velleitaria. L'Italia su questo terreno ha ora finanziamenti limitati, ma si possono sfruttare al meglio gli strumenti che già ci sono. Credo che gli insegnamenti di italiano all'estero dovrebbero valere anche per il pubblico locale, sensibile alla valenza culturale della nostra lingua. Penso anche al potenziamento delle sezioni bilingui nelle scuole e nei licei, anche in Svizzera».

* ambasciatore d'Italia in Svizzera