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PFAS, se li conosci (e se puoi), li eviti

Sostanze stabili ma al contempo problematiche per la salute, sono considerate «perenni» e hanno contaminato ambiente e organismi umani - I pesci sono tra le principali fonti di assorbimento
© AP/Grace Ekpu
Paolo Galli
09.09.2025 16:00

Prodotti chimici sintetici utilizzati su larga scala già dagli anni Settanta, con proprietà vantaggiose nei rispettivi processi, ma alquanto cattive in termini di salute: sono gli PFAS e rappresentano un grosso problema per l’ecosistema  e per gli organismi viventi.

Che cosa sono questi famigerati PFAS?

Ci basiamo sulla definizione offerta dall’Ufficio federale dell’ambiente. Le sostanze per- e polifluoroalchiliche, appunto i cosiddetti PFAS, sono «un gruppo di diverse migliaia di prodotti chimici industriali sintetici, utilizzati su larga scala sin dagli anni Settanta del secolo scorso». Numerosi PFAS sono «antimacchia, liporepellenti e idrorepellenti come pure estremamente stabili dal punto di vista termico e chimico. Queste proprietà sono vantaggiose e utili in un gran numero di prodotti e processi», ma i PFAS sono problematici per l’ambiente e la salute.

Perché i PFAS - o le PFAS per qualcuno - vengono definiti «sostanze chimiche perenni»?

Proprio per la loro stabilità, rimangono nell’ambiente per secoli e tendono ad accumularsi negli ecosistemi e negli stessi organismi umani.

Come si disperdono nell’ambiente i PFAS?

Per rispondere, facciamo riferimento allo studio pubblicato lunedì dall’Accademia svizzera delle scienze naturali (SCNAT): «Molte di queste sostanze possono essere trasportate dall’aria o dall’acqua e raggiungere così anche regioni remote. I PFAS sono stati rilevati persino nelle foreste o in siti alpini isolati. Sono inoltre molto diffusi nelle acque sotterranee». In particolare, a essere molto diffuso è l’acido trifluroacetico (TFA), una molecola estremamente piccola e altamente solubile in acqua. In Svizzera, il TFA è stato rilevato nel 99 % dei campioni di acque sotterranee.

E come arrivano ad accumularsi nel corpo umano?

Come spiegato sempre dai ricercatori della SCNAT, molti PFAS si accumulano nell’ambiente e raggiungono così il corpo umano attraverso la catena alimentare. «Circa quattro quinti dell’assorbimento avviene attraverso gli alimenti solidi». I pesci sono particolarmente contaminati: diversi studi condotti in Svizzera hanno evidenziato, «per alcuni PFAS di comprovata tossicità come il PFOS o il PFOA, concentrazioni superiori ai limiti legali per i prodotti alimentari». Per queste sostanze, le principali fonti di assorbimento sono quindi «il pesce e altri prodotti di origine animale». Altri PFAS sembrano penetrare nel corpo soprattutto «attraverso bevande o alimenti di origine vegetale». Inoltre, i PFAS possono essere assorbiti anche «attraverso la polvere domestica o l’uso di prodotti contenenti PFAS». Va sottolineato come le tre sostanze - PFOS, PFOA e PFHxS - siano state rilevate «in tutti i campioni di sangue della popolazione svizzera studiata».

A proposito di pesce, ha preso posizione anche la Federazione svizzera di pesca. Che cosa ha detto?

Che «è urgente agire». La Federazione si aspetta misure concrete da parte delle Camere. Interessante quanto sottolineato dal suo presidente centrale, il «senatore» PS Daniel Jositsch: «Se il pesce, uno degli alimenti più naturali che esistano, può essere consumato solo con cautela, la nostra società ha raggiunto un punto critico». E poi ancora: «Una cosa è chiara: non possiamo eliminare i PFAS dall’oggi al domani con un colpo di bacchetta magica».

Tornando agli organismi viventi. In che modo quindi i PFAS possono influire sulla nostra salute?

Lo illustra bene lo studio della SCNAT, secondo cui «è soprattutto l’esposizione a lungo termine a essere pericolosa» Detta in altre parole, «l’ingestione ripetuta, per diversi anni, di piccole quantità di queste sostanze può causare, a lungo termine, danni». Quali? «Dal 2024, i PFOA sono classificati come cancerogeni per l’uomo e i PFOS come potenzialmente cancerogeni. Inoltre, gli studi dimostrano che entrambe queste sostanze sono correlate a livelli più elevati di colesterolo e alterazioni epatiche». Per altri PFAS, la correlazione è stata finora meno documentata, ma sono stati descritti effetti simili. Il già citato TFA è ad esempio classificato come «pericoloso per la riproduzione dall’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi».

Sono state stabilite quote massime di tolleranza?

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha stabilito, per la somma di quattro PFAS (PFOS, PFOA, PFHxS, PFNA), una dose settimanale tollerabile di 4,4 nanogrammi per chilo di peso corporeo alla settimana. Sempre la SCNAT evidenzia: «Se tale quantità viene superata per un periodo prolungato, ad esempio nel caso delle madri che allattano, ciò può alterare la risposta immunitaria dei neonati. Ciò significa che i bambini di madri con elevate quantità di PFAS nell’organismo potrebbero sviluppare meno anticorpi rispetto a quelli di madri con basse concentrazioni di PFAS nell’organismo». I dati del biomonitoraggio in Svizzera mostrano che le concentrazioni di PFAS nel sangue del 41% delle donne in età fertile superano la soglia fissata dalla stessa Autorità per un possibile rischio di risposta immunitaria ridotta nei neonati.

In Ticino, qual è la concentrazione di PFAS?

Il DT ha pubblicato un rapporto specifico lo scorso mese di giugno, il quale evidenzia «una contaminazione ubiquitaria e diffusa di PFAS, così come anche situazioni puntuali problematiche». Si citano a tal proposito «il noto inquinamento della falda che alimenta il pozzo Prà Tiro a Chiasso» o «l’inquinamento dovuto al dilavamento di PFBA da materiali di costruzione della galleria di base ferroviaria del Ceneri». Sono anche emerse «contaminazioni o situazioni puntuali con residui oltre i livelli di sottofondo, per esempio elevati residui di PFAS in determinati suoli agricoli, con tutta probabilità riconducibili all’impiego nel passato di fanghi di depurazione quali concimi. Tuttavia, le derrate alimentari prodotte su questi sedimi sono risultate esenti da tracce eccessive e conformi alla legislazione».

Come eliminare i PFAS in maniera sostenibile?

Come risultato del suo rapporto, curato da ricercatori di Politecnici e atenei svizzeri, la SCNAT sottolinea: «Con un pacchetto di misure attuate nell’arco di diversi anni, o addirittura decenni, l’inquinamento causato dai PFAS potrebbe essere ridotto», ma servirebbe un lavoro congiunto tra politica, economia e scienza. A breve termine, i PFAS vengono sostituiti laddove non sono necessari, ma andrebbe accelerato lo sviluppo delle alternative. A medio termine, si tratta di bonificare i siti particolarmente contaminati e di commercializzare alternative più sicure. A lungo termine, infine, viene suggerito, i PFAS saranno sostituiti in tutti gli usi possibili. Insomma, un’eliminazione graduale.

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