La guerra in Medio Oriente

Piano di pace, ultimatum di Trump ad Hamas ma Doha frena: «Serve tempo»

Il presidente degli Stati Uniti dà «tre o quattro giorni di tempo» ai miliziani palestinesi per dire sì ai 20 punti del suo documento - Il primo ministro del Qatar, Mohammed Al Thani, parla tuttavia di «alcune questioni che richiedono chiarimenti, in particolare riguardo al ritiro israeliano da Gaza»
Il presidente degli Stati Uniti e il primo ministro israeliano durante l’incontro con la stampa di lunedì scorso alla Casa Bianca. ©Andrew Leyden
Dario Campione
30.09.2025 20:31

Hamas ha «tre o quattro giorni» per rispondere al piano su Gaza. «Se non dirà sì, dovrà affrontarne le conseguenze. Sarà una fine molto triste ed espierà all’inferno». Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha lanciato oggi un ultimatum senza condizioni ai miliziani palestinesi in guerra con Israele. I 20 punti del testo diffuso lunedì non sono trattabili. Non c’è spazio per i negoziati. Prendere o lasciare. Con tutto ciò che ne deriva.

Com’è noto, la proposta della Casa Bianca prevede il disarmo di Hamas e la sua esclusione da qualsiasi futuro ruolo politico a Gaza. Chiede anche all’organizzazione islamista di rilasciare, entro 72 ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, i 48 ostaggi israeliani tuttora tenuti prigionieri nella Striscia (metà dei quali, almeno, dovrebbe essere in vita). In cambio, offre il ritiro graduale delle forze militari israeliane in una zona cuscinetto lungo il perimetro e l’aumento degli aiuti umanitari di cui hanno disperatamente bisogno gli abitanti della Striscia. Promette pure il rilascio, da parte di Israele, di oltre un migliaio di prigionieri palestinesi, molti dei quali detenuti all’ergastolo.

Quale sarà la risposta di Hamas diventa, a questo punto, il vero, grande interrogativo. Un alto dirigente della milizia ha detto in serata all’Associated Press che, dopo aver ricevuto la proposta dai due mediatori in Medio Oriente - Egitto e Qatar -, i leader del gruppo terranno discussioni interne e colloqui con le altre fazioni palestinesi prima di rispondere alla proposta di Trump. Nessuna indicazione è stata data sui tempi.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, che ha battuto per primo la notizia oggi dopo le 19, il primo ministro del Qatar, Mohammed Al Thani, ha dichiarato che alcuni punti del piano di cessate il fuoco «richiedono chiarimenti e discussioni, in particolare per quanto riguarda il ritiro israeliano dalla Striscia». Al Thani ha aggiunto che i Paesi arabi e musulmani «stanno facendo sforzi per garantire che i palestinesi rimangano sulla loro terra e stanno spingendo per una soluzione a due Stati».

Posizioni inconciliabili

Le parole del primo ministro qatariota confermano i molti dubbi che analisti e osservatori internazionali hanno sollevato sin dalla prima lettura del piano di Trump. Dubbi rafforzati dalle parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Subito dopo aver annunciato alla Casa Bianca il sostegno alla proposta di cessate il fuoco di Trump, infatti, Netanyahu ha pubblicato su Instagram un video in ebraico - rivolto quindi ai cittadini del suo Paese - per ribadire che l’esercito israeliano non lascerà Gaza e che il suo Governo «non accetterà mai uno Stato palestinese», nonostante tra i 20 punti USA sia indicato anche un «percorso credibile verso l’autodeterminazione e la sovranità dei palestinesi».

In un’intervista al Washington Post, il politologo dell’Università ebraica di Gerusalemme, Gayil Talshir, ha spiegato i motivi per cui la riluttanza di Netanyahu a ritirare completamente le sue truppe o a far posto a uno Stato palestinese unificato, combinata con la riluttanza di Hamas a disarmare, potrebbe portare a un accordo fragile. «C’è un sacco di zona grigia nell’intesa, ed è così che Netanyahu la voleva - ha detto Talshir - in questo modo, può dire alla destra che non si ritirerà mai, e può dimostrare che è Hamas a dire no all’accordo, motivo per cui la guerra può continuare».

Fonti palestinesi citate dal New York Times hanno confermato questa sera che convincere Hamas ad accettare l’accordo «sarà un processo difficile e lungo. L’Autorità Nazionale Palestinese è stata esclusa dalla proposta di Trump, pesantemente modellata da Israele». Un’altra fonte palestinese, vicina alla leadership di Hamas, ha aggiunto che «la rinuncia alle armi è il punto cruciale di quello che è, attualmente, un dibattito duro e difficile».

Sempre oggi, in una dichiarazione congiunta, otto Paesi arabi e musulmani - Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Qatar, Giordania, Turchia, Pakistan e Indonesia - hanno elogiato il piano di Trump mettendo in evidenza che esso «impedirà lo sfollamento del popolo palestinese da Gaza, promuoverà una pace globale israelo-palestinese e impedirà l’annessione della Cisgiordania», destinata a diventare, dopo l’integrazione con Gaza, «lo Stato palestinese». Aspettative che contrastano, in modo inconciliabile, con le posizioni della destra oltranzista di Israele.

Intervistato dalla Reuters, Sadeq Abu Amer, direttore del think tank turco Palestinian Dialogue Group, ha detto che la proposta di Trump pone Hamas di fronte a una scelta difficile. La proposta, a prima vista, soddisfa le principali richieste dei miliziani, ma stabilisce pure «che Hamas non sarà presente il giorno dopo la guerra», oltre alla «tutela internazionale sulla Striscia di Gaza, la sua separazione dalla Cisgiordania e il congelamento del percorso di una soluzione a due Stati. Dato l’equilibrio di potere sul campo e la pressione dei suoi alleati regionali, è probabile che Hamas «prenderà il veleno e accetterà», ha aggiunto Abu Amer.

La posizione della Svizzera

Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha salutato oggi con favore la proposta degli Stati Uniti per porre fine alla guerra a Gaza e aprire prospettive per una pace duratura. Lo ha scritto il DFAE sul suo account di X. Nel post si legge che la Svizzera sosterrà qualsiasi iniziativa basata sul diritto internazionale, che garantisca la protezione della popolazione civile, la liberazione di tutti gli ostaggi, che assicuri l’accesso agli aiuti umanitari e che ponga le fondamenta per una pace duratura fondata sulla soluzione a due Stati.