Piccole cose che accendono il cervello

Francesca Rigotti: la filosofia non nasce sempre ragionando sui massimi sistemi
Red. Online
08.05.2013 05:10

Oggi scriviamo di piccole cose – del ferro da stiro, dello scolapasta e della polvere, tanto per intenderci – perché delle grandi si parla in continuazione. Personaggi leggendari che se ne vanno. Gesti clamorosi, tipo le dimissioni di un Papa. Problemi di ampio respiro: inquinamento, crimine organizzato e prostituzione. Poi ci sono le guerre, le stragi, la fame nel mondo, l?ingovernabilità e potremo continuare all?infinito. Scriviamo di piccole cose perché forse tanto piccole non sono. Gli oggetti che abitano i nostri spazi, come vedremo, condizionano le nostre azioni e i nostri pensieri. Lo spunto ci viene da un libro di recente pubblicazione, «La nuova filosofia delle piccole cose» (ed. Intelinea), di Francesca Rigotti (l?autrice incontrerà i lettori sabato 18 maggio al Salone internazionale del libro di Torino). Nella pagina accanto proseguiremo il ragionamento chiedendoci di quante «piccole cose» abbiamo bisogno per vivere decentemente. Individueremo cioè i «basic need», o bisogni umani minimi, fissati abbastanza precisamente anche per il Ticino (in termini di soldi il «minimo vitale» nel Cantone ammonta a 2.378 fr. al mese a testa).Francesca Rigotti, che rapporto ha la nostra società con gli oggetti? «Schizofrenico. Il rapporto che la nostra società opulenta (fino a quando?) ha con gli oggetti è decisamente dissociato. Da una parte siamo circondati da quantità incredibili di oggetti spesso di scarsa qualità e valore, inutile ciarpame che acquistiamo senza sapere poi che farne e dove metterlo, finendo per incrementare soltanto lo smaltimento dei rifiuti. Dall?altra però abbiamo in mano una cosa sola, l?oggetto unico, il computer (che è anche banca-telefono-biblioteca-edicola-orario ferroviario-bussola-macchina fotografica ecc.), come se ci interessasse esclusivamente la realtà virtuale, o per meglio dire la rappresentazione virtuale della realtà. Basta metterlo in tasca – non serve nemmeno la valigia – e via, si parte leggerissimi». Insomma, tendiamo a sguazzare tra oggetti virtuali trascurando quelli reali. Il suo libro, in questo senso, può aiutarci a recuperare il significato delle piccole cose che ci circondano. Ma dove ci porta la riflessione filosofica sul ferro da stiro, lo scolapasta, la polvere, ecc.? «Esercitare lo sguardo filosofico sulle cose, magari proprio le piccole cose, porta lontano. Un rapporto sano con un quantitativo limitato di cose può fornire un legame prezioso con la realtà, collegandoci al concreto, alla materialità, alla finitezza, al limite. Parlo di esercizio del pensiero filosofico in senso quasi letterale, già che in fondo la filosofia è una specie di attività artigianale che si impara anch?essa con l?esercizio. È un po? come fare le scale al pianoforte: do re mi fa sol, su e giù. Muovi la mente, suona il pensiero, cogita (cogitare significa «agitare insieme», quasi «muovere con le mani della mente»). Abituati a riflettere e ad argomentare sugli eventi e sulle cose, magari partendo proprio dalle piccole cose della vita quotidiana, ognuno quelle che gli/le capitano sotto gli occhi e le mani». A quale tra gli oggetti proposti nel libro (o della sua vita) si sente più «affezionata»? Perché? «Da quando ho riflettuto e scritto sullo scolapasta – da non molto quindi – mi sono affezionata a questo oggetto diventato per me cosa, per riprendere la definizione di Remo Bodei, che sostiene che gli oggetti si trasformano in cose quando instauriamo con essi una relazione, affettiva e conoscitiva. Ne ho trovato uno bellissimo al mercatino dell?usato, di alluminio, coi manici di bachelite e i buchi raccolti insieme a forma di rosette, come quello della copertina del libro. Me lo rigiro tra le mani, ammiro la forma estetica e la funzionalità pratica, rivivo le cose ho scritto e quasi mi dimentico di scolare la pasta».