Il caso

Piove in Groenlandia, e non è un film di Hollywood

Il 14 agosto scorso una pioggia battente è caduta a Summit Camp, sul punto più alto della calotta glaciale – Con il dottor Martin Stendel del Danis Meteorological Institute cerchiamo di capire come mai eventi un tempo considerati rari stanno diventando sempre più frequenti: «La soluzione? Smettere di emettere gas serra»
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Marcello Pelizzari
07.09.2021 06:00

Lassù c’è una sola costante. Il freddo. Non ti abbandona mai. Le temperature medie sono una sentenza: -43 gradi a gennaio, -13 a luglio quando (in teoria) esplode l’estate. Summit Camp è una stazione di ricerca estrema. Si trova in Groenlandia. Sul punto più alto della calotta glaciale, a 3.216 metri sul livello del mare. Fu inaugurata nel 1989, nell’ambito del progetto Greenland Ice Sheet Two. L’obiettivo? Perforare il ghiaccio e ottenere una «carota» lunga tremila metri. Una sorta di memoria storica contenente i dati climatici degli ultimi duecentomila anni. Già, per chi non lo sapesse il ghiaccio – quel ghiaccio perlomeno – parla di noi. Vi si trovano tracce relative a temperatura, composizione dell’aria, radiazione solare ed eventi straordinari come eruzioni vulcaniche. È tutto lì, basta appunto scavare e, poi, saper leggere.

La memoria, spiegano gli esperti, è la chiave per comprendere il presente. E per disegnare il futuro, minacciato dal surriscaldamento globale e dai conseguenti cambiamenti climatici. Curiosamente, proprio in quell’angolo remoto e così inospitale si è verificato un evento raro. Anzi, rarissimo. Il 14 agosto scorso, dal cielo, sono cadute gocce di pioggia. Avete capito bene. Pioggia. A ottocento chilometri a nord del circolo polare artico. Di più, non si è trattato di qualche goccia. Ma di pioggia battente. La comunità scientifica ha subito lanciato l’allarme. La notizia ha fatto il giro del mondo. Arrivando, va da sé, anche alle nostre latitudini. E spingendoci a interrogare uno dei massimi esperti del settore: il dottor Martin Stendel, scienziato del clima presso il Danish Meteorological Institute. Una Locarno Monti scandinava, volendo sintetizzare. La Groenlandia gli sta a cuore, non soltanto perché parliamo di un territorio autonomo danese. Ma perché rappresenta una chiave per raccontare il presente e agire sul domani. Nella speranza, va da sé, di essere ancora in tempo.

Un luogo remoto

Summit Camp, dicevamo, esiste da poco tempo. Lo stesso, evidentemente, vale per le misurazioni dirette. Si tratta, inoltre, di un luogo «molto remoto» come sottolinea il nostro interlocutore. «Parliamo di una stazione situata a 3.216 metri sopra il livello del mare e con una temperatura media annuale di -30 gradi centigradi. Sì, solitamente fa molto freddo». La pioggia, però, lascia delle tracce. «Succede quando l’acqua, una volta caduta, si ricongela» prosegue il dottor Stendel. «È qualcosa che possiamo vedere anche in una carota. Non solo, la neve estiva e quella invernale hanno un aspetto differente. Per cui è possibile contare le stagioni e gli anni e, di conseguenza, risalire all’anno esatto in cui si è verificato un evento raro come la pioggia. Negli ultimi duemila anni, beh, è piovuto solamente nove volte: nel 2021, nel 2019 e nel 2012, prima ancora nel 1889, nel 1094, nel 992, nel 758, nel 753 e nel 244. La temperatura più calda osservata in quella stazione, per contro, è del 12 luglio 2012: 2,2 gradi». La pioggia battente dell’agosto scorso, fra le altre cose, ha rischiato di far crollare gli edifici della stazione. «Siccome la pioggia è qualcosa di estremamente raro a quelle latitudini – prosegue Stendel – gli edifici non sono stati progettati per sopportare l’acqua. Il rischio di crolli, insomma, era elevato ma per fortuna non è successo niente».

Ma è raro o frequente?

Gli eventi rari, allargando il campo, stanno diventando sempre più frequenti. Lo abbiamo visto con le alluvioni in Germania e in Belgio, ma anche in Ticino. Il cambiamento climatico, insomma, sta modificando le nostre certezze. Tant’è che le filastrocche sulle stagioni cominciano a invecchiare. E pure male. «Se non ci fosse di mezzo il surriscaldamento globale un evento come la pioggia a Summit Camp sarebbe impossibile o, come dicevamo, estremamente raro. L’aria calda può sopportare una quantità maggiore di vapore acqueo rispetto all’aria fredda. Quindi, con l’aumento delle temperature aumenta altresì la probabilità di eventi come quello del 14 agosto e aumenta, di conseguenza, la quantità di pioggia attesa».

A provocare la pioggia, indicano i climatologi, sarebbero state anche alcune correnti atmosferiche impazzite. Correnti che si comportano in maniera anomala proprio a causa dei cambiamenti in atto. «Non parlerei di correnti atmosferiche impazzite – chiarisce Stendel – ma è vero che il flusso atmosferico quest’anno si è comportato in maniera piuttosto anormale. Il punto cruciale, direi, non è tanto che l’aria calda possa arrivare fino a Summit Camp: è un fatto che, di tanto in tanto, può capitare. Il punto, semmai, è che fosse talmente calda da provocare la pioggia e non la neve».

Un vecchio adagio recita: ogni disaster movie comincia con il governo che ignora uno scienziato. Poi, va da sé, i film di Hollywood sono solo questo: dei film

Sembra un film

L’accostamento, vista la serietà del momento, potrebbe sembrare inopportuno. E stupido. I film catastrofici hollywoodiani, tuttavia, hanno spesso dipinto un mondo sull’orlo del collasso. Provocando ilarità e un senso di irrealtà nello spettatore. Della serie: ma figurati se succede davvero una cosa simile. Spoiler: sta succedendo, più o meno. «In realtà è un buon accostamento» sottolinea il dottor Stendel. «Un vecchio adagio recita: ogni disaster movie comincia con il governo che ignora uno scienziato. Poi, va da sé, i film di Hollywood sono solo questo: dei film. Ma contengono un po’ di verità, perlomeno nella premessa. In altre parole, se è vero che il mondo non è in pericolo come certe pellicole vorrebbero farci credere è altrettanto vero che stiamo affrontando una situazione molto seria: anche i più piccoli cambiamenti sul fronte del clima potrebbero avere un impatto importante».

La buona notizia è che l’uomo può ancora intervenire. «A patto di ridurre, anzi annullare le emissioni di gas serra» afferma Stendel. «Ogni singola tonnellata di gas serra contribuisce a surriscaldare il pianeta. Perciò se non vogliamo superare i limiti, fissati dalla politica, è bene agire». Il rapporto dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, è categorico: se limiteremo le emissioni di CO2 a 400 tonnellate, allora avremo una possibilità (il 66%) di contenere l’aumento della temperatura media della terra (1,5 gradi o meno). «Attualmente, le emissioni annuali di gas serra nell’atmosfera dovute all’attività umana sono di poco superiori ai 40 miliardi di tonnellate. E questo dato aumenta, seppur di poco, anno dopo anno. Di conseguenza, per rimanere al di sotto di un aumento contenuto, pari a 1,5 gradi centigradi, restano meno di dieci anni. Mentre ne avremmo poco più di venticinque per limitare l’aumento a 2 gradi. Ma attenzione: dopo dieci o venticinque anni le emissioni di CO2 devono essere pari a zero, altrimenti sarebbe tutto inutile».

L’innalzamento dei mari

Il futuro, oggi, assomiglia a un’ipotesi. Anche perché il surriscaldamento globale ha un impatto devastante sull’innalzamento dei mari. Un domani, soprattutto, oltre ai profughi di guerra – o, meglio, assieme ai profughi di guerra – potrebbero esserci sempre più profughi climatici. Persone, cioè, che fuggono da tensioni e problematiche legate a fenomeni quali il citato innalzamento dei mari o la desertificazione. «Il solo scioglimento di una parte della calotta glaciale della Groenlandia ha contribuito all’aumento del livello del mare di un centimetro negli ultimi vent’anni» sottolinea Stendel. «Si tratta di un processo comunque molto lento: il livello del mare potrebbe aumentare di un metro entro la fine del secolo, principalmente a causa dell’espansione termica. L’acqua calda, infatti, occupa più spazio di quella fredda. Tuttavia, andando un po’ più in là, non si possono escludere a priori aumenti del livello del mare più marcati. Se tutti i ghiacciai della Groenlandia si sciogliessero (ma per i prossimi cinquemila anni possiamo stare tranquilli) il livello si alzerebbe di cinque metri. Paesi ricchi come la Danimarca hanno abbastanza tempo per reagire e, se del caso, costruire dighe o sistemi simili. Paesi poveri come ad esempio il Bangladesh avrebbero oggettivamente più problemi. Quindi, in futuro non sarei sorpreso di vedere sempre più rifugiati climatici in Europa».

La chiusura, per certi versi, è ancora cinematografica. La scienza ha suonato l’allarme tempo fa. Perché è stata a lungo ignorata o, nelle ipotesi migliori, ascoltata in ritardo? «Non posso rispondere a questa domanda» chiosa il nostro interlocutore. «La scienza deve essere neutrale, quindi possiamo solo aiutare i politici a trovare le risposte giuste. Volendo avere un approccio più filosofico, posso dire che le persone tendono a sottovalutare la gravità delle sfide future. Soprattutto se faticano a intravederle nel presente. L’opinione pubblica sta cambiando, seppur lentamente, poiché la gente si è accorta che il cosiddetto domani non è così lontano come molti credevano».