Profughi: primi ritorni in patria, ma c’è anche chi trova lavoro qui

Il flusso di profughi in arrivo dall’Ucraina si è attenuato. E qualcuno, complice lo stallo delle operazioni militari, ha già fatto ritorno a casa. «Attualmente, in Ticino si trovano 2.850 persone con statuto S. In Svizzera arrivano in media poche centinaia di profughi al giorno. In netto calo rispetto alle 1.000-2.000 persone che entravano nel nostro Paese tra marzo e aprile», spiega Renzo Zanini, capo Ufficio dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati del Canton Ticino. «Da noi, si viaggia a un ritmo di 5 attribuzioni quotidiane». Numeri molto bassi. Anche perché, nella primissima fase dell’emergenza, il Ticino aveva accolto molte più persone di quanto previsto dalla chiave di riparto.
Passata la fase più acuta della guerra, poi, qualcuno ha già deciso di tornare in Ucraina. «Per ora, abbiamo registrato 40 partenze definitive. Persone che hanno deciso di rientrare in patria e di rinunciare allo statuto S», conferma Zanini. Nei prossimi mesi, forse, altri decideranno di fare lo stesso. «Ma è molto difficile fare stime, anche perché dipenderà tutto dall’evoluzione del conflitto».
Lingua e integrazione
Per chi invece rimane in Ticino, la priorità è l’integrazione. «A inizio giugno sono stati aperti gli sportelli regionali che si occupano di fornire consulenza e, in base alle esigenze, di iscrivere i profughi ai corsi di lingue e socializzazione. Il riscontro, finora, è molto positivo». Per i più piccoli, invece, lunedì è partito il progetto «Lingua e sport» e le adesioni sono numerose. L’obiettivo principale, al momento, è garantire l’apprendimento della lingua. E poi c’è la ricerca di un’occupazione. «I datori di lavoro, prima di assumere, devono chiedere l’autorizzazione all’Ufficio della migrazione, che si occupa di verificare, nella tutela del profugo, che siano rispettate tutte le condizioni contrattuali. Finora, sono state rilasciate 81 autorizzazioni», sottolinea Zanini. I settori in cui sono stati assunti gli ucraini sono principalmente tre: il ramo dell’estetica (parrucchiere, estetiste), quello della ristorazione e quello delle pulizie.
Figli e lavoro
La maggior parte delle persone fuggite dalla guerra sono donne e bambini. «In Ticino, il 36% sono minorenni, tra cui molti bambini piccoli. Solo il 56% ha tra i 18 e i 64 anni, quindi solamente una persona su due potrebbe lavorare». Inoltre, le donne rappresentano il 68%: si trovano qui da sole e devono badare ai propri figli, spesso piccoli. «Trovare lavoro, per loro, non è così semplice. Nei prossimi mesi, quindi, lavoreremo sia per proporre misure che permettano una migliore conciliabilità lavoro-famiglia, sia per attivare corsi che facilitino la ricerca di un lavoro».
Il 50% abita nel Luganese
Nel frattempo, prosegue il passaggio dai centri regionali agli appartamenti sul territorio. «Nei centri si trovano ancora oltre 200 persone, ma la maggior parte dei profughi ha già trovato una sistemazione sul territorio. Circa 400 persone sono alloggiate negli appartamenti attributi dal Cantone, mentre 2.200 si trovano negli alloggi messi a disposizione dai privati. Alcuni in abitazioni condivise, altri invece in alloggi individuali». Un profugo su due ha trovato casa nel Luganese. Il 22%, invece, vive nel Mendrisiotto, il 16% nel Belllinzonese e il 12% nel Locarnese. «Ma la concentrazione nel Luganese non ci preoccupa, del resto è un dato che riflette anche la distribuzione della popolazione ticinese. Tuttavia, rimane fondamentale monitorare la distribuzione dei profughi, in modo da poter adattare i servizi e, soprattutto, per evitare di mettere sotto pressione le sedi scolastiche». Dopo una prima fase di rodaggio, la macchina organizzativa funziona bene, dice Zanini. «Negli ultimi tempi, però, oltre 250 persone sono dovute entrate nel circuito di accoglienza cantonale, dopo essere state alloggiate dai privati. Forse perché la soluzione trovata non era più idonea, o magari la convivenza si è rivelata più faticosa del previsto. Può succedere, il dispositivo cantonale è in ogni caso in grado di garantire l’alloggio anche in questi casi».
C’è chi non chiede i sussidi
Nel frattempo, dopo la prima erogazione, è già partito il rinnovo delle prestazioni per il sostentamento. I forfait, lo ricordiamo, sono stati fissati in questo modo: 500 franchi al mese per una persona singola, 750 per i coniugi, 317 franchi di supplemento per un figlio minorenne (e 268 franchi dal secondo figlio in poi). Per i figli maggiorenni, invece, la cifra stabilita è di 500 franchi. «La domanda di rinnovo - chiarisce Zanini - deve essere sempre depositata fisicamente, presentandosi agli sportelli di Bellinzona. Ciò significa che incontriamo mensilmente tutti coloro che beneficiano delle prestazioni: facciamo un colloquio e valutiamo la situazione generale, in modo da poter reagire in caso di bisogni particolari». Ogni mese, le prestazioni vengono pagate a 2.200 persone. Complessivamente, invece, ne hanno beneficiato oltre 2.600 persone. «Bisogna calcolare che le 200 persone nei centri regionali ricevono già vitto e alloggio. Altri 200 rifugiati, invece, non hanno mai richiesto le prestazioni, perché sono economicamente indipendenti». Ma come evitare possibili abusi? «Facciamo tutte le verifiche possibili per accertarci che chi chiede il contributo per il sostentamento risieda in Ticino. Incontriamo tutti i mesi i rifugiati, prestiamo attenzione anche a eventuali segnalazioni e, in caso di incongruenze, avviamo la procedura di verifica. Finora, non abbiamo riscontrato abusi, mentre è capitato di negare la prestazione a chi non ne aveva diritto».