«Putin non accetta che gli ucraini possano avere una loro identità»

n un mondo violento dove la guerra impone un’agenda quotidiana di dolori e privazioni, Non c’è posto per l’amore, anche se Debora Rosenbaum, protagonista di questo intenso romanzo del giornalista e scrittore di origine ucraina Yaroslav Trofimov, reagisce con coraggio a ogni tipo di avversità.
Un romanzo che si ambienta nel bolscevismo di Kharkiv, nell’Ucraina del 1930. Uno spunto per parlare anche dell’Ucraina di oggi con l’autore.
Di cosa si parla nel romanzo?
«È un romanzo sul periodo più buio e tragico del ventesimo secolo per l’Ucraina in cui era quasi impossibile sopravvivere mantenendo la propria integrità. Però Debora è giustificabile perché fa tutto per amore del marito e dei figli, e le bugie che racconta le dice per salvare l’amore. Un amore che c’è nonostante il disastro esistenziale che gli grava addosso».
In che cosa consiste l’istinto politico di Debora?
«Consiste nell’accettare tutto e poi adattarlo alle sue esigenze. Perché lei, anche se non sa cosa succede veramente, ha capito che deve reinventarsi. Sua madre Rebecca che ha vissuto nel mondo pre- comunista con vacanze in Europa, non può accettare i nuovi avvenimenti e non si meraviglia quando in un passaggio fondamentale del romanzo Debora le dice: “Mamma ho capito che in questo mondo per andare avanti bisogna essere cattivi.” E diventa cattiva, compie delle cose inaccettabili, sprofonda e risorge, lusinga e infierisce».
Nel corso del romanzo Debora diventa anche arrivista, subdola: una trasformazione necessaria?
«Il cambiamento intimo (mi sono ispirato alla storia vera della mia bisnonna) la trasforma in una turbolenza fisica e intellettuale necessaria per raggiungere le sponde di un mondo nuovo. Benché provenga da una famiglia benestante, deve adeguarsi al mondo comunista con un ordine sociale rovesciato. Debora, crede nel futuro radioso di una grande opportunità, ma quando arriva a Kiev dove sono in costruzione grandi opere, si schianta contro il tritacarne della storia».
Attraverso la vita di Debora lei racconta l’Ucraina affamata da Stalin e poi devastata dai nazisti: un olocausto senza fine si potrebbe dire?
«Tra le vittime dell’Olocausto ci fu anche il padre della mia bisnonna, il cui fratello era morto combattendo i nazisti. Le due tragedie si sono intrecciate in Ucraina, un paese distrutto allora da Stalin e da Hitler, e oggi da Putin. È un paese senza pace. La disastrosa carestia nel 1932 e ‘33 non fu causata solo dalla collettivizzazione delle terre voluta da Stalin, ma soprattutto dalla confisca di tutti i beni alimentari ai contadini. Durante la guerra civile che seguì alla rivoluzione bolscevica, i contadini ucraini, che rappresentavano una classe conservatrice e anticomunista, non vollero mai sottoporsi al nuovo potere e si difesero eroicamente dalle armate di Lenin. Il loro coraggio si oppose anche alla collettivizzazione: buona parte di loro si rifiutarono di cedere il grano, nascosero tutti gli alimenti che avevano, e uccisero il bestiame perché i bolscevichi non lo sequestrassero».
Quali furono le conseguenze?
«Il Politburo considerò questo atteggiamento ostile un atto di ribellione e fece setacciare le campagne dagli attivisti locali del partito, per requisire tutto quello che trovavano. Allo stesso tempo crearono una stretta sorveglianza attorno al territorio ucraino per impedire la fuga dei ribelli. Il dittatore, temendo dissensi, in particolare legati all’idea di una Ucraina indipendente, minaccia reale per l’Unione Sovietica, condannò gli ucraini alla morte per fame con l’intento di “spezzare la schiena alla classe contadina “. Morirono a milioni».
I russi odiano da tanto gli ucraini?
«L’odio è un condimento che inasprisce la loro vita e che gli ucraini ricevono dei russi dal tempo degli zar. Durante la rivoluzione d’ottobre passarono i Rossi, uccisero il prete e stuprarono le suore; poi fu la volta dei Bianchi che hanno impiccato gli ebrei. Poi gli anarchici. Tutti hanno ammazzato, come se amassero l’odore del sangue. E ora Putin, il quale non accetta che gli ucraini abbiano un’identità separata da quella dei russi».
Un vecchio confronto che Putin ha esasperato con la guerra?
«Putin nel 2021 prima dell’invasione dell’Ucraina, pretendeva il rientro dei confini Nato stabiliti da tempo. L’Europa si era allargata troppo. Ma la Russia non è potente come Putin immaginava e la guerra sta andando per le lunghe, anche se canta vittoria ogni giorno. Se l’Ucraina un giorno dovesse crollare, Putin potrà arruolare milioni di ucraini per mandarli a combattere alla conquista di altre terre. E chissà dove arriveranno: Varsavia, Berlino, Parigi?».
Come e quando pensa finirà la guerra in Ucraina?
«Io penso che il conflitto con la Russia finirà soltanto quando il popolo si convincerà che l’Ucraina è un paese indipendente che non fa parte della Russia; oppure con un grande cambiamento nel sistema politico russo, cosa al momento che sembra molto difficile. Detto questo non credo che la pace tornerà tanto presto. Putin non vuole un pezzo dell’Ucraina: la vuole tutta».
Ma ora che tanti stati europei cominciano a tentennare per gli aiuti e l’America sembra interessata solo ad Israele, non pensa che per l’Ucraina sia vicino il momento della sconfitta?
«L’America è lontana, e se l’Ucraina diventa russa agli Stati Uniti non interessa. Ci saranno però ripercussioni postume in Europa e questo sarà un guaio serio. L’Ucraina non è lontana dall’Europa e da quattro anni sono gli ucraini che combattono e fanno da scudo all’Europa. E se l’Ucraina cade, a combattere saranno anche gli altri europei perché Putin non si ferma. E prova ad isolare l’Ucraina. I droni sulla Polonia, i suoi aerei in spazi altrui, sono minacce per far fare marcia indietro a chi l’aiuta».