Lavoro

Quale effetto avrà la marcia indietro di Meta sulla diversità per le aziende svizzere?

Gli esperti che si occupano della questione sottolineano come nel nostro Paese ci sia una mentalità diversa rispetto agli Stati Uniti – Questa, tuttavia, non è per forza una cosa positiva
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Red. Online
25.01.2025 09:30

Quale effetto avrà sulle aziende svizzere la marcia indietro di Meta sulla diversità? La domanda è più che legittima visto quanto accaduto negli ultimi giorni negli Stati Uniti. Spesso, infatti, le tendenze che si sviluppano oltreoceano attecchiscono anche in Europa, Svizzera compresa. Ora, martedì scorso il presidente americano Donald Trump ha sospeso i dipendenti dei programmi di diversità dell’amministrazione mettendoli in congedo forzato. E dopo Ford e Harley-Davidson che nel 2024 hanno deciso di rivedere alcuni principi legati alla diversità, anche il fondatore di Meta, Mark Zuckerberg, ha annunciato a inizio gennaio alcuni cambiamenti in questo senso per i (futuri) dipendenti. Nel dettaglio, Zuckerberg abbandonerà l'approccio «Diverse Slate» che consiste nell'assicurarsi che la lista dei candidati per un posto di lavoro comprenda un ventaglio di profili adeguatamente variato, soprattutto in termini di genere, origine etnica ed età. Il colosso dei social ha pure abbandonato i suoi obiettivi riguardanti la rappresentatività femminile e le minoranze etniche. La società, inoltre, non avrà più team dedicati appositamente alle questioni legate alla diversità, all'equità e all'inclusione.

La mentalità svizzera è diversa

Se negli Stati Uniti si sta quindi verificando un passo indietro sulla diversità, in Svizzera l'approccio è differente perché diversa è la mentalità. E questa non è per forza una cosa positiva. Come spiega a Le Temps Eglantine Jamet, cofondatrice della società di reclutamento che promuove la diversità nelle posizioni dirigenziali Artemia Executive, nel nostro Paese le politiche volte a favorire la diversità in ambito professionale sono arrivate da poco tempo e la loro attuazione è ancora piuttosto timida. «Senza misure in favore della diversità, ci si ritrova generalmente con solo una parte della popolazione rappresentata nelle alte sfere aziendali. Ora, è impossibile che ciò sia riconducibile solo a un discorso legato alle competenze. Secondo noi non si tratta quindi di privilegiare certi profili piuttosto che altri, ma semplicemente di riequilibrare la situazione e di offrire una possibilità a tutti».

A confermare la specificità elvetica è pure Léon Salin, formatore nelle aziende svizzere soprattutto per quanto attiene alla diversità e all'inclusione delle persone transgender. «In Svizzera, spesso, non ci sono politiche direttamente legate all'inclusività. Da parte mia, sono chiamato poche volte a intervenire in maniera preventiva all'interno delle aziende. Sono invece interpellato quando sorge un problema legato alla discriminazione di una persona trans».

La decisione di Zuckerberg non influirà dunque sull'approccio alla diversità delle aziende svizzere? Sì e no. Secondo Eglantine Jamet, le imprese che già oggi sono sensibili alla questione continueranno ad esserlo indipendentemente da quanto accade intorno a loro. Il problema, piuttosto, si pone per quelle aziende che non sono particolarmente propense ad attuare programmi legati alla diversità e che possono ora usare Meta come alibi per giustificarsi. Il discorso, in sostanza, è: se un colosso tecnologico come Meta non realizza politiche inclusive, perché lo devo fare io che sono una piccola azienda svizzera?

Aziende virtuose

Se in Svizzera la cultura aziendale legata alla diversità non è dunque così radicata, ci sono comunque società che sono sensibili alla questione. Tra di esse c'è, per esempio, Loyco, società che offre servizi amministrativi in outsourcing, il cui fondatore, Christophe Barman, sta preparando, insieme ad altri imprenditori, una piattaforma per denunciare quello che, ai suoi occhi, rappresenta un movimento «umanamente rivoltante» e «impensabile anche a livello strategico».

Dal canto suo, la banca Piguet Galland & Cie cerca di promuovere le candidature femminili durante il processo di reclutamento. Proprio per le sue politiche legate all'inclusività e alla diversità, nel 2024 l'istituto è stato insignito dalla Camera di commercio, dell'industria e dei servizi di Ginevra del «premio per l'ugualità».

A Swisscom affermano invece di essere ormai da anni sensibili ad aspetti quali il genere, la nazionalità, l'età e l'orientamento sessuale. Il gigante elvetico delle telecomunicazioni precisa poi che intende aumentare la percentuale di donne quadro dal 15,1% di fine 2024 al 20% entro il 2030. L'azienda è altresì riconosciuta dallo Swiss LGBTI-Label.

Nestlé, infine, sottolinea che uno dei pilastri della propria politica aziendale è incentrato sulla diversità e sull'inclusione. Gli sforzi, in particolare, si concentrano «sull'equilibrio tra i sessi, le persone con disabilità, la comunità LGBTQI+ e l'origine etnica». A tal proposito, la multinazionale dispone di un dipartimento Diversity, Equity and Inclusion al quale, nel nostro Paese, consacrano una parte del proprio tempo una decina di dipendenti.