Quando gli esseri umani sono una merce da marciapiede

C’è un fenomeno che si pensava relegato alle pagine dei libri di storia, o presso genti e terre lontane, e invece si trova nel cuore delle città occidentali. È la tratta degli esseri umani, dove la vita umana è entrata a far parte delle merci e che riguarderebbe 40 milioni di persone sfruttate a livello sessuale, lavorativo, per accattonaggio e attività illegali. Oggi vi proponiamo uno sguardo sul fenomeno delle schiave del sesso in Italia.
La cifra di 40 milioni è stata stimata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Si è trattato di uno scivolamento progressivo dello sguardo (e delle scelte individuali) frutto di un immaginario colonizzato che ha portato gli occhi dei più a considerare nella normalità dell’esistenza l’esposizione di corpi lungo le strade, di persone accatastate in baracche dove la vita sembra essere senza possibilità di scelta come se la libertà fosse incastonata in una sorta di servitù volontaria.
Il vincolo del debito
Per le ragazze nigeriane il vincolo si chiama gbesé (debito). Un prestito economico e morale – ineludibile se non con la morte – che migliaia di donne devono restituire all’organizzazione che le ha fatte arrivare in Italia. Un fenomeno complesso che segue varie diramazioni che, tuttavia, hanno un medesimo approdo: il marciapiede.
Le modalità di arrivo sono diverse. Per le donne provenienti da Benin City c’è soprattutto la forma «contrattuale» del debito, mentre per quelle che giungono dall’Europa dell’Est ci sono i «fidanzati» che attraverso un mix di ricatti psicologici, violenze fisiche e minacce tengono ancorate le persone ad una scelta inconsapevole, una trappola da cui sembra non esserci via di uscita.


La tratta non diminuisce
Tuttavia, la prostituzione su strada sta diminuendo, ma questo non significa che sia diminuita la tratta, lo sfruttamento degli esseri umani che avviene attraverso violenza, coercizione e abusi. C’è un cambiamento in parte legato anche all’effetto lockdown: negli ultimi due anni la presenza in strada è diminuita del 30% secondo i dati delle mappature periodiche realizzate dagli enti afferenti al Numero Verde Antitratta del Dipartimento pari opportunità.
In particolare è cambiata la configurazione interna al fenomeno. Attualmente, infatti, le donne presenti in strada provengono in prevalenza dall’Est Europeo per un 60% (in primis Romania con circa il 75%, a seguire nell’ordine Albania e Bulgaria) e solo 30% dal Continente africano. Negli anni precedenti vi era una sostanziale parità tra le donne provenienti dall’Est Europa e dall’Africa. Invece, adesso le donne nigeriane, soprattutto in alcune zone, sono letteralmente sparite. «Dove una volta trovavamo 20 ragazze adesso ce ne sono una o due», come racconta un’operatrice.
Fenomeno non omogeneo
Il fenomeno della prostituzione in strada non è omogeneo nel territorio italiano, ma si concentra prevalentemente in 7 regioni dove si segnala l’80% delle presenze (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto). E in particolare in alcune aree urbane: in 9 città (Bergamo, Caserta, Como, Firenze, Milano, Monza/Brianza, Napoli, Roma, Torino) si concentra il 50% delle presenze.


I perché del calo del fenomeno
Le cause della diminuzione sono state indagate dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Ires Piemonte – istituto pubblico di ricerca specializzato in indagini in campo sociale ed economico – che confermano una riduzione della prostituzione su strada in tutto il territorio italiano, ma che si configura appunto in modo diverso a seconda delle singole zone.
Le principali determinanti della riduzione sono la crescita della prostituzione indoor (in luoghi chiusi), i controlli più attivi e le ordinanze dei sindaci, la diminuzione dei flussi migratori verso l’Italia dai Paesi dell’Africa Subsahariana, l’editto dell’Oba (Re) dello Stato di Edo in Nigeria (da cui proviene la maggior parte delle vittime nigeriane) Ewuare II, che ha vietato tutti i riti di giuramento che vincolano le ragazze ai trafficanti, lo spostamento delle persone verso altre nazioni europee, le difficoltà economiche dei clienti e il ruolo dell’accoglienza e dei percorsi di integrazione. Nessun fattore appare determinante, ma si tratta di una serie di concause che si rinforzano l’un l’altra.
Spostamento al chiuso
In effetti è probabile che vi sia uno spostamento in quello che viene chiamato l’indoor, perché nell’ultimo anno risulta esserci stato un incremento della prostituzione in appartamento del 12% come segnalano i dati di Escort Advisor, il più importante sito internet del settore della prostituzione che indicizza tutti gli annunci presenti su tutti i siti e li raccoglie.
Anche qui si possono osservare cambiamenti territoriali diversi. Ad esempio, in città come Treviso, Rimini, Pescara e Ancona l’incremento supera il 25%. Tuttavia, non necessariamente l’aumento delle persone che si prostituiscono in ambito indoor è legato alla minore prostituzione in strada.


Il canale dei social media
Infatti, anche semplicemente analizzando le nazionalità presenti nei portali online si può osservare che non vi sono variazioni sulle donne di nazionalità nigeriana, che quindi eventualmente sono entrate in un indoor sommerso che passa attraverso i normali social media (Facebook, Twitter, Instagram). Qui le ragazze possono essere rintracciate attraverso parole chiave (sexy, vogliosa, bellissima, massaggio...) e il linguaggio può essere più o meno esplicito. Il significato sottinteso e le immagini, comunque, sono sempre chiare.
Dove sono finite le nigeriane?
Questo, però, ancora non spiega dove siano finite le migliaia di ragazze nigeriane che non sono più in strada. La risposta non è chiara, ma oltre mille donne di nazionalità nigeriana sono accolte nei progetti di accoglienza degli enti anti-tratta. Oltre 200 sono in decine di monasteri e case famiglia di suore, dove racconta suor Carla Venditti «non ci facciamo chiamare sorelle, ma ci siamo fatte sorelle». E forse, in questi casi, a vincere è l’accoglienza.
«È indispensabile stare nei contesti di vulnerabilità»
La tratta di esseri umani non è da identificare con il traffico di migranti, primo perché la persona può essere sfruttata senza la necessità di superare un confine, secondo perché nel traffico c’è un accordo che si esaurisce con la fine del «viaggio», mentre lo sfruttamento legato alla tratta permane nel tempo. Ne abbiamo parlato con suor Gabriella Bottani, missionaria comboniana, coordinatrice della rete Talitha Kum che riunisce 56 gruppi nazionali di 92 Paesi e vede impegnati 2.600 tra suore e collaboratori di 800 congregazioni religiose.


Innanzitutto abbiamo chiesto a suor Gabriella Bottani cosa fa Talitha Kum?
«Talitha Kum lavora dal 2009 per fare rete, formare e agire efficacemente a sostegno delle vittime della tratta di esseri umani. Solo lo scorso anno abbiamo sostenuto 15’500 persone. Prima di tutto per noi è indispensabile stare nei contesti di vulnerabilità, poi avere capacità di osservare, finalizzare lo sguardo perché il primo obiettivo è evitare la nascita dello sfruttamento. Le sorelle sparse per il mondo sono lì nelle strade, nelle comunità per tessere relazioni di fiducia e offrire sostegno, dare informazioni, far crescere la consapevolezza. Condividiamo la nostra vita con la gente, stando con loro, facendo insieme esperienza di Dio, che agisce donandoci la forza del bene, della libertà del rispetto per la dignità di ogni persona».
E se la persona è già stata vittimizzata?
«Se invece incontriamo una persona che ha già subìto lo sfruttamento, l’accogliamo senza fare tante domande. Agiamo attraverso un ascolto attivo e qualificato per creare quella fiducia che è più forte della paura, delle minacce, della vergogna. Ascoltiamo il dolore, i sogni infranti, la violenza e condividiamo anche le speranze, la resilienza e il coraggio che lentamente cercano spazio. Tuttavia, questo non è sufficiente: in molti casi, quando le persone vengono segnalate alla polizia, è necessario dimostrare che si è vittima e a volte non è sufficiente mostrare le cicatrici, descrivere luoghi, indicare nomi. A volte ci troviamo di fronte alla necessità di provare che le persone trafficate non sono colpevoli di altri reati quali la violazione delle leggi sull’immigrazione, sul lavoro, sulla famiglia o altre disposizioni del codice penale».


Potrebbe farci un esempio concreto, con cui si è confrontata direttamente?
«Ricordo che uno dei primi casi che ho accompagnato ha riguardato una decina di donne che erano in carcere per spaccio di droga. Durante le visite in carcere, una delle suore della rete si rese conto che queste donne erano state intrappolate in una situazione di violenza e sfruttamento e infatti le indagini hanno poi dimostrato che erano vittime della tratta. La nostra esperienza conferma che un approccio incentrato sulla vittima è essenziale per garantire protezione, servizi di supporto e un compenso adeguato per il danno sofferto».
Poi, però, serve la giustizia...
«Le indagini e i procedimenti giudiziari devono identificare e considerare l’intera catena della tratta e quindi devono comprendere chi recluta, chi sfrutta, chi ricicla i profitti dello sfruttamento, chi corrompe. È un percorso difficile che percorriamo ogni giorno insieme alle persone».
Un ultimo sguardo al passato per non rimpiangerlo più
Jane è una ragazza africana che ha chiesto a Luca, un suo amico volontario di un centro di accoglienza, di accompagnarla nel suo Paese dopo aver trascorso 10 anni in Italia, uno dei Paesi dove si prostituiva. Luca ha comprato un volo di andata e ritorno per Benin City e sono partititi.
«Il viaggio è stato confortevole e in dodici ore – racconta Luca – siamo arrivati all’aeroporto Murtala Muhammed di Lagos. Dato che la coincidenza era per il giorno dopo, abbiamo deciso di visitare la città. È un conglomerato di 23 milioni di abitanti dove niente pare essere concepito per piacere ai visitatori. Ti abbraccia fino a soffocarti, ti travolge con il suo movimento di auto, di persone, di edifici, ti fa immergere in una corsa frenetica ed affannosa come se fossi il corridore di una gara podistica senza traguardo». «Siamo arrivati – spiega da parte sua Jane – solo fino a Oshodi e Surulele, non abbiamo avuto il tempo per una visita approfondita perché l’aereo per Benin City ci aspettava».


«In 45 minuti – continua poi Luca – siamo arrivati nella capitale di Edo State. Pensavo che all’arrivo avremmo trovato decine di parenti e amici a darle il benvenuto, invece non c’era nessuno. Jane ha detto solo che voleva andare a casa. Abbiamo preso un autobus e siamo arrivati di notte a Ekpoma, una piccola città di 200.000 abitanti nello Stato di Edo. Qui Jane è andata in un angolo della strada vicino alla stazione degli autobus, tra le bancarelle di legno di quello che di giorno dovrebbe essere un mercato e si è messa a dormire per terra. Io sono stato seduto sotto la pensilina dell’alakowe bus mentre alcuni ragazzi incuriositi dalla presenza di un oyibo (bianco) sono venuti a parlarmi. Abbiamo dialogato lentamente, tutta la notte, mentre aspettavo che Jane desse qualche segnale di vita, ma i minuti e le ore passavano e così con i ragazzi ci siamo addentrati nei discorsi più disparati: c’era chi chiedeva se in Europa le zanzare sono bianche, se i cani ti ascoltano solo se parli in inglese, se mi piace la carne di coccodrillo, se è vero che c’è gente che attraversa il fiume (il Mar Mediterraneo) con la piroga, se è vero che in Libia ci sono le prigioni per i wunna africa (persone africane), se le ragazze nigeriane in Italia fanno ashawo (prostituzione). Poi non ricordo altro, perché devo essermi addormentato».
Il mattino seguente Jane è voluta ritornare in Italia. Niente feste africane, balli, vino di palma, benedizioni di Oba Ewuare e piante della foresta di Sambisa per rinvigorirsi, solo il silenzio di una donna che ha voluto guardare per l’ultima volta il suo passato per non rimpiangerlo più.
Seguire il denaro per colpire i trafficanti
La tratta degli esseri umani è un crimine tanto diffuso quanto poco perseguito. Secondo l’ultima rilevazione dell’OCSE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) solo lo 0,4% dei trafficanti verrebbe punito, ossia uno ogni 2.154 vittime. Uno dei principali limiti sono le indagini finanziarie, quelle che fanno più male ai trafficanti. Sono deboli perché non si riesce a seguire la regola nota in Italia nelle indagini antimafia: il denaro. L’OCSE ha cercato di affrontare il problema elaborando un documento che si intitola significativamente «Following the money» (seguendo il denaro). Abbiamo approfondito la questione con Tarana Baghirova che è tra i redattori del Rapporto dell’OCSE.
L’importanza delle istituzioni finanziarie
«Le istituzioni finanziarie – spiega Tarana Baghirova – sono in una posizione unica per combattere la tratta di esseri umani, in quanto sono quelle che possono vedere le operazioni illecite e interrompere i profitti dei trafficanti, la sola cosa che a loro interessa. Osservazioni che non solo potrebbero interrompere il modello di business dei trafficanti, ma potrebbero anche favorire l’identificazione e il soccorso delle vittime. Infatti, i dati finanziari possono essere una prova sufficiente per sporgere denuncia. Tuttavia, nonostante l’importanza del punto di osservazione che le istituzioni finanziarie possono avere, solo pochi Stati ne hanno considerato adeguatamente il ruolo per prevenire e combattere la tratta di esseri umani. Tra questi vorrei sottolineare, in particolare, il Canada che con il progetto Protect è stato in grado di identificare numerosi trafficanti e salvare numerose vittime. L’OCSE ha cercato di fare tesoro di questa buona pratica per estenderla agli altri Stati».
Necessaria un’azione proattiva
«Il modo “tradizionale” di condurre indagini finanziarie richiede alla magistratura l’invio a una banca di una richiesta di verifica, per esempio, dei conti di persone sospette. Significa che la banca è un soggetto passivo che agisce solo se c’è un’indagine. L’OCSE sottolinea invece la necessità che le istituzioni finanziarie agiscano in modo proattivo, segnalando le operazioni sospette di riciclaggio o di attività illecite. La sfida è come cercare e identificare le attività illegali e qui entrano in gioco gli indicatori che fanno da guida per sapere cosa cercare. L’OCSE ha individuato tutti gli indicatori pertinenti scrivendoli in un unico documento a disposizione di tutti i Paesi».
Occorre anche collaborare a tutto campo
«Ciò, tuttavia, non è ancora sufficiente è importante che vi siano nelle istituzioni finanziarie persone in grado di fornire relazioni precise e di qualità alle forze inquirenti, altrimenti le prove rischiano di evaporare di fronte alla prima contestazione. La collaborazione tra istituzioni finanziarie, magistratura, autorità fiscali, ispettorati del lavoro, specialisti di criminalità informatica e anche la società civile è un elemento centrale per contrastare la tratta di esseri umani».
Fare buon uso degli strumenti già in essere
«La lotta contro i trafficanti di esseri umani può essere comunque rafforzata, prima di tutto, facendo buon uso di tutti gli strumenti e le tecniche già in essere: indagini finanziarie, operazioni sotto copertura, uso di squadre investigative comuni, collaborazione a livello legale e cooperazione giudiziaria, il tutto considerando che il primo obiettivo non è solo di identificare i trafficanti, ma soprattutto di sostenere le vittime. I beni confiscati ai trafficanti dovrebbero servire per promuove progetti di sostegno alle stesse».
La situazione nel nostro cantone: i dati della Polizia
I numeri
Il Servizio comunicazione, media e prevenzione della Polizia cantonale ci ha fornito alcuni dati sulla prostituzione in Ticino. Il 31 maggio 2021 risultava la presenza di 105 donne nei locali erotici, mentre 19 persone erano notificate in appartamenti dove si esercita la prostituzione. Il 20 febbraio 2020, prima dello scoppio della pandemia da COVID-19, le persone che avevano dichiarato di prostituirsi erano 188. Nel nostro cantone da anni non si hanno evidenze di prostituzione per strada.
I reati
Per quanto riguarda i reati emersi grazie alle attività di controllo, nel 2020 sono state denunciate 66 persone per esercizio illecito della prostituzione. Per 13 di queste sono emerse anche violazioni delle disposizioni della Legge federale sugli stranieri e la loro integrazione. A livello di inchieste, un cittadino spagnolo residente in Ticino è sospettato di aver messo a disposizione di prostitute numerosi appartamenti con affitti molto superiori al valore di mercato. Una coppia di cittadini rumeni residente nel Bellinzonese è invece stata denunciata per aver gestito un giro di prostituzione illegale in diverse località del Ticino, collocando in appartamenti donne che dovevano poi corrispondere buona parte dei loro guadagni. Per quanto riguarda invece il 2021, risale allo scorso marzo l’arresto di due cittadini rumeni sospettati di aver orchestrato un sistema di controllo delle prostitute, da cui riscuotevano il guadagno derivante dalle prestazioni sessuali.