Quando il « Made in Italy» dominava ai Grammy Awards

Quando pensiamo ai Grammy Awards il pensiero corre immediatamente agli Stati Uniti e alla loro potentissima industria musicale della quale rappresentano – un po’ come il Premio Oscar in ambito cinematografico – un annuale momento autocelebrativo che malvolentieri condividono con altre nazioni. Eppure proprio questo simbolo dello showbiz yankee, nella sua prima edizione, fu all’insegna del «Made in Italy» visto che i grandi trionfatori furono due (per dirla alla Toto Cutugno) “italiani veri” (Domenico Modugno e Renata Tebaldi) ed un’altra manciata di... «paisà»: Enrico Nicola “Henry” Mancini, Pierino “Perry” Como e Francis “Frank” Sinatra. Ma andiamo per ordine.

Attorno alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, l’industria musicale statunitense decise di creare un premio che, ogni anno, ricompensasse i migliori artisti e le migliori produzioni del settore, su esempio di quanto già accadeva nel cinema (con il Premio Oscar), nell’universo televisivo (Emmy Award) in quello del teatro (Tony Award). Premio che si decise di chiamare Grammy, in onore del grammofono, allora il principale strumento per la riproduzione della musica, raffigurato anche nella statuetta consegnata ai vincitori.

La prima assegnazione dei Grammy Awards avvenne il 4 maggio 1959 contemporaneamente in due location: il Beverly Hilton Hotel a Beverly Hills in California e il Park Sheraton Hotel a New York City dove furono assegnati 28 riconoscimenti che andarono a produzioni realizzate nell’arco di tempo che andava dal 1º ottobre di due anni prima al 30 settembre dell'anno precedente (regolamento in vigore tutt’oggi e che fa sì che i Grammy siano assegnati in netto ritardo rispetto, ad esempio, agli Oscar).
E a farla da padrone fu, come accennato il “Made in Italy”. I due premi principali (disco dell’anno e canzone dell’anno) andarono infatti a Domenico Modugno e a Nel blu dipinto di blu (volare). Un autentico trionfo per l’artista pugliese che chiuse un biennio davvero dorato iniziatosi con la vittoria al Festival di Sanremo del 1958 e proseguita lo stesso anno con il terzo posto conquistato al Gran Premio Eurovisione della Canzone. Ma soprattutto caratterizzato da un successo planetario della sua canzone che rimase 5 settimane al primo posto delle chart statunitensi, nonché ai vertici delle classifiche di molti altri Paesi tanto da diventare la canzone italiana ancora oggi più conosciuta al mondo.
Gli altri "Paisà"


Oltre a Domenico Modugno, in quella prima edizione dei Grammy Awards, ci furono anche altri italiani (diretti e non) a primeggiare. Il soprano pesarese Renata Tebaldi fu infatti premiata per la “miglior performance vocale classica” e altri prestigiosi riconoscimenti andarono ad altri artisti di chiara origine italiana. Come il compositore Henry Mancini (Enrico Nicola Mancini, il suo vero nome) premiato sia per l’album dell’anno sia per il miglior arrangiamento (in entrambi i casi per la colonna sonora del film Peter Gunn). O il cantante Pierino “Perry” Como insignito del Grammy per la “miglior interpretazione maschile” nella canzone Catch A Falling Star; Louis Prima (miglior duetto con That old Black Magic proposto assieme a Keely Smith) e, dulcis in fundo, Frank Sinatra, che presentava la cerimonia e al quale andò il Grammy per il miglior album di cover (Only the Lonely).
Un exploit mai più ripetuto ma una presenza costante

L’exploit effettuato in quel 4 maggio di sessant’anni fa dagli italiani non è mai più stato ripetuto, anche se, tra le nazioni “estere” la Penisola è tra quelle che, nella storia dei Grammy Awards non sfigura. A svettare nella graduatoria di grammofoni portati a casa sono però o musicisti classici con il direttore d’orchestra Carlo Maria Giulini, nella cui bacheca hanno trovato spazio ben sei statuette, il tenore Luciano Pavarotti (cinque riconoscimenti tra cui un Grammy Legend Award, premio speciale di merito che non viene assegnato tutti gli anni e ad oggi assegnato solo da quindici artisti in tutto il mondo) e il mezzosoprano Cecilia Bartoli (anche lei cinque). Primo artista italiano “pop” è invece Giorgio Moroder, il re della discomusic con quattro premi mentre tra coloro che ne hanno ottenuto uno spiccano Laura Pausini, Giovanni Sollima, Ennio Morricone e il deejay Benny Benassi.
E la Svizzera?

In quella prima edizione dei Grammy Awards non c’è traccia di presenza svizzera. Nella storia del premio tuttavia, il nostro Paese è riuscito più volte a far sventolare la propria bandiera, prevalentemente nel settore classico. Grazie, soprattutto al pianista e direttore d’orchestra da tempo residente in Ticino Vladimir Ashkenazy che per ben sette volte è stato insignito del riconoscimento (1973, 1978 1981 1985, 1987,1999 e 2009) corredando il tutto da altre 21 nomination. Due, invece quelli ottenuti dal violinista Yehudi Menuhin e uno dalla violinista moldava-svizzera Patricia Kopatchinskaja. In ambito non classico ad ottenere il riconoscimento sono invece stati l’arpista Andreas Vollenweider (nel 1986 con Down To The Moon, miglior disco new age) e il polistrumentista, etnomusicologo e produttore Marcel Cellier (nel 1991 per la produzione folk Le Mystere Des Voix Bulgares). Ma un bel po’ di Svizzera (e di Ticino in particolare) c’è anche nel Grammy per il miglior disco jazz del 2010 assegnato al compianto Joe Zawinul per il suo album 75 registrato, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno a Estival Jazz e cooprodotto dalla RSI.