Quando Israele e l'Iran erano alleati

Che cosa vuole, Israele? Nel chiarire i contorni dell’attacco statunitense, davanti alla nazione, Donald Trump ha sposato la causa di Benjamin Netanyahu, non a caso chiamato affettuosamente «Bibi»: «L’obiettivo della nostra operazione era la distruzione della capacità di arricchimento nucleare dell’Iran».
In realtà, Washington e Tel Aviv puntano (anche) a un cambio di regime a Teheran. Lo indica, in fondo, il nome dato all’operazione da Israele: Rising Lion, ovvero «leone che si alza». Un riferimento, da un lato, alla Bibbia («Ecco un popolo che si leva come leonessa e si erge come un leone») ma anche al leone presente nella bandiera della Persia imperiale e, in seguito dell’Iran ai tempi dello scià. Il programma nucleare, insomma, è soltanto un aspetto dell’operazione. Il cui vero obiettivo consiste nel rovesciamento della Repubblica Islamica, stabilita a Teheran dall’ayatollah Khomeini dopo la caduta dello scià nel 1979.
Sembra strano dirlo, oggi, a maggior ragione dopo l’intervento degli Stati Uniti, eppure c’è stato un tempo in cui Iran e Israele cooperavano. Sia prima sia, incredibilmente, dopo la citata rivoluzione islamica del 1979. Proviamo a fare chiarezza.
Il riconoscimento dello scià
Lo scià Mohammed Reza Pahlavi, al potere in Iran dal 1941 al 1979, aveva riconosciuto Israele, di fatto, sin dai primi anni Cinquanta. Un riconoscimento che ufficializzò nel 1960. Una scelta, questa, che segnò una rottura con la solidarietà islamica in un momento, peraltro, in cui la Guerra Fredda stava avvicinando sempre più il mondo arabo all’Unione Sovietica.
L'alleanza
Il fondatore di Israele, David Ben Gurion, primo ministro dal 1948 al 1954 e poi dal 1955 al 1963, di riflesso sfruttò l’apertura dello scià per formare un’alleanza anti-araba, sebbene questa alleanza rischiasse di incoraggiare le ambizioni dell’Iran nel Golfo Persico. Le relazioni iniziarono a prosperare, davvero, nel 1961. Quando, cioè, Ben Gurion visitò Teheran. Una visita, quella, incentrata sul trasferimento di know-how militare da parte di Israele in cambio, come scrive Le Monde, di petrolio iraniano. L’alleanza proseguì anche nel decennio successivo, quando lo scià si impose come «gendarme del Golfo».
Il sostegno segreto di Israele
La rivoluzione che pose fine al lungo, lunghissimo regno dello scià causò, di riflesso, seri problemi all’architettura di sicurezza faticosamente costruita da Israele nei tre decenni precedenti. Il leader palestinese Yasser Arafat si precipitò a Teheran per uno storico abbraccio con l’ayatollah Khomeini: i vantaggi diplomatici sino a quel momento detenuti da Israele, all’improvviso, passarono all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).
Tuttavia, le tensioni tra la causa araba per eccellenza – la Palestina, appunto – e la solidarietà islamica che Khomeini intendeva monopolizzare non tardarono a manifestarsi. Tensioni, queste, aggravate dal conflitto aperto dall'Iraq di Saddam Hussein, che invase l’Iran nel 1980, con la chiara speranza di rovesciare la Repubblica Islamica. Lungi dal raggiungere questo obiettivo, l’offensiva irachena alimentò in Iran una corrente di «unione sacra» che rafforzò il regime degli ayatollah di fronte all’invasore arabo.
Il governo israeliano di Menachem Begin decise di cogliere la palla al balzo e fornire un sostegno segreto, ma decisivo, all’Iran di fronte all’Iraq. Un sostegno volto a indebolire il principale esercito arabo, che era allora guidato da Saddam Hussein. A Begin non importava che Khomeini e il suo regime chiedessero pubblicamente la distruzione dello Stato Ebraico. Le consegne clandestine di Israele si rivelarono essenziali per un esercito iraniano in gran parte equipaggiato con attrezzature americane, ma boicottato dagli Stati Uniti dopo la famosa presa di ostaggi all’ambasciata americana a Teheran.
L'invasione del Libano
Le consegne seguivano circuiti complessi, come rivelato, tra l’altro, dallo schianto di un aereo nell'Armenia sovietica nel 1981. In cambio, il regime degli ayatollah continuò a consegnare, altrettanto discretamente, petrolio a Israele, mentre a due terzi della comunità ebraica iraniana venne consentito di emigrare in Israele. I due Paesi condividevano altresì la stessa determinazione nel voler liquidare il programma nucleare iracheno: dopo il fallimento di un raid iraniano nel 1980 contro la centrale di Osirak, a sud-est di Baghdad, fu l'aviazione israeliana che, l'anno successivo, distrusse questa centrale.
E il sostegno israeliano non vacillò quando, nel 1982, l’Iran respinse l’esercito iracheno invadendo il territorio iracheno. Questo importante capovolgimento di fronte arrivò in un momento in cui lo stesso esercito israeliano aveva invaso il Libano per assediare Arafat e l’OLP a Beirut. Begin, accecato dalla sua viscerale ostilità al nazionalismo palestinese, si rallegrò di una tale convergenza. L’espulsione dell’OLP aprì tuttavia la strada, in Libano, a un futuro nemico giurato di Israele, Hezbollah, il «Partito di Dio», fedele a Khomeini e, dopo il 1989, al suo successore, l’ayatollah Khamenei.
Il rovescio della medaglia
Paradossalmente, ma nemmeno troppo, potremmo leggere l’operazione Rising Lion come un tentativo, da parte di Israele, di «recuperare» un vecchio alleato. Netanyahu, d’altro canto, non ha mai negato la sua affiliazione ideologica con Begin. La volontà dichiarata di rovesciare il regime degli ayatollah potrebbe, tuttavia, favorire una dinamica di «unione sacra» a Teheran paragonabile a quella che salvò la Repubblica Islamica dall’invasione irachena.