Quando la Chiesa è in bolletta

Voltare pagina e «uscire», lasciare la parrocchia. Un fenomeno in netto aumento in Svizzera negli ultimi anni. La conseguenza diretta? Non avere più gli stessi diritti all’interno della Chiesa cattolica, come ad esempio il funerale dopo la morte. Quella indiretta? Le persone che lasciano non pagano più l’imposta ecclesiastica. Secondo quanto comunica Urs Broggi, segretario della Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera (RKZ), «nel 2021, 34.182 persone hanno lasciato la Chiesa cattolica, più di 2.500 in più rispetto al precedente anno record del 2019 (2020: 31.410, 2019: 31.772). I membri alla fine del 2021 erano circa 2,96 milioni».
Svolta ticinese
Questo significa inevitabilmente un ammanco nelle casse ecclesiastiche. «Mi sono occupato dell’imposta di culto - spiega l’avvocato Marco Frigerio -, in quanto vice presidente del Consiglio parrocchiale della Parrocchia di Chiasso negli anni in cui è stato posto in vigore il decreto legislativo concernente l’imposta di culto delle Parrocchie e delle Comunità regionali della Chiesa evangelica riformata». Il decreto, che è entrato in vigore il 1 gennaio 1993 ed è tuttora vigente, si trova nella raccolta delle leggi cantonali al numero 643.100. Il cambio di rotta era stato imprescindibile perché, come osserva Frigerio, «il prelievo dell’imposta di culto era autorizzato a partire dall’articolo 273 della legge tributaria. La validità di tale disposto, in particolare per le persone giuridiche - che per costante giurisprudenza del Tribunale Federale non potevano invocare la libertà di coscienza per svincolarsi - era stata posta in discussione e il clima politico si era fatto rovente».
Il Gran Consiglio finì quindi per adottare un decreto-ponte con il quale veniva indicato che chi aveva prelevato l’imposta di culto già prima del 31.12.1988 avrebbe potuto continuare, «mentre - continua Frigerio -, che chi sino a tale data si finanziava in altro modo non avrebbe potuto. Il «casus belli» era stato il tentativo della Parrocchia di Lugano di introdurre l’imposta. Il decreto legislativo del 10 novembre 1992 ha poi modificato il sistema indicando che le Parrocchie possono finanziarsi tramite l’imposta di culto, se ciò è previsto dal regolamento parrocchiale, ma che sia le persone fisiche che le persone giuridiche iscritte nel catalogo tributario parrocchiale hanno la possibilità di cancellarsi (vedi articolo 8) e quindi di liberarsi da un tale onere».
Tuttavia, a ben vedere, forse una nota dolente che riguarda la legge, e che inevitabilmente non tutela le casse parrocchiali, esiste: «L’imposta di culto - continua l’avvocato-, viene prelevata su base puramente volontaria. In ogni tempo, chi vi è assoggettato può svincolarsi da un tale onere».
A cosa servono questi soldi?
Il Consiglio parrocchiale è l’organo esecutivo e amministrativo delle Parrocchie e pertanto decide come investire il ricavato. Come spiega la RKZ: «Il gettito fiscale viene versato alle chiese nazionali o alle singole parrocchie. Le imposte ecclesiastiche delle persone giuridiche, ove disponibili, rappresentano tra il 10% e il 50% del gettito fiscale totale, a seconda del Cantone». In Ticino questi soldi come vengono investiti? Le risposte sono multiple, tuttavia è tutto verificabile all’ articolo 20 punto 2 dove si menzionano i mezzi di finanziamento delle Parrocchie, i sussidi e i contributi degli enti pubblici versati su base volontaria oppure in forza di convenzioni o obblighi consuetudinari.
«Storicamente - interviene Frigerio -, diversi Comuni sostenevano le Parrocchie versando un importo annuale significativo chiamato «congrua» e destinato a garantire i bisogni del Parroco o, più in generale le spese correnti dell’attività religiosa».
Il tema dell’abbandono della religione ha interessato anche l’UST (Ufficio federale di statistica) che nel 2019 ha pubblicato uno studio. Secondo i dati rilevati le ragioni che portano i singoli individui ad abbandonare la Chiesa «Nel caso di quella cattolica, le dichiarazioni pubbliche vengono prima, seguite dalla fede perduta e dall’assenza di fede». Tra queste si evidenziano: «La posizione delle donne nella chiesa, aborto e suicidio assistito, divorzi e omosessualità, e solo in minima parte la volontà di risparmiare sulla tassa di culto».
Ecco l'identikit di chi lascia la Chiesa
Secondo una rilevazione dell’Ufficio federale di statistica (UST), «nel 2020 circa il 33,8% della popolazione residente permanente in Svizzera appartiene alla Chiesa cattolica romana (1° posto) e il 21,8% alla Chiesa evangelica riformata (3° posto). Il secondo gruppo più grande è quello aconfessionale con il 30,9%».
Secondo il medesimo studio, un dato evidente che mostra l’alienazione delle giovani famiglie dalla Chiesa è identificabile tra i matrimoni e i battesimi. «Mentre nel 2021 ogni quarta coppia (25%), in cui entrambi i coniugi appartengono alla Chiesa cattolica, si sposavano in chiesa, dieci anni prima erano ancora oltre quattro coppie su dieci (44%). Un modello simile può essere osservato nel tasso battesimale. Anche questo è diminuito (ad eccezione della diocesi di Lugano) negli ultimi anni e nel 2021, ad esempio, circa sei bambini su dieci sono stati battezzati nella diocesi di Basilea, se si confrontano i battesimi attesi con i battesimi eseguiti».
Nell’indagine gli intervistati hanno dovuto scegliere uno tra i 12 motivi per uscire dalla chiesa. Come comunical l’UST: «Se si confrontano gli anni di indagine 2014 e 2019 la distribuzione percentuale delle ragioni non è cambiata. La situazione è stabile. Tuttavia, questo risultato può anche essere interpretato in modo tale che la Chiesa cattolica, con la sua parola e la sua azione, non è riuscita (finora) a esercitare un’influenza significativa sulle ragioni o sul loro peso. La situazione è simile con la Chiesa evangelica riformata».
Insomma, nella analisi delle indagini, con l’eccezione di una diminuzione della motivazione «non ha mai avuto fede» a favore di «altra ragione», i numeri tra i due sondaggi sono rimasti più o meno gli stessi. Inoltre come tiene a precisare la RKZ, «alcuni ricercatori hanno cercato di descrivere il tipico candidato all’uscita. Sono emerse parole chiave come maschio, che vive in un contesto urbano, ben istruito, single e più giovane: «Il candidato ideale per l’uscita è quindi un giovane svizzero di lingua tedesca senza figli, con un reddito elevato che vive in una grande città», questa conclusione è confermata anche da i professori Jörg Stolz e Thomas Englberger: «I giovani, gli uomini, le persone che vivono in una città, che vivono in convivenza, le persone senza o con pochi figli e quelle con un’istruzione superiore» è questo l’identikit del candidato ideale che lascia la Chiesa».