La storia

Quando la «dolce vita» era sul Ceresio

Un tuffo nel passato dell’enclave che sta vivendo uno dei periodi più drammatici della sua millenaria storia
Campione d’Italia agli inizi del ‘900 (Foto Archivio CdT)
Red. Online
04.12.2018 15:33

Per la Svizzera italiana Campione d’Italia rappresenta un luogo di normale straordinarietà. Curioso ibrido giuridico-amministrativo-economico, il villaggio posto sulla riva orientale del Ceresio di fronte a Lugano, è infatti parte integrante del tessuto ticinese al quale è più legato che alla madrepatria. Ciononostante, fatta eccezione per la casa da gioco sulla quale ha costruito la sua fortuna e la cui imponenza stride con l’orografia del lago, i ticinesi sanno realmente poco di questo borgo, della sua lunga e decisamente originale storia, ma anche del suo presente che le recenti vicende amministrative e giudiziarie hanno riportato agli onori della cronaca. Ecco perché siamo andati nell’enclave per conoscere un po’ più da vicino sia Campione sia soprattutto il casinò che, benché oggi venga dai più visto considerato unicamente un ecomostro fantasma, ha alle spalle un passato che talvolta sfuma nella leggenda. Angelo Airaghi, classe 1934, è un campionese DOC e una delle memorie storiche del Paese visto che per più di trent’anni è stato impiegato nell’amministrazione comunale e che per un paio di legislature è stato addirittura vicesindaco dell’enclave. Ci accoglie in uno dei baretti del lungolago, il cui nome «Rouge et Noir», è un chiaro riferimento alla roulette con la quale Campione è identificato. Dietro di noi si staglia l’imponente e attualmente vuota casa da gioco progettata da Mario Botta che, da vicino, fa meno impressione rispetto a quando la si osserva dall’altra sponda del lago. «Ogni volta che la guardo ho un po’ di senso di colpa», ci dice con disarmante franchezza. «Soprattutto perché da vice sindaco ho votato il progetto. Che quando è arrivato dall’ufficio tecnico ci era piaciuto. Tuttavia né io né i miei colleghi avevamo realizzato che era così grande. Nessuno di noi inoltre prevedeva che il mondo del gioco avrebbe subito in pochi anni un mutamento tale, rispetto al passato, da portare al fallimento del casinò».

Una nascita in stile Mata Hari

Il casinò di Campione agli inizi del XX secolo, quando venne creato più per ragioni di... intelligence che per sfruttare la passione per il gioco d’azzardo. (Foto Archivio CdT)
Il casinò di Campione agli inizi del XX secolo, quando venne creato più per ragioni di... intelligence che per sfruttare la passione per il gioco d’azzardo. (Foto Archivio CdT)

Già, il passato, che Angelo Airaghi, conserva gelosamente nella sua lucidissima memoria corredato da nomi e date che vanno ben più indietro i suoi oltre ottant’anni. «Il casinò fu creato durante la Prima guerra mondiale per ragioni più strategiche che commerciali», racconta. «Il Governo italiano pensava che Campione, data la sua posizione strategica, fosse il posto ideale per delle operazioni di spionaggio o per trattative riservate. Che all’interno di una sala da gioco potevano essere facilmente mascherate». Un’operazione, insomma, in pieno stile Mata Hari, che però si esaurì con il conflitto. «Il vero casinò fu creato da Benito Mussolini nel 1933 con un decreto che in sostanza diceva: “vista la posizione di Campione e la difficoltà dei suoi abitanti nel trovare lavoro sia in Svizzera che in Italia, lo Stato autorizza l’apertura di una casa da gioco che darà un grande impulso all’economia del villaggio”». Il «regalo» del duce non servì tuttavia a mantenere alta la sua popolarità nell’enclave, che nel 1944 si ribellò al regime. «Nel mese di gennaio – racconta Airaghi – si verificò quello che qui viene ricordato come il colpo di Stato: un gruppo di cittadini disarmò i carabinieri e disconobbe l’appartenenza alla Repubblica di Salò. Un’insurrezione che non solo non poté essere repressa dai tedeschi e dai fascisti a causa della posizione di Campione, ma che consentì all’intelligence alleata di avere una base protetta dalla quale agire contro le forze d’occupazione del nord Italia, senza per questo mettere in pericolo la neutralità elvetica. A capo di questo colpo di Stato c’era Felice De Baggis che poi, nel 1951, divenne sindaco di Campione, conservando la carica per ben 29 anni, fino al 1980».

Gli anni d’oro
Il «regno» di De Baggis coincise con il periodo in cui Campione divenne una delle località mondane d’eccellenza, favorita dalla vicinanza con Milano, cuore del boom economico nel dopoguerra. «Sono stati anni aurei per il casinò e, di conseguenza, per Campione che era frequentato da tutto il jet set italiano ed europeo: e non solo per via del gioco», ci spiega Mario che, che sentendo i nostri discorsi, assieme ad un altro paio di persone si è aggregato alla chiacchierata. Mario è un ex impiegato del Casinò dove ha lavorato «45 anni e 5 mesi», partendo come fattorino e poi, via via, migliorando la sua posizione. «Era un periodo in cui il Casinò rappresentava anche un grande aggregatore culturale», continua. «Qui sono passati i più grandi artisti del secondo Novecento. Ricordo i concerti classici della domenica pomeriggio, con personaggi del calibro di Raina Kabaivanska o Arturo Benedetti Michelangeli, che la gente veniva a seguire arrivando da Lugano con speciali battelli. Ma anche gli spettacoli di varietà che andavano in scena ogni sera, 365 giorni all’anno, alle 22.00; le grandi orchestre... C’era, ad esempio, l’Orchestra Lucchini, una delle più rinomate dell’epoca, che aveva nel suo entourage un giovane musicista che si occupava di stilare i borderò (i resoconti per il pagamento dei diritti d’autore – ndr) e al quale il maestro ogni tanto lasciava cantare una canzone: era Lucio Dalla». Una delle più note iniziative promosse dal casinò in quel periodo era «Le maschere d’argento» (vedi video dell’Istituto Luce) riconoscimento tra i più importanti dello spettacolo italiano, assegnato annualmente.

Tra VIP e «cumenda»

Giocatori al tavolo della roulette negli anni Ottanta. (Foto Archivio CdT)
Giocatori al tavolo della roulette negli anni Ottanta. (Foto Archivio CdT)

«Non bisogna dimenticare il ristorante», gli fa eco Airaghi, «tra i migliori in assoluto e che, da solo, richiamava tantissimi vip». Tra i frequentatori di Campione di quell’epoca c’erano stelle del cinema e della Tv (da Vittorio De Sica a Sofia Loren a Ornella Vanoni), del jet set internazionale come lo scià di Persia nonché il gotha della rampante economia italiana. C’era il «cumenda» per eccellenza Giovanni Borghi, soprannominato «sa’l custa» dalla frase che era solito pronunciare quando si invaghiva di qualcosa che poi inevitabilmente acquistava. «Era solito arrivare accompagnato da una corte composta da sportivi famosi, politici e buona parte della dirigenza della sua Ignis. Con loro dapprima cenava e poi andava nelle sale da gioco, dove distribuiva fiches a tutti». Come lui anche altri pezzi grossi dell’industria, da Ambrosoli (caramelle) a Invernizzi (formaggi), da Buticchi a Moratti (i presidenti di Milan e Inter): «Gente che fuori dal casinò si comportava in maniera semplice, talora anche riservata, ma che all’interno spesso si dava alle grandi feste».

La sala degli svizzeri
Il Casinò di Campione raggiunse poi l’apice a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta quando anche con la Svizzera i rapporti si fecero meno complessi. «Se i legami tra Campione e il Ticino sono sempre stati ottimi», spiega Airaghi, «diversa era la situazione con la Confederazione, soprattutto per via della differente legislazione sul gioco. Che in Svizzera era vietato. Tant’è che per impedire che gli svizzeri venissero a giocare si arrivò, nel 1947, addirittura al blocco dell’enclave: tutte le sere alle 20.00 la polizia elvetica si piazzava all’Arco di Campione e impediva l’ingresso e l’uscita dal Paese fino alle 8 del mattino, a meno di non essere in possesso di speciali permessi. In seguito agli svizzeri fu concesso di frequentare il casinò ma solo nella cosiddetta “sala degli svizzeri” dove si poteva puntare, come nei Kursaal elvetici, un massimo di 5 franchi». I giocatori elvetici furono parificati a tutti gli altri frequentatori del Casinò solo nel 1980 a seguito di un accordo tra l’enclave e il Canton Ticino. «E quel triennio, fino al blitz di San Martino, è stato il culmine dello splendore campionese».

Il blitz di San Martino
Il riferimento è alla colossale operazione compiuta l’11 novembre 1983 dalla Guardia di Finanza italiana nei quattro casinò della penisola (Sanremo, Saint Vincent, Venezia e Campione) per contrastare le infiltrazioni mafiose al loro interno. I testimoni dell’epoca parlano di centinaia di agenti coinvolti, motovedette che circondarono lo spazio lacustre antistante la sala da gioco, decine di arresti e la sospensione dell’attività del casinò, «che rimase chiuso 54 giorni», ricorda uno dei miei interlocutori. «Dopo quei fatti ci fu una ripresa, durata una quindicina di anni, ma senza più ritornare ai fasti di un tempo. Anche perché nel frattempo, sono cambiate tutte le dinamiche gestionali della casa da gioco» commentano con un pizzico di amarezza.

La nuova struttura firmata Botta

La nuova casa da gioco inaugurata nel 2007. (Foto Archivio CdT)
La nuova casa da gioco inaugurata nel 2007. (Foto Archivio CdT)

Campione d’Italia comunque, non è rimasta con le mani in mano, tanto da decidere un totale ammodernamento delle sue strutture attraverso l’abbattimento della vecchia casa da gioco e la costruzione di una nuova, affidata all’architetto ticinese Mario Botta e che è stata inaugurata nel 2007. Una struttura imponente e avveniristica che ha fatto di Campione il più grande Casinò d’Europa, con 56 tavoli verdi, 650 slot di ultima generazione oltre che numerosi servizi per la ristorazione, gli spettacoli e i convegni. Ma che purtroppo non ha ridato alla sala da gioco il lustro del passato, ma ha addirittura aggravato la sua posizione tanto da condurla al fallimento. «È grandissima e le spese di gestione erano enormi», spiegano i nostri interlocutori quasi all’unisono. «Senza contare che nel frattempo la situazione era anche cambiata». E sotto accusa, i campionesi non mettono tanto i casinò di Mendrisio e a Lugano, quanto il gioco online e le sale giochi sorte in Italia in modo incontrollato. «Nei casinò devi arrivare con i soldi», commenta un vecchio croupier. «Quando li hai finiti, te ne torni a casa e nel frattempo ragioni su cosa è successo. Se poi sei un giocatore patologico o con dei problemi finanziari addirittura non entri. Con Internet e con le sale giochi sotto casa questo non succede: tutti possono giocare e rovinarsi, senza alcun controllo. E senza che il ricavato, come accadeva da noi, venisse in buona parte riversato sulla collettività».

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