Sestante

Quasi due secoli d’arte e di musica a partire dalla Valcuvia

Da lì nel 1829 si è dipanata un’affascinante storia che ha anche coinvolto e coinvolge tuttora il canton Ticino: è quella della Mascioni Organi
Andrea Mascioni, presidente della società e che in fabbrica incarna la sesta generazione degli organari di Azzio insieme al cugino Giorgio. © CdT/Chiara Zocchetti
Nicola Bottani
Nicola Bottani
06.11.2020 21:36

Azzio è un paese di neanche mille abitanti in Valcuvia, valle che si snoda a nord di Varese. La strada che ne percorre il fondovalle, per dare un’idea, parte da Luino e arriva a un tiro di schioppo da Laveno-Mombello. Il nome di Azzio a molti di noi potrebbe dire poco o addirittura nulla. Da lì nel 1829 si è però dipanata un’affascinante storia che ha anche coinvolto e coinvolge tuttora il canton Ticino. La storia è quella della Mascioni Organi.

Visitando a Azzio gli atelier della fabbrica dei Mascioni, organari giunti alla sesta generazione, è come fare un viaggio nel tempo fra passato, presente e anche futuro. Nell’archivio sono infatti conservati i disegni dei progetti dei quasi 1.200 organi costruiti dai Mascioni nel corso di poco meno di 200 anni, mentre nei vari reparti della fabbrica si procede con il restauro degli strumenti antichi o se ne progettano e assemblano di nuovi.

A spalancarci le porte sul mondo dell’arte organaria è Andrea Mascioni, presidente della società e che in fabbrica incarna la sesta generazione insieme al cugino Giorgio. Sono depositari, con gli artigiani che lavorano per loro, di un sapere vastissimo che sbocca infine in una musica dai toni e dalle molteplici sfumature. Tante quante possono essere le canne di un organo, verrebbe da dire.

I forti legami con il Ticino
«Noi Mascioni e tutti i nostri collaboratori – esordisce il padrone di casa mentre ci accoglie – il Ticino lo conosciamo bene, direi molto bene per quel che riguarda il nostro campo. E così è stato per chi ci ha preceduto nella lunga storia della nostra famiglia di organari. Per le chiese ticinesi a partire dall’Ottocento abbiamo costruito ex novo decine di strumenti, un’attività a cui in tempi successivi e relativamente più recenti si è aggiunta quella del restauro.

Dettaglio dell’organo ottocentesco di Sonvico che i Mascioni stanno restaurando a Azzio. © CdT/Chiara Zocchetti
Dettaglio dell’organo ottocentesco di Sonvico che i Mascioni stanno restaurando a Azzio. © CdT/Chiara Zocchetti

A Lugano, per esempio, è nostro l’organo del 1910 nella Cattedrale di San Lorenzo e a Bellinzona il restauro della Collegiata nel 1997, a Maggia lo strumento del 1885 della chiesa parrocchiale e a Faido l’organo del 1912 della Presbiturale. Per quel che riguarda i restauri, qui a Azzio, attualmente ci stiamo occupando dello strumento di Sonvico, costruito nel 1854 non dai Mascioni ma dall’organaro Giovanni Franzetti».

Per le chiese ticinesi abbiamo costruito e restaurato decine di strumenti, il vostro cantone lo conosciamo bene

I legami dei Mascioni con il Ticino sono certificati nero su bianco nell’archivio aziendale di Azzio, dove progetti e disegni, in gran parte, sono fortunosamente scampati al furioso incendio che nel 1950 aveva completamente distrutto la loro fabbrica. «Per nostra fortuna, però, non è andata persa la memoria storica della famiglia Mascioni, così che ancora oggi sappiamo che il nostro avo Giacomo, nato nel 1811 e fondatore diciotto anni dopo della fabbrica, aveva avuto come mentore l’organaro Gaspare Chiesa, il quale era poi partito dalle nostre terre per creare un atelier sopra Locarno, alla Madonna del Sasso. Del Chiesa, facendo un altro esempio, è l’organo del 1822 nella chiesa di San Sebastiano ad Artore, sopra Bellinzona. Quindi, Giacomo Mascioni fin da subito è entrato in contatto pure lui con le comunità ticinesi, quando ha incominciato ad affermarsi, e la storia è proseguita fino ai giorni nostri», spiega ancora Andrea Mascioni, che in fabbrica può ancora contare sull’esperienza e sui consigli del padre Eugenio, nonché dello zio Enrico, genitore di Giorgio.

Da Azzio verso il mondo
La fama dei Mascioni si è poi accresciuta nel corso dei decenni e si è diffusa in tutto il mondo. «Ecco quindi che fin dai primi anni del Novecento abbiamo costruito organi anche in Argentina e Ecuador, Giappone, Islanda e quella che era la Jugoslavia, a Malta, in Marocco e Spagna. Nostro, fra i molti progettati e fabbricati qui a Azzio per altre nazioni, è quello che è stato realizzato nel 2004 per la Cattedrale di Santa Maria a Tokyo, firmata dal celebre architetto nipponico Kenzo Tange».

Andrea Mascioni sottolinea poi che la pandemia della COVID-19 ha complicato non poco le cose anche per loro: «Oggi in fabbrica sono all’opera tre soli artigiani dei sedici che sono alle nostre dipendenze, perché molti lavori giocoforza li svolgiamo fuori sede. Dovremmo anche andare a Malta per degli incarichi ma con questa pandemia organizzarsi per le trasferte all’estero è diventato davvero difficile, a causa di fattori che non possiamo controllare».

Andrea Mascioni in uno degli atelier con una parte di uno strumento antico. © CdT/Chiara Zocchetti
Andrea Mascioni in uno degli atelier con una parte di uno strumento antico. © CdT/Chiara Zocchetti

Grande artigianato
Alla fabbrica di Azzio dal primo piano che ospita uffici, archivio e la sala di progettazione scendiamo lungo una scala e arriviamo ai vari atelier che la compongono. Ed è come fare un tuffo in una realtà davvero rara ai giorni nostri, fatta di minuto e sapiente artigianato, dove domina il lavoro manuale, fatto di gesti lenti e grande pazienza.

«Il bello di questo nostro lavoro – dice allora Andrea Mascioni – è che non ci si annoia mai. Quando si tratta di restaurare un organo antico, è una continua scoperta che ci fa fare un viaggio all’indietro nel passato grazie al quale possiamo scoprire non solo come lo strumento è stato costruito, ma anche come nel corso del tempo è stato modificato e riparato. Se invece dobbiamo costruirne uno nuovo, non è raro che ci vengano proposte nuove sfide, per adattare l’organo alle specifiche dettate da questo o quel committente. Sia in un caso sia nell’altro, ovvero quando uno strumento lo si restaura oppure lo si fabbrica ex novo, ogni nostra conoscenza, anche quella all’apparenza più insignificante, ha una grande importanza, perché ogni dettaglio contribuisce al buon funzionamento di un insieme la cui complicazione costruttiva, una volta completata l’opera, rimane nascosta allo sguardo dei più».

L’organo e le sue mode
Andrea Mascioni spiega poi come la costruzione degli organi abbia seguito mode del momento: «A un certo punto della storia dell’arte organaria sono stati costruiti prevalentemente organi di tipo barocco, perché si voleva suonare solo musica del ’700. In seguito si è passati a un altro tipo di strumenti perché a diventare di moda è stata la musica francese, mentre ora, discorso che vale per ultimo decennio, si punta molto sugli organi sinfonici, tali appunto per le sonorità sinfoniche, sullo stile di quelle di un’orchestra di questa tipologia».

Dettaglio dell’atelier dove si costruiscono le canne in metallo. © CdT/Chiara Zocchetti
Dettaglio dell’atelier dove si costruiscono le canne in metallo. © CdT/Chiara Zocchetti

Ecco poi come sono invece andate le cose con l’evoluzione tecnica: «All’inizio del Novecento c’è stato lo sviluppo della trasmissione pneumatica, con tubi grazie ai quali i comandi ai vari meccanismi venivano trasmessi tramite l’aria compressa. A partire dal 1930 si è poi passati a sviluppare e implementare la trasmissione elettrica, così che la postazione dell’organista poteva anche rimanere lontana dallo strumento. Si è trattato di rivoluzioni – in particolare per quel che riguarda l’utilizzo dell’elettricità – perché hanno anche permesso di costruire strumenti molto grandi, senza che gli organisti, per suonarli, fossero costretti a chissà quali sforzi fisici. Come è anche ora che si è tornati alla trasmissione meccanica, affinata e perfezionata affinché pure un grande strumento possa essere suonato senza dover sudare le proverbiali sette camicie alla consolle, che comprende tastiera, pedali, staffe, comandi di registro, pedaletti e pistoncini con cui l’organista dà vita alla musica».

Andrea Mascioni con la tastiera dell’organo di Sonvico.  © CdT/Chiara Zocchetti
Andrea Mascioni con la tastiera dell’organo di Sonvico. © CdT/Chiara Zocchetti

La conservazione dell’antico
Mentre ci mostra alcune parti dell’organo di Sonvico, Andrea Mascioni racconta poi come è andata con gli organi antichi: «È dagli anni ’60-’70 del secolo scorso che si è iniziato a considerare e quindi apprezzare gli strumenti del passato per il loro valore intrinseco di opera d’arte. Ai tempi, quando un organo, a causa dell’usura, arrivava alla fine della sua vita, se c’erano i soldi per sostituirlo, si buttava via tutto e se ne costruiva uno nuovo fiammante. Dovendo invece fare di necessità virtù, ossia se le finanze non permettevano di fare chissà che cosa, si procedeva con riparazioni parziali, magari chiudendo l’accesso dell’aria alle canne che si erano guastate o aggiunte di altre. Di conseguenza, gli strumenti antichi che sono giunti fino a noi spesso risultano parecchio modificati rispetto a come erano in origine, così che l’opera di restauro comprende una sorta di limatura delle stratificazioni, nel senso che vengono eliminate tutte quelle componenti che nel tempo hanno contribuito a modificare lo strumento».

È dagli anni ‘60-’70 del secolo scorso che si considerano gli strumenti del passato per il valore intrinseco di opera d’arte

Quindi, un lavoro molto difficile... «Sì, perché bisogna anche decidere fino a dove arrivare, con il ripristino delle varie parti e soprattutto con l’eliminazione di quelle che sono state aggiunte negli anni, perché alcune possono anche essere di pregio. Il nostro compito, quando procediamo con un restauro, è di fare un’attenta ricerca storica, cercare per quanto possibile una documentazione scritta e andare a trovare organi che siano stati costruiti altrove dallo stesso organaro. È un lavoro da certosini, a volte molto complicato, per il quale ci affidiamo pure a specialisti esterni, siano essi storici specializzati nell’arte organaria o in qualsiasi possibile campo riguardante gli organi del passato».

© CdT/Chiara Zocchetti
© CdT/Chiara Zocchetti

Con le complicazioni non è però finita qui, come spiega ancora Andrea Mascioni: «Gli organi antichi, per il loro pregio, sono tutelati dalle varie soprintendenze dei beni culturali e artistici. Quindi, ogni loro parte e componente, anche la più piccola, va mantenuta e deve essere conservata il più possibile nello stato in cui si trova. Insomma, il fine ultimo è sì di dare una nuova vita a uno strumento che presenta i segni del tempo e dell’usura, ma lo dobbiamo fare conservando e riparando in giusta misura ciò che hanno costruito con le loro mani e le loro conoscenze gli organari del passato. Per quel che riguarda il Ticino, la collaborazione con le istanze cantonali preposte alla conservazione e protezione dei beni artistici la collaborazione è ottima, perché possiamo confrontarci con persone che prima di tutto sanno ascoltare e valutano con grande attenzione ogni aspetto del restauro».

Tesori ancora nascosti
«Sono duecento gli organi che sono stati restaurati sin qui dalla nostra azienda – conclude Andrea Mascioni a proposito di questo tema – e il lavoro non mancherà anche in futuro. Solo in Italia ce n’è ancora un gran numero che ha bisogno di cure e non pochi sono dei veri e propri tesori nascosti, strumenti che possono raccontare ancora molto dell’affascinante storia dell’arte organaria».

Il primo semplice passo? Lo scoppio di un palloncino

Passando dall’antico al moderno, negli atelier della Mascioni Organi di questi tempi si sta fabbricando uno dei tre organi da studio ordinati all’azienda varesina dal Conservatorio nazionale di Parigi. «Quello che possiamo vedere ora qui da noi – spiega Andrea Mascioni – è l’organo moderno da improvvisazione che stiamo costruendo per l’alta scuola di musica della capitale francese. Diciamo che è una bella sfida, pur se alle sfide siamo ormai abituati da tempo. E la portiamo avanti puntando sulla nostra qualificata artigianalità che ci contraddistingue da sempre».

La consolle del nuovo organo da improvvisazione ordinato dal Conservatorio nazionale di Parigi.© CdT/Chiara Zocchetti
La consolle del nuovo organo da improvvisazione ordinato dal Conservatorio nazionale di Parigi.© CdT/Chiara Zocchetti

Dopo di che Andrea Mascioni precisa: «Dai disegni al completamento della realizzazione passano in media dai sette agli otto mesi, ma per il monumentale organo della Cattedrale di Santa Maria a Tokyo, per esempio, abbiamo avuto bisogno di un anno e mezzo».

E allora, a proposito delle dimensioni... «Un piccolo organo a tre voci di canne ne ha circa 180, mentre quelli più grandi ne hanno svariate migliaia, come le 16’000 dell’organo del Duomo di Milano, per fare un esempio. Di conseguenza, cambiano significativamente anche i volumi dell’aria necessaria per ottenere i suoni, volumi che possono arrivare ai 70-80 metri cubi al minuto. Per l’organo della Cattedrale di Lugano di metri cubi d’aria ne servono invece fino a 43, il che fa la bellezza di 43’000 litri per ogni giro della lancetta di un orologio».

Le nuove sfide le portiamo avanti puntando sulla nostra qualificata artigianalità di sempre

Curioso è poi il sistema utilizzato all’interno di un edificio che ospiterà un nuovo organo per ottenere un suono da utilizzare poi come campione di riferimento: «Si chiama rumore bianco e serve soprattutto agli specialisti di acustica per valutare tutti gli aspetti dal punto di vista della fisica dei suoni. Il rumore bianco genera uno spettro uniforme per tutte le frequenze e una volta che sono stati piazzati i sensori, per generarlo facciamo semplicemente scoppiare un palloncino di gomma riempito per bene d’aria, proprio come quelli utilizzati per le feste di compleanno oppure venduti in fiere e mercati».

Per far funzionare l’organo della Cattedrale di San Lorenzo a Luganooccorrono fino a 43’000 litri d’aria al minuto. © CdT/Chiara Zocchetti
Per far funzionare l’organo della Cattedrale di San Lorenzo a Luganooccorrono fino a 43’000 litri d’aria al minuto. © CdT/Chiara Zocchetti

«Comunque – prosegue Andrea Mascioni – a essere sempre fondamentale è l’orecchio umano, al quale noi organari ci affidiamo principalmente per fare tutte le valutazioni del caso all’interno dell’edificio che andrà a ospitare un nuovo strumento. Come ben sappiamo, nella grande maggioranza dei casi si tratta di chiese, siano esse antiche oppure moderne. Di norma l’organo viene installato nella cantoria, in alto e sopra l’entrata principale, con gli astanti che danno le spalle allo strumento. Rispetto a quanto accade quando si assiste al concerto di un’orchestra o di un qualsiasi altro tipo di formazione musicale, è una situazione particolare e perciò bisogna mettersi in un ordine d’idee adeguato, sia facendo le valutazioni del caso sia in sede di progettazione».

Al che sorge spontanea una domanda: quando si costruisce un nuovo organo in fabbrica e poi lo si monta nella sua sede definitiva, quanto possono cambiare le cose, pensando alla risposta dello strumento e a quelle che sono le aspettative dell’organaro? «Ogni singola canna viene provata nella sala intonazione qui a Azzio, dove lo strumento viene anche montato per ulteriori verifiche, in un padiglione la cui altezza è di una dozzina di metri. Quindi, si smonta di nuovo tutto per procedere con l’installazione del nuovo organo nell’edificio che lo ospiterà. Lì ci attende ancora un lungo e paziente lavoro di regolazione e intonazione e devo dire che di norma il risultato finale è sempre quello che ci siamo prefissati di raggiungere».

Sei generazioni di abili organari

Il capostipite
Il capostipite dei Mascioni organari è Giacomo (1811-1896). Dopo la soppressione degli ordini religiosi decretata da Napoleone nel 1803, i padri francescani riformati Pasquale e Antonio Mascioni lasciano il convento di Rieti e rientrano nel paese natale di Cuvio, in Valcuvia, e consigliano al giovane nipote Giacomo di dedicarsi all’arte organaria.

I padri francescani riformati Pasquale e Antonio Mascioni. © CdT/Chiara Zocchetti
I padri francescani riformati Pasquale e Antonio Mascioni. © CdT/Chiara Zocchetti

La fondazione della fabbrica
Dopo un periodo di formazione a Varese ed essersi perfezionato sotto la guida dell’organaro Gaspare Chiesa, ospite dei padri Pasquale e Antonio a Azzio, Giacomo nel 1829 apre a Comacchio di Cuvio la Fabbrica d’organi Mascioni.

Lo sviluppo della dinastia
Nei primi anni l’attività di Giacomo Mascioni si svolge nelle zone limitrofe e si espande poi nelle valli del Ticino. Ben presto Giacomo è aiutato nell’arte dai figli Anacleto (1837-1893), Bernardo (1844-1890) e Gaspare (1848-1893). Con loro costruisce strumenti anche notevoli secondo lo stile lombardo dell’epoca: somieri «a vento», trasmissioni meccaniche spesso complesse. Nel 1883 il nipote di Giacomo, Vincenzo, figlio dodicenne di Bernardo, poi morto nel 1953, inizia il tirocinio in fabbrica. Alla morte prematura del padre e degli zii Vincenzo assume la direzione della fabbrica sviluppandone l’attività, cogliendo le esigenze dell’epoca e dominandole con la sua solida personalità artistica.

Sotto la sua guida, con l’aiuto dei figli maschi Giacomo (1897-1975), Ernesto (1898-1980), Giovanni (1905-1979), Angelo (1907-1969), Vincenzo (1910-1975) e Tullio (1914-1999), la ditta cresce d’importanza, grazie anche ai collaboratori assunti nella popolazione locale, spesso pure ingaggiati di padre in figlio. La Mascioni Organi raggiunge livelli tecnici d’avanguardia e notorietà mondiale.

In seguito la conduzione della fabbrica di Azzio passa nelle mani di Eugenio (1932), Enrico (1934) e Mario Mascioni (1937), figli di Ernesto, e infine dei nipoti Andrea (1965) e Giorgio (1966), i cui padri sono Eugenio ed Enrico.

L’organo della Cattedrale  della Cattedrale di Santa Maria a Tokyo. © mascioni-organs.com
L’organo della Cattedrale della Cattedrale di Santa Maria a Tokyo. © mascioni-organs.com

Le principali realizzazioni
Ecco dove si trovano gli organi più importanti costruiti dai Mascioni: Pontificio di Musica Sacra a Roma, Sala Nervi in Vaticano; Abbazie di Montecassino, San Martino delle Scale a Monreale e Subiaco, Santuari di Pompei, Loreto e Fatima; Duomo di Milano, Firenze, Pisa, Brescia, Cremona, Parma, Cosenza, Agrigento, Ravenna e Catania; Basilica del Santo a Padova e di San Francesco ad Assisi; Pontificio Collegio Nord Americano a Roma; Cattedrali di Tokyo, Lugano e Santiago de Compostela; Chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento; Conservatorio di Padova.