Medio Oriente

Quei cinque giornalisti uccisi a Gaza in diretta TV

Sono almeno 20 le persone che hanno perso la vita a causa dei colpi di obice sparati da un tank israeliano contro l'ospedale Nasser
L’ospedale Nasser di Khan Younis, una delle poche strutture sanitarie ancora funzionanti nella Striscia, è stato bombardato ieri dall’Esercito israeliano. ©Abed Rahim Khatib
Dario Campione
25.08.2025 20:00

Essere uccisi in diretta TV. Succede, in guerra, a chi sceglie di raccontare stando con coraggio in prima linea. E succede persino di filmare la propria morte. Hussam al-Masri era un cameraman free-lance. Lavorava per l’agenzia britannica Reuters nella Striscia di Gaza. Filmava la tragedia del conflitto mediorientale. Era un testimone. Uno dei pochi ancora in grado di riportare i fatti e descrivere la realtà. Non lo farà più. Mentre era al lavoro con la sua telecamera, è stato ucciso da un colpo di mortaio sparato da un tank dall’esercito israeliano (IDF) contro l’ospedale Nasser di Khan Younis, a sud di Gaza City.

Nell’attacco all’ospedale Nasser sono morte almeno 20 persone. Cinque erano giornalisti. Oltre ad al-Masri, hanno perso la vita Mariam Abu Dagga, che lavorava per l’Associated Press; il cronista di al Jazeera Mohammed Salam; il fotoreporter Moaz Abu Taha; e Ahmad Abu Aziz di Quds Feed Network (QNN), il più grande portale d’informazione palestinese indipendente. Un altro giornalista della Reuters, Hatem Khaled, è rimasto invece ferito.

Un video dell’agenzia di stampa Alghad TV - il canale di notizie panarabo fondato nel 2012 in Egitto - mostra gli operatori della protezione civile che indossano giubbotti arancioni e i giornalisti con le pettorine sulle quali spicca la parola «PRESS» colpiti da un obice mentre tentano di salvare il corpo di al-Masri, ucciso poco prima nell’attacco al quarto piano del nosocomio. Negli istanti che precedono la loro morte, tutti alzano le mani per proteggersi.

La conferma dell’IDF

Anche per Israele è stato impossibile negare quanto accaduto. Nel primo pomeriggio di oggi, in un comunicato diffuso sui propri canali social, l’Esercito di Tel Aviv ha ammesso i fatti. «Questa mattina, le truppe dell’IDF hanno effettuato un attacco nell’area dell’ospedale Nasser a Khan Younis. Il Capo di Stato maggiore generale ha ricevuto l’ordine di condurre un’indagine il più presto possibile. L’IDF si rammarica per qualsiasi danno a individui non coinvolti militarmente e non prende di mira i giornalisti in quanto tali. L’IDF agisce per mitigare il più possibile i danni alle persone civili, mantenendo la sicurezza delle truppe dell’IDF».

Secondo quanto ricostruito dai giornalisti di Haaretz, «l’ospedale non è stato colpito dall’aria, ma da un carro armato che ha sparato un proiettile verso una telecamera installata nell’area. Le forze sul campo hanno detto che pensavano fosse una telecamera di Hamas utilizzata per osservare le forze israeliane». Il carro armato ha poi «sparato un secondo proiettile per assicurarsi che la telecamera venisse colpita». È stato questo secondo obice a «colpire il personale medico che cercava di curare i feriti del primo bombardamento».

Alti funzionari militari, scrive ancora Haaretz, «mettono però in discussione la versione degli eventi fornita dalle forze di terra. Dicono che l’area è piena di telecamere e che non è chiaro il motivo per cui sia stato deciso di attaccare questa specifica telecamera. Inoltre, non è chiaro chi abbia autorizzato a sparare proiettili contro un ospedale, una struttura sensibile il cui “targeting” richiede l’approvazione di un alto ufficiale. “Non è chiaro chi abbia dato l’ordine di colpire un ospedale a causa di una telecamera”, ha detto una fonte militare ad Haaretz. “Questo avrebbe potuto essere fatto in un modo molto più preciso”».

Oltre ai cinque giornalisti, nell’attacco all’ospedale Nasser sono stati uccisi anche quattro operatori sanitari: i medici Mohammed Mansour Jumaa al-Ajili, Jumaa Khaled Jumaa al-Najjar, Abdullah Ahmad Mohammed Amer; e uno studente di medicina in procinto di laurearsi, Mohammed Mahmoud Ismail al-Habibi.

Le reazioni

La notizia della strage di Khan Younis ha fatto il giro del mondo molto rapidamente. Le reazioni sono state tutte di sdegno. «I giornalisti non sono un obiettivo. Gli ospedali non sono un obiettivo» ha detto nel pomeriggio la portavoce delle Nazioni Unite per i diritti umani, Ravina Shamdasani. «L’uccisione di giornalisti a Gaza dovrebbe sconvolgere il mondo, non in un silenzio attonito, ma verso l’azione, chiedendo responsabilità e giustizia», ha aggiunto Shamdasani.

In un post su X, il diplomatico svizzero Philippe Lazzarini, capo dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ha scritto: «#Gaza: altri giornalisti uccisi oggi. Messe a tacere le ultime voci rimaste che riferivano di bambini che morivano silenziosamente in mezzo alla #carestia. L’indifferenza e l’inazione del mondo sono scioccanti. Come ha detto Hannah Arendt: “La morte dell’empatia umana è uno dei primi e più significativi segni di una cultura che sta per cadere nella barbarie”. Questa non può essere la nostra nuova normalità futura. La compassione deve prevalere. Cancelliamo questa carestia provocata dall’uomo: apertura dei cancelli senza restrizioni; proteggere i giornalisti e gli operatori umanitari + sanitari. È tempo di volontà politica. Non domani, ora».

Thibaut Bruttin, direttore generale di Reporters Sans Frontières, l’ONG parigina che promuove e difende la libertà libertà di stampa nel mondo, commentando l’attacco israeliano all’ospedale Nasser ha dichiarato che i difensori della libertà di stampa non avevano mai assistito a un regresso così grave per la sicurezza dei giornalisti. Bruttin ha sottolineato che i reporter sono stati uccisi sia in attacchi indiscriminati sia in attacchi mirati che l’IDF ha ammesso di aver compiuto. «Stanno facendo tutto il possibile per mettere a tacere le voci indipendenti che cercano di raccontare ciò che accade a Gaza», ha aggiunto.