La storia

Quel filo sottile che lega Odessa al Ticino

Un’esposizione in Sardegna fa luce sull’opera e la vita di Francesco Carlo Boffo, personaggio che s’intreccia con l’identità architettonica e urbana della città ucraina
© Oleksandr Malyon / Wikipedia
Stefania Briccola
11.03.2023 18:30

Una mostra al museo Man di Nuoro, in Sardegna, fa luce sull’opera e la vita di Francesco Carlo Boffo che s’intreccia con l’identità architettonica e urbana di Odessa. È dedicata al mito della scalinata da lui progettata negli anni Trenta dell’Ottocento nella perla del mar Nero che fu rinominata «Potëmkin» in seguito alla fortuna del celebre film di Sergej Michajlovic Ejzenstejn del 1925. L’architetto ticinese, nato ad Arasio, sopra a Lugano, nel 1796 e morto a Cherson nel 1867, per decenni è stato considerato sardo dagli italiani per una serie di equivoci che la mostra Odessa step chiarisce grazie a ricerche d’archivio. A lui dobbiamo il volto neoclassico della città, simbolo del conflitto in Ucraina, che è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Francesco Carlo Boffo, nel suo ruolo di capo dell’ufficio urbanistico comunale di Odessa, disegnò innumerevoli spazi pubblici, palazzi nobiliari e la scalinata, che unisce la spianata del porto alla piazza de Richelieu, protagonista di una sequenza del film La corazzata Potëmkin tra le più citate del grande schermo. Federico Crimi, storico che ha curato la mostra con Giovanni Francesco Tuzzolino (docente al polo di Agrigento della Facoltà di architettura dell’Università di Palermo) e il contributo di Paolo De Marco, racconta al Corriere del Ticino il lavoro svolto con il Politecnico di Lviv/Leopoli e l’Archivio di Stato della Regione di Odessa che la guerra non hanno fermato.     

Federico Crimi, perché Francesco Carlo Boffo è stato per decenni considerato sardo?
«L’equivoco inizia dal fatto che Francesco Carlo Boffo nasce ad Arasio (Montagnola), sopra Lugano, nel 1796 e viene battezzato e registrato con il cognome paterno che è Boffa. Quando arriva a Odessa, che all’epoca non era ancora Ucraina, ma Nuova Russia, l’architetto cambia il cognome in Boffo perché nelle lingue slave la desinenza femminile in «A» generava confusione. A partire dalla prima bibliografia italiana, che risale agli anni Trenta del Novecento, con i relativi studi sull’infinito flusso di architetti svizzeri e italiani che andavano a costruire in Russia, il cognome Boffo veniva collegato alla Sardegna per via dei rami di una famiglia che era abbastanza nota. In più c’è stata la confusione dovuta allo storpiamento del nome del paese natale dell’architetto ticinese che da Arasio è diventato Orosei, un borgo vicino a Nuoro. La distanza e la mancanza di fonti da verificare hanno fatto il resto. Tuttora il Dizionario biografico degli ucraini ricorda Franc Karlovič Boffo come originario del Regno di Sardegna».

Come è giunto alla certezza dell’origine ticinese di Francesco Carlo Boffo?
«Gli studiosi ticinesi e in particolare l’Accademia di Mendrisio, che di recente ha ripreso le ricerche sugli architetti che hanno lavorato in Russia e Ucraina, hanno sempre considerato Boffo svizzero. Tuttavia non era così automatico che Francesco Boffa e Francesco Boffo fossero la stessa persona. La collaborazione con l’Università di Leopoli e con l’Archivio di Stato della Regione di Odessa in occasione della mostra ha permesso proprio di identificare e valutare tutti i suoi progetti e di vedere progressivamente il cambio di cognome sui documenti che dapprima erano firmati Francesco Boffa e in seguito Francesco Boffo». 

Carlo Boffo era il più importate architetto di Odessa nella prima metà dell’Ottocento

Chi era Francesco Carlo Boffo?
«Secondo il Dizionario biografico degli italiani Francesco Carlo Boffo era il più importate architetto di Odessa nella prima metà dell’Ottocento. A favorire la sua  ascesa furono le strettissime relazioni diplomatiche e commerciali del regno di Sardegna con la Perla del Mar Nero tanto che nell’import-export era al secondo posto tra le nazioni che commerciavano con il porto di Odessa. Gli anni della formazione a Torino hanno cambiato le prospettive dell’architetto e creato le condizioni per l’immigrazione. Quando Boffo arrivò a Odessa fu quasi subito assunto come capo dell’ufficio urbanistico comunale dove rimase dal 1822 al 1844. La città, che era stata fondata nel 1793, necessitava di una forma architettonica e urbanistica».

Possiamo affermare che Francesco Carlo Boffo disegnò il volto neoclassico di Odessa che nel nome riecheggia il grande eroe greco?
«Accanto a una fiumana di svizzeri italiani e italiani di nascita, tra cui la dinastia dei Frapolli e l’architetto Franz Morandi che era milanese, fu proprio Boffo il personaggio chiave di Odessa anche perché progettò i principali palazzi della nobiltà di allora. Fra i ticinesi c’era Giorgio Torricelli, originario di Lugano e coevo rispetto a Boffo con cui ha collaborato, che era anche l’autore della Cattedrale della trasfigurazione di Odessa e di altri edifici importantissimi. Il confine tra Italia e Svizzera appare irrisorio perché comunque tutti questi progettisti portavano all’estero la medesima lingua architettonica. Come diceva Aleksàndr Puškin, che arrivò a Odessa nel 1823, la lingua ricorrente era quella della cultura ed era l’italiano soprattutto nei primi 50 anni di vita della città».

Quali edifici simbolo di Odessa dobbiamo a Francesco Carlo Boffo?
«Fra questi spiccano quelli commissionati dalle principali famiglie nobili. Uno è Palazzo Potocki, ora sede del museo di stato di Odessa, dove è conservato anche un Caravaggio che hanno smontato nei mesi di guerra proprio per metterlo al sicuro. L’altro è Palazzo Voroncov, in fondo al lungomare, relativamente tradizionale, con un colonnato tutto bianco e un belvedere sospeso sul mare che è uno degli angoli più sofisticati della città. L’altro landmark prodotto da Boffo è ovviamente la scalinata, regalata dal conte Voroncov alla moglie, che è al centro della mostra».

Che cosa può dire sul taglio innovativo della scala di Odessa?
«Uno dei meriti di questa mostra oltre a far dialogare arte, cinema e architettura sta proprio nella lettura interpretativa della scala, fatta soprattutto nel saggio di catalogo del professor Giovanni Tuzzolino della Facoltà di architettura dell’Università di Palermo. Questa opera mette in luce il dialogo con la città e il suo impianto urbanistico, ma anche come Boffo abbia rielaborato i modelli di riferimento delle scale urbane e dei palazzi del Seicento nella Roma del Bernini con una sintesi originale. Il collegamento tra la città in alto e il porto in basso non viene fatto con una scala a zig zag o seguendo le curve di livello, ma proponendo un taglio trasversale fortissimo con un asse longitudinale proiettato verso il mare».

Quanto la scala di Odessa colpì Ejzenstejn che vi girò una scena clou del film La corazzata Potemkin?
«Quando Ejzenstejn arrivò ad Odessa colse con occhio cinematografico che la scala proponeva già una scenografia di per sé. È noto che gli episodi della rivoluzione del 1905 a Odessa narrati in quel film non si svolsero su questa scalinata».

La mostra, di grande attualità, è frutto della collaborazione con le istituzioni ucraine e cade nel periodo in cui l’UNESCO ha riconosciuto il centro storico di Odessa come patrimonio universale dell’umanità

La mostra ci porta alla drammatica attualità di una guerra che sta distruggendo il patrimonio architettonico e artistico di Odessa…
«La mostra di grande attualità è frutto della collaborazione con le istituzioni ucraine e cade nel periodo in cui l’UNESCO ha riconosciuto il centro storico di Odessa come patrimonio universale dell’umanità. Uno dei punti nodali della città progettato interamente da Boffo è la statua di piazza de Richelieu con i due edifici semicircolari che in questi mesi di guerra è diventata una delle immagini più ricorrenti perché è interamente coperta di sacchi pieni di sabbia usati per proteggere i vari monumenti dagli attacchi russi».      

Quali sono i prestiti eccellenti della mostra?
«Proprio giocando sui rapporti tra architettura, arte e cinema, abbiamo voluto puntare grazie al Man di Nuoro anche sull’arte figurativa dell’Ottocento nel mondo dell’Europa orientale e proporre nomi a noi sconosciuti che in Russia e Ucraina sono popolarissimi. Tra i prestiti spiccano due straordinari dipinti: una veduta del porto di Odessa del 1885 dell’estone Rufim Gavrilovitš Sudkovski concessa dal Kunstimuseum di Tallin e una marina in tempesta del 1897, proveniente dal Museo nazionale di Varsavia, di Ivan Konstantinovič Ajvazovskij che è un mito popolare come lo è Ciaikovskij per la musica. Per questo prestito i responsabili dell’istituzione hanno preteso che il quadro arrivasse con la scorta armata fino al confine della Polonia. Ci si accorge della tensione che si respira in quei territori e di come le opere d’arte diventino un simbolo dell’identità nazionale».

Come sono stati i rapporti intercorsi con gli studiosi ucraini?
«Ci sono stati rapporti cordiali, ma lenti non per volontà dei colleghi ucraini, ma a causa dei ritmi di vita stravolti dalla guerra. Lo si percepiva dalla tempistica delle risposte. Alcune osservazioni linguistiche hanno tenuto conto di una certa delicatezza. C’era un problema complessivo di grafia e alla fine abbiamo deciso di scrivere Kyiv in ucraino e non in russo. La parte che abbiamo faticato di più a ricostruire è stata proprio il contesto generale. La vicenda di Boffo si inquadra nella storia di Odessa e di quei territori che oggi sono al centro delle vicende internazionali e che fino al 1774 non erano parte della Russia. Infatti li ha conquistati il generale Grigorij Potemkin per conto di Caterina II e poi sono stati chiamati provincia della Nuova Russia e questo nome è stato rispolverato dai separatisti del Donbass all’inizio del 2014».

«Odessa Steps- La Scalinata Potëmkin fra cinema e architettura» mostra al Museo MAN di Nuoro (Italia) fino al 25 giugno 2023. www.museoman.it
In questo articolo: