Quel minuto di silenzio fuori dall'aula

VARESE (dal nostro inviato) - Sembra decisamente destinata a sgonfiarsi la vicenda che per un mancato minuto di silenzio dedicato alle vittime delle stragi parigine da parte di alcuni allievi di quattordici anni, nell'aula di una prima classe dell'Istituto tecnico commerciale Daverio di Varese, mercoledì ha fatto esplodere una fragorosa polemica che ha percorso in un batter d'occhio lo Stivale da Nord a Sud, portando con sé un'ondata d'indignazione anche fuori dai suoi confini. Ripercorriamo i fatti. Lunedì scorso, per ricordare le vittime delle stragi di Parigi scaturite in 130 morti e oltre 300 feriti, le scuole italiane (ma iniziative analoghe sono state decise anche in altri Paesi, Svizzera inclusa) hanno fatto ossevare un minuto di silenzio proposto dal ministro dell'istruzione Stefania Giannini (vedi articolo sotto) con il duplice scopo di sensibilizzare gli studenti sul tema del terrorismo e per ricordare, contemporaneamente, le sue numerose vittime innocenti in segno di solidarietà.
A quella estesa proposta di riflessione, come sappiamo, non ha aderito un gruppo di giovani del «Daverio»: in men che meno è esploso il caso. Ne sono derivate domande, accuse, illazioni, richieste di chiarimento e perfino di provvedimenti per i suoi protagonisti. Sui fatti legati a quel minuto di silenzio negato, che sono stati riportati con enfasi dai mezzi d'informazione e resi ancora più capillari dai social media, sono intervenute personalità politiche autorevoli. Tra queste il sindaco di Varese Attilio Fontana, l'assessore alla Polizia locale e sicurezza Carlo Piatti, come pure i sindaci dei principali Comuni del Varesotto. Neanche a dirlo, ne sono seguite parole al vetriolo che non hanno mancato di coinvolgere in modo più o meno diretto anche rappresentanti delle istituzioni e qualcuno ha anche chiesto il coinvolgimento delle unità speciali di sicurezza dello Stato. Non a caso è stato informato il prefetto Giorgio Zanzi e il segretario della Lega Nord Matteo Bianchi (cfr. Corriere del Ticino di ieri) ha chiamato in causa la Digos, per «accertare se dietro a questo atteggiamento delle sei ragazze marocchine protagoniste dei fatti non ci siano frange estremiste». Insomma, un putiferio. Quest'oggi, però, è la preside dell'istituto varesino Nicoletta Pizzato, intervistata dal nostro giornale, a smorzare i toni della polemica e a spiegare che, fatte le necessarie verifiche con gli stessi allievi che avevano deciso di rinunciare a quel minuto di silenzio e con i loro docenti, «non si giustifica assolutamente alcun allarme».
Cos'è successo, allora? Ce lo spiega la stessa direttrice, che negli scorsi giorni, prima che le fosse dato il tempo necessario per chiarire i fatti, era stata letteralmente sopraffatta dalle richieste di chiarimento giunte dai giornalisti, come pure dai docenti e da alcune delle stesse famiglie degli allievi che frequentano la scuola.
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