Convegno

Quelle minoranze sacrificate

Prenderà il via domenica all’Asilo Ciani di Lugano la rassegna culturale #TIVEDO, con al centro i diritti umani - Verranno analizzate in particolare le condizioni dei tibetani e degli uiguri in Cina - Tra i relatori Uwe Meya, membro di comitato dell’associazione di amicizia Svizzera-Tibet
© EPA/ROMAN PILIPEY
Generoso Chiaradonna
15.02.2024 22:00

A partire da domenica 18 febbraio presso l’Asilo Ciani di Lugano per un’intera settimana si parlerà di Cina e diritti umani. Fino al 24 febbraio, infatti, in occasione della rassegna culturale «#TIVEDO – Sharp Eyes on China» saranno proiettati documentari, allestite mostre, si ascolteranno testimonianze della diaspora tibetana e uigura in Svizzera, per citare due minoranze perseguitate dal regime cinese (il programma completo su qui). Sarà anche l’occasione per approfondire temi (libertà di espressione, sorveglianza sociale, violazione dei diritti umani) spesso tralasciati nel discorso pubblico quando si parla di Cina e di relazioni commerciali con la sua economia. Tra gli ospiti e i relatori della rassegna ci sarà anche il Dr. Uwe Meya, membro di comitato dell’Associazione di amicizia Svizzera-Tibet, esperto di storia e cultura tibetana con il quale abbiamo discusso proprio di questi temi. A Lugano terrà due relazioni: «Educazione forzata e indottrinamento di Stato» il 21 di febbraio dalle 18.30, mentre il giorno dopo alle 15 parlerà di Tibet. «Oltre il mito e la trasfigurazione – Storia e situazione attuale del Tibet» il titolo della conferenza pubblica.

La fascinazione occidentale

In Occidente c’è una sorta di fascinazione per la Cina. Si fanno affari, ci si preoccupa se la sua crescita economica non è adeguata. La Svizzera alcuni anni fa ha anche firmato un accordo commerciale di libero scambio con Pechino ribadito ancora poche settimane fa durante la visita del primo ministro cinese Li Qiang a Berna. Eppure, l’invasione violenta del Tibet da parte della Cina perdura da 65 anni. Come si spiega questa contraddizione? «In Svizzera la politica è spesso determinata da forti interessi economici, mentre – come nell’accordo di libero scambio con la Cina – i diritti umani sono lasciati in secondo piano per non “compromettere” le relazioni diplomatiche», spiega il Dr. Meya, che sottolinea come la massiccia repressione in Tibet che è in corso da anni, non venga quasi più notata dall’opinione pubblica internazionale più attenta ai conflitti attuali come quello in Ucraina o in Palestina. «Contrariamente alla drammatica realtà, il Tibet viene spesso superficialmente descritto come mistico o esotico. Per molte persone è solo un’affascinante destinazione di viaggio», commenta l’esperto. «La Repubblica popolare cinese si sforza di ritrarre il Tibet e la sua popolazione esattamente allo stesso modo: un piccolo popolo vestito in modo colorato, apparentemente felice, ma arretrato e ingenuo. Di recente sono stati utilizzati anche influencer sui social media per rinforzare questa propaganda e il risultato è che ora molte persone credono persino che la giustificazione per l’annessione del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese sia quella di eliminare una «società arretrata che pratica la schiavitù» e che il Tibet ora prosperi economicamente. Ciò che viene ignorato in questa argomentazione è che il settore economico è dominato dalle aziende cinesi e che le persone tibetane sono economicamente emarginate. In occasione della mia conferenza di giovedì 22 febbraio, alle 15, parlerò in dettaglio di questi aspetti e del contrasto tra percezione e realtà del Tibet».

La «sinizzazione» forzata

Nel suo libro «Concentrati sul Tibet» (edizioni Prong Press) ha raccolto numerose notizie dal Tibet sulle pratiche di «sinizzazione» forzata da parte delle autorità cinesi. Pratica utilizzata anche per altre minoranze come gli Uiguri, ma non solo, assieme a quella del lavoro forzato. Anche in questo caso, sono fatti accertati, ci sono rapporti ONU sul tema, ma in Occidente ci voltiamo dall’altra parte in nome del principio di non ingerenza. Si può separare in modo così netto e cinico economia e diritti umani? «Purtroppo, viene fatta una separazione drammaticamente cinica tra diritti umani ed economia. Una giustificazione comune è che stiamo conducendo “un dialogo sui diritti umani” in modo da poter continuare a perseguire senza ostacoli gli interessi economici», spiega il Dr. Uwe Meya. «Tuttavia, questo “dialogo” è rimasto del tutto infruttuoso per oltre 20 anni. È più simile a un “monologo” in cui entrambe le parti parlano l’una accanto all’altra. Ciò è stato evidente anche all’ultima riunione dell’anno scorso, dopo una pausa di diversi anni, quando da parte svizzera erano inizialmente state invitate anche organizzazioni per i diritti umani, ma poi l’invito è stato revocato all’ultimo giorno a causa del veto cinese. Per fortuna, di recente si è diffusa una crescente consapevolezza del fatto che la politica del “cambiamento attraverso il commercio” ha fallito. Ciò è dovuto da un lato al comportamento sempre più aggressivo della Repubblica popolare cinese nella regione del Pacifico, dall’altro all’annessione di fatto di Hong Kong e alle prove evidenti dei più gravi crimini contro i diritti umani contro le popolazioni uigure e tibetane. La politica cinese è percepita in modo sempre più critico. Ciò può essere visto, ad esempio, nel forte aumento del numero di Paesi che hanno rilasciato dichiarazioni critiche nei confronti della Cina nel recente “Esame Periodico Universale” del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. È sempre più diffusa la consapevolezza che dobbiamo assumere una posizione forte contro la Repubblica popolare cinese».

La questione Taiwan

C’è infine il caso Taiwan, isola che la leadership comunista cinese rivendica come provincia ribelle parte del suo territorio. Una tensione che potrebbe degenerare in scontro militare con gli Stati Uniti? «Ci sono grandi differenze tra Taiwan e Tibet», precisa Meya. «Taiwan è economicamente forte e domina l’industria dei semiconduttori, dalla quale dipende anche la Repubblica popolare cinese. Taiwan ha una promessa di protezione da parte degli Stati Uniti e anche i Paesi vicini come il Giappone e la Corea del Sud seguono attentamente la situazione. Il leader cinese Xi Jinping lo sa molto bene. A differenza di Vladimir Putin, è visto come un uomo paziente e che pianifica razionalmente a lungo termine. Anche se cercherà di indebolire Taiwan attraverso minacce e ricatti, calcolerà sempre i rischi che un attacco a Taiwan potrebbe comportare. Al contrario, il Tibet è sempre stato molto debole militarmente ed economicamente ed è quasi dimenticato dall’opinione pubblica mondiale, per cui qui si possono intraprendere azioni spietate».