Focus economia

Rallentamento ma non recessione per la tenace economia svizzera

Il quadro internazionale rimane complicato ma le previsioni della SECO e della BNS confermano la buona difesa elvetica – Il passo inevitabilmente è più lento, però si è ancora in area crescita e questo non era un risultato scontato considerando il contesto
© CdT/Gabriele Putzu
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
25.09.2023 06:00

L’aspetto principale delle previsioni della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e della Banca nazionale svizzera (BNS) è che la Confederazione è in rallentamento ma evita la recessione. I timori su un segno negativo annuo per l’economia elvetica ci sono da tempo e sono cresciuti nei mesi scorsi, sull’onda non soltanto del rallentamento mondiale complessivo ma anche più specificamente della contrazione in atto in Germania, Paese che è il singolo maggior partner della Svizzera, considerando esportazioni e importazioni. Ma le stime rese note nei giorni scorsi da SECO e BNS hanno posto un argine chiaro a questi timori in campo elvetico. Vediamo più da vicino.

Prodotto interno lordo

Nel 2022 la crescita svizzera è stata del 2,4%. Dopo un primo trimestre 2023 solido e un secondo trimestre invece in stagnazione, la SECO prevede ora per quest’anno una crescita del PIL elvetico pari all’1,3%, di 0,2 punti percentuali superiore alle sue previsioni del giugno scorso; per il 2024 la nuova stima è 1,2%, 0,3 punti in meno rispetto a quanto previsto in precedenza, ma appunto parliamo anche per l’anno prossimo di segno positivo e non di recessione. Queste cifre sono al netto degli eventi sportivi, la Svizzera è infatti sede di grandi organizzazioni (ad esempio FIFA e UEFA) che con le loro manifestazioni internazionali creano indotto economico. Il PIL elvetico al lordo degli eventi sportivi è visto dalla SECO in aumento dello 0,8% nel 2023 (stima invariata) e dell’1,6% nel 2024 (-0,2 punti rispetto alle previsioni di giugno). La BNS dal canto suo si limita come sempre a fare la sua previsione sull’anno in corso, indicando per il 2023 una crescita dell’1% circa, inferiore a quella del 2022 ma pur sempre in territorio positivo.

Come vede la SECO la crescita nelle aree economiche maggiori? Per gli Stati Uniti prevede una crescita del 2% quest’anno e dell’1% il prossimo, per l’Eurozona rispettivamente 0,5% e 1% (con la Germania a -0,3% e 0,9%), per il Regno Unito 0,4% e 0,8%, per il Giappone 1,6% e 0,9%, per la Cina 5,1% e 4,6%. Ad eccezione dell’economia cinese, che peraltro aveva molto frenato in precedenza, tutte queste previsioni indicano rallentamenti rispetto al 2022, come si può ben capire a causa delle tensioni economiche e geopolitiche internazionali. Ma in tutte queste previsioni, con l’eccezione di quelle per la Germania in recessione quest’anno e poi in parziale ripresa il prossimo, non ci sono indicazioni di segni negativi annui. E guardando l’insieme delle cifre la Svizzera nel complesso come si vede si difende bene.

Rincaro

La BNS ha deciso di lasciare il tasso di riferimento sul franco all’1,75%, evitando per ora altri rialzi. Una decisione consentita dal livello dell’inflazione elvetica, inferiore a quelli delle maggiori aree economiche. Nell’agosto di quest’anno il tasso di inflazione svizzera su base annua si è fermato all’1,6%, una percentuale che è ben al di sotto del picco del 3,5% di un anno prima e che è nella fascia 0%-2%, obiettivo della Banca nazionale. Questa fascia è però da calcolare in media annua, alcuni mesi non bastano; la BNS dunque si è presa una pausa ma non esclude altri rialzi dei tassi, dipenderà dall’evoluzione del rincaro. L’istituto centrale prevede ora medie annue di inflazione del 2,2% sia per il 2023 sia per il 2024 e dell’1,9% per il 2025. La SECO è un po’ più ottimista e prevede il 2,2% per quest’anno e l’1,9% già per l’anno prossimo. A limitare l’inflazione elvetica contribuisce la forza del franco, che rende di fatto meno care le importazioni. E la BNS intende operare, anche attraverso la vendita di valute estere, per tenere alto il franco in questa fase.

Disoccupazione

A determinare il rallentamento dell’economia svizzera secondo la SECO sono soprattutto il freno agli investimenti provocato dai rialzi dei tassi di interesse decisi sin qui e alcuni ostacoli alla crescita delle esportazioni, dovuti sia al contesto mondiale sia all’apprezzamento del franco (è l’altra faccia, quella non positiva, della forza della moneta). Di contro, la tenuta dell’economia elvetica e dunque l’assenza di recessione sono determinate soprattutto dal livello soddisfacente dei consumi privati e dalla buona situazione del mercato del lavoro. Questi ultimi due fattori hanno un legame, infatti è anche la disoccupazione bassa a contribuire al sostegno dei redditi e dei consumi. La media annua della disoccupazione svizzera per la SECO è stata l’anno scorso del 2,2%, sarà del 2% quest’anno e del 2,3% il prossimo. Nonostante questo aumento previsto, i livelli restano contenuti rispetto a quelli della gran parte degli altri Paesi sviluppati. Seppur in un quadro non facile, dati e previsioni indicano che la tenuta economica svizzera rimane.

Le mosse tattiche delle banche centrali sul versante dei tassi di interesse

Nelle due passate settimane i vertici delle principali banche centrali hanno effettuato le loro riunioni periodiche ed hanno preso le loro decisioni sui rispettivi tassi di interesse di riferimento. Gli istituti centrali vogliono far scendere l’inflazione (l’obiettivo per molti è ridurla al 2% in media annua, la Banca nazionale svizzera punta alla fascia 0%-2%) e alzando marcatamente i tassi in funzione anti rincaro nell’ultimo anno hanno ottenuto alcuni successi. Ora la battaglia non è conclusa, ma gli istituti devono prestare attenzione al fatto di non esagerare con i rialzi dei tassi, devono tener conto insomma anche del quadro specifico delle varie economie e questo spiega perché ogni banca centrale ha i suoi tempi e i suoi modi, pur condividendo tutte l’obiettivo della lotta all’inflazione alta.

Le pause nei rialzi

La Banca centrale europea (BCE) a metà settembre ha deciso di alzare ancora di un quarto di punto il tasso di riferimento, portandolo al 4,5%, a fronte di un’inflazione su base annua che nell’Eurozona era in agosto al 5,2%. Settimana scorsa la Federal Reserve americana ha invece deciso di lasciare il tasso di riferimento sul dollaro al 5,50%, a fronte di un’inflazione USA che in agosto era al 3,7%. La Banca d’Inghilterra a sua volta ha lasciato il tasso di riferimento al 5,25%, dopo aver registrato un’inflazione britannica al 6,7% (indice CPI) in agosto. La BNS ha pure lasciato invariato il tasso di riferimento, all’1,75%, a fronte di un’inflazione svizzera che in agosto è rimasta all’1,6%. Tutte le maggiori banche centrali, comprese queste tre che non hanno alzato ulteriormente i tassi, hanno comunque affermato che la lotta ai rincari non è terminata e che sono pronte ad effettuare altri ritocchi all’insù se necessario.

Un tasso più alto dà in genere un vantaggio ad una moneta, perché questa offre un rendimento superiore agli investitori. Ma non è una regola ferrea, ci sono in effetti anche altri fattori in campo. Ora, è interessante vedere se e come queste ultime mosse delle banche centrali potranno riflettersi in modo netto sul valore delle rispettive monete oppure no, sapendo appunto che occorre tener presente anche l’andamento delle rispettive economie, elemento che pure incide sui cambi.

L’euro nell’ultimo anno ha riguadagnato terreno sul dollaro USA, fermandosi però nelle ultime settimane e cedendo alcune frazioni al biglietto verde. Il fatto che la BCE abbia nuovamente alzato il tasso sull’euro e che invece la Fed non l’abbia fatto potrebbe dare un vantaggio alla moneta unica europea, però ci sono da considerare altri elementi: è vero che si potrebbe andare verso un tetto al rialzo dei tassi e che la distanza Fed-BCE si è ridotta, ma la banca centrale americana per ora ha comunque un tasso più alto; inoltre, la resilienza dell’economia USA è ora maggiore di quella dell’economia dell’Eurozona. Ci sono quindi fattori che si confrontano e tutto ciò potrebbe portare, secondo molti esperti, a oscillazioni limitate per l’euro/dollaro nei prossimi mesi, e semmai ad un lieve vantaggio per la valuta USA.

L’andamento del franco

Nell’ultimo anno il franco svizzero ha guadagnato terreno sul dollaro ed è rimasto sostanzialmente stabile sull’euro, rispetto al quale era però salito nella fase precedente. Il fatto che la BNS abbia deciso per una pausa nel rialzo dei tassi potrebbe dare un vantaggio all’euro, che ha incassato il nuovo rialzo BCE, rispetto al franco. Ma anche su questo versante molti esperti ritengono che difficilmente ci sarà un forte recupero dell’euro, e questo per due motivi principali: la BNS in questa fase vuole il franco ben forte, come fattore anti inflazione, e ha ribadito di essere disposta a vendere valute estere per attuare la sua linea; la resilienza dell’economia svizzera attualmente è migliore di quella dell’Eurozona. Il primo di questi due motivi vale anche per il dollaro/franco, ragion per cui sono in molti a prevedere una sostanziale stabilità per questo cambio nei prossimi mesi.