Rapina al Louvre, anche nei musei elvetici il livello d’attenzione è massimo

La rapina di ieri al Louvre riapre, inevitabilmente, la discussione sulla sicurezza di tutti i musei del mondo, compresi - è ovvio - anche quelli svizzeri. Quanto accaduto a Parigi, può succedere anche nella Confederazione?
«La consapevolezza riguardo a potenziali rapine nei musei è effettivamente aumentata negli ultimi anni e il tema riceve attenzione anche da parte nostra - dice al Corriere del Ticino la direttrice del Museo nazionale svizzero, Denise Tonella, la quale conferma anche l’esistenza di protocolli di sicurezza dettagliati per tutti gli spazi espositivi e per l’intera collezione» dell’istituzione zurighese. Le «informazioni su eventuali investimenti o i dettagli sulle misure di sicurezza sono invece riservate», spiega ancora Tonella, ma è chiaro che il livello di attenzione è massimo.
Tanto che, alla domanda sull’opportunità di conservare in cassaforte gli originali delle opere più preziose e di esporre al pubblico soltanto copie, la direttrice del Museo nazionale lascia una porta aperta: «Sarebbe deplorevole - dice - dover sottrarre sistematicamente al pubblico opere e oggetti che rappresentano importanti testimonianze del passato e che fanno parte del patrimonio culturale di intere società, solo perché potrebbero potenzialmente essere rubati. Occorre, però, valutare caso per caso, e in alcune situazioni può essere necessario esporre non l’originale, ma una replica».
Opere d’arte nel mirino
Il punto è che «un museo non nasce per difendersi da aggressioni criminali», dice al Corriere del Ticino Francesco Paolo Campione, direttore del Museo delle Culture (MUSEC) di Lugano.
«L’impenetrabilità totale di un museo è impossibile, i costi sarebbero elevatissimi e nessuno è in grado di sostenerli. Inoltre, un museo non è strutturalmente creato per resistere a una rapina a mano armata o a un’incursione con le motoseghe. È vero, gli impianti d’allarme sono sempre più raffinati, così come i sistemi di videosorveglianza, ma un conto è Arsenio Lupin, un altro conto è Renato Vallanzasca. Noi investiamo un’ampia quota del nostro bilancio per assicurazioni e guardiania, centinaia di migliaia di franchi. Ma la sempre maggiore attrazione delle opere d’arte resta comunque un fattore di rischio. Non possiamo pensare di avere le guardie armate nelle sale, alla fine è meglio non esporre le cose più preziose».
Il valore delle opere d’arte, dice ancora Campione, «sta crescendo in modo esponenziale e induce a qualche riflessione. Molte di queste opere d’arte sono diventate oggetto di attenzione maniacale: danneggiare un dipinto, una scultura significa oggi colpire i valori di cui essi sembrano essere espressione. Una manifestazione d’immensa stupidità, che pone tuttavia interrogativi e sollecita soluzione a chi deve tutelare le stesse opere».
Resta il fatto che i ladri non si fermano nemmeno davanti a oggetti apparentemente invendibili. «Sul mercato nero esistono numerose possibilità di rivendere opere d’arte e beni culturali - dice ancora Denise Tonella - A volte i metalli preziosi sono fusi, le pietre sono tagliate e poi reimmesse nel mercato. Esistono anche casi in cui è richiesto un riscatto per la restituzione di ciò che è stato rubato».
Per i gioielli del Louvre, concorda Campione, «le ipotesi più probabili sono tre: il furto su commissione di un feticista di Napoleone, nel mondo ce ne sono tanti; un furto in vista di un riscatto; e, purtroppo più probabile e dannosa delle altre due, la fusione dell’oro e il taglio delle gemme. In questo caso, gli oggetti rubati scompariranno per sempre. E il danno sarà irreparabile».