Scienza

Ricerca, quando la ricetta elvetica è vincente

l nostro Paese è da sempre all’avanguardia nel settore delle innovazioni e del loro sfruttamento pratico, ecco perché
Laboratorio dell’Istituto di ricerca in biomedicina di Bellinzona (Foto CdT).
Simone Pengue
02.01.2019 19:00

La Svizzera è una Nazione piccola, con un aspro territorio alpino privo di risorse naturali. Da secoli l’unica soluzione per sopravvivere è stata l’inventiva e la creatività. La continua necessità di reinventarsi ha portato allo sviluppo del settore bancario, del turismo e, soprattutto, delle tecnologie. Così nel corso dei secoli si è stabilita una lunga tradizione di innovazione che, contrariamente ad altri Paesi, abbiamo saputo sfruttare economicamente con applicazioni costantemente all’avanguardia. Per constatare l’eccellenza dei nostri risultati, basta considerare che in totale sono stati assegnati ai nostri ricercatori ben 21 premi Nobel tra fisica, chimica e medicina, l’ultimo dei quali vinto nel 2017 dal chimico Jaques Debochet dell’Università di Losanna. Risultato che ci posiziona sesti al mondo, davanti a Nazioni ben più popolose come Italia (13), Russia (16) e Olanda (19). Il numero di brevetti è un altro indicatore del successo della nostra ricerca tecnologica: se in termini assoluti siamo ottavi al mondo, dividendo il numero di brevetti internazionali per la popolazione otteniamo la seconda posizione, dietro al Giappone. Risultato confermato per la ricerca di base, dove il numero di articoli scientifici su riviste specializzate per abitante è il più alto del pianeta. Non ci sono dubbi quindi sulla qualità del lavoro dei ricercatori rossocrociati, ma quali sono i fattori chiave che ci permettono di raggiungere un traguardo simile? Come può un Paese così piccolo competere a testa alta con rivali apparentemente di tutt’altra stazza? Nonostante sia facile pensare che si tratti solo di finanziare adeguatamente gli scienziati, un’occhiata più attenta rivela che i soldi, da soli, non bastano a creare un ambiente favorevole allo sviluppo tecnologico. Ovviamente il denaro fa la sua parte e la Svizzera lo sa bene: investendo in totale il 3,4% del suo PIL in ricerca e sviluppo si posiziona al quarto posto mondiale, dietro a Israele, Corea del Sud e Giappone.

Collaborazione pubblico-privato
Il primo segreto del suo successo è la grande collaborazione tra pubblico e privato. Oltre il 70% del totale degli investimenti elvetici in ricerca e sviluppo viene da aziende d’avanguardia. Un esempio eccellente è l’alleanza tra l’università di Basilea e la casa farmaceutica Novartis, le cui sedi sono distanti poco più di un chilometro. Le due entità gestiscono assieme l’Istituto di biologia molecolare Friedrich Miescher (FMI) che, affiliato all’università di Basilea, riceve la maggioranza dei suoi fondi da Novartis. Assieme decidono gli obiettivi strategici e le linee guida, ma gli scienziati sono liberi da ogni vincolo e possono condurre le ricerche seguendo il proprio istinto. Una volta sviluppata una nuova molecola per un farmaco, la multinazionale ha il diritto di acquistare i diritti dei brevetti prima che vengano interrogate altre aziende potenzialmente interessante. Così da una parte l’Università può svolgere un’attività di ricerca scientifica senza pesare eccessivamente sulle casse cantonali, dall’altra un’azienda locale può crescere ed essere sempre competitiva. Un circolo virtuoso che crea sia posti di lavoro per i giovani laureati che grossi introiti per l’erario. Questo tandem è – secondo la prestigiosa rivista «Nature» – il più fruttuoso al mondo in termini di risultati pubblicati congiuntamente su giornali di alto profilo ed ha creato nella città di Basilea una delle più vivaci comunità del mondo di scienze biologiche.

Apertura al mondo
Il secondo fattore determinante per la qualità della ricerca svizzera è l’altissima presenza di ricercatori stranieri. In un periodo in cui il tema dell’immigrazione divide l’opinione pubblica, la comunità scientifica trae invece profitto dallo scambio di idee, di conoscenze e di abilità tra persone di provenienza differente. Una popolazione di soli 8 milioni di persone non riesce a soddisfare tutta la richiesta interna di profili scientifici altamente specializzati: bisogna quindi importare talenti dall’estero, tanto che oltre la metà dei ricercatori che lavorano nella nostra ricerca pubblica provengono da altri Paesi. L’alta qualità della vita, i salari competitivi, la semplice procedura per ottenere un visto di ingresso e la garanzia di entrare in istituti prestigiosi, sono tutti fattori che contribuiscono ad attirare ricercatori da ogni parte del mondo. In testa svettano i tedeschi, seguiti da francesi, italiani e inglesi. Non c’è da stupirsi quindi che il matematico italiano Alessio Figalli, vincitore della prestigiosissima medaglia Fields nel 2018 (il «Nobel della matematica»), lavori al Politecnico federale di Zurigo.
Le collaborazioni con la comunità internazionale avvengono anche su altri fronti, come la condivisione di infrastrutture dai costi molto elevati. L’esempio più noto è indubbiamente il CERN, il più importante laboratorio di fisica delle particelle del mondo che è stato costruito nel nostro territorio su accordo di 12 Paesi europei nel 1954. Attualmente finanziato da 22 Nazioni, è sfruttato quotidianamente da ricercatori europei e non. In altre situazioni siamo noi a ricorrere a strumenti situati altrove come l’Osservatorio europeo dell’emisfero australe (ESO) in Cile, utilizzato anche dai nostri astronomi per studiare i corpi celesti non visibili a nord dell’equatore.
Il quadro si completa infine con un eccellente sistema scolastico, con ben 5 università che si posizionano solidamente entro le prime centocinquanta della nota classifica stilata annualmente dalla rivista britannica specializzata «Times Higher Education». Uno sforzo collettivo che porta vantaggi diretti alla nostra economia, anche per chi non si occupa direttamente di ricerca. Oltre il 70% dell’esportazione totale proviene infatti da prodotti di alta e media tecnologia e nel settore è impiegata più del 20% della forza lavorativa svizzera. Il lavoro che sta a monte di una ricerca scientifica nasce insomma ben prima che si comincino a maneggiare microscopi e provette. Parte da strategie politiche lungimiranti, passa da accordi bilaterali con altre Nazioni e arriva ad una solida organizzazione interna.

UNA FONDAZIONE CHE PROMUOVE LA CREATIVITÀ

Per poter eccellere in un settore estremamente competitivo non è sufficiente stanziare dei fondi, ma bisogna anche saperli spendere in maniera lungimirante. La maggioranza della ricerca pubblica è finanziata dal Fondo nazionale svizzero (FNS), una fondazione che dispone di un mandato federale per promuovere e finanziare la ricerca nella Confederazione. Suo compito primario è scegliere i progetti da sviluppare, selezione che avviene attraverso un sistema competitivo. Questo spinge gli addetti ai lavori a dare sempre il massimo, perché solo attraverso grandi idee si riesce ad ottenere dei fondi. La valutazione è caratterizzata dalla trasparenza, dall’integrità scientifica e confidenzialità. Significa che vengono utilizzati sempre chiari criteri oggettivi e uguali per tutti, rispettando i valori morali del lavoro scientifico concernenti l’originalità del lavoro e l’attribuzione dei meriti a chi spettano realmente, garantendo pari opportunità e assenza di discriminazioni.
Al fine di garantire la qualità della ricerca e della valutazione, il Fondo nazionale svizzero ha elaborato un rigido sistema di selezione diviso in tre passaggi, cercando di promuovere una sana competizione tra gli scienziati fondata sul merito. I progetti nascono dalle competenze e dalle capacità creative dei ricercatori, che propongono spontaneamente la propria idea. Il primo passo per l’approvazione è soddisfare tutti i requisiti formali. Poi il progetto viene mandato a dei ricercatori esterni, spesso all’estero, non noti a chi cerca di ottenere in finanziamento. Questi esperti valutano la rilevanza scientifica, l’originalità del lavoro e la sua collocazione sui temi di ricerca attuali nella comunità, ma anche la concreta possibilità di raggiungere l’obiettivo. Ognuno dei revisori invia un rapporto ad un esperto interno del Fondo che a sua volta redige una relazione per la commissione di valutazione, cui spetta la decisione finale. Nel giro di soli sei mesi dall’invio del progetto, gli scienziati hanno una risposta definitiva e, in caso di parere negativo, vengono spiegate dettagliatamente le motivazioni.

Il Fondo nazionale svizzero ha elaborato un sistema di selezione dei progetti meritevoli di un sostegno che promuove una sana competizione tra scienziati

In alcune situazioni è necessario investire risorse sulla risoluzione di problemi specifici e concreti. Attraverso i Programmi nazionali di ricerca, il Fondo nazionale svizzero incentiva il lavoro su queste tematiche, elargendo fondi mirati. Tra i Programmi nazionali di ricerca ora attivi si possono trovare questioni scottanti come la gestione delle risorse di legname, la crescita economica sostenibile o la resistenza dei batteri agli antibiotici.
Per ottimizzare la cooperazione interna il Fondo ha sviluppato un innovativo modello organizzativo, basato sui Centri nazionali di competenza nella Ricerca (NCCR). Ognuno di questi 36 consorzi raccoglie tutti i gruppi di ricerca svizzeri che affrontano una specifica linea scientifica. Ne possiamo trovare in tutti i settori della ricerca: si va dal NCCR dedicato alle malattie mentali a quello per la comprensione degli impatti dell’immigrazione sull’economia. Questa organizzazione crea la possibilità di maggiori scambi di competenze, idee ed energie; tutti competono per la realizzazione di un unico obiettivo, ma ciascuno utilizza un approccio proprio. Il Fondo nazionale svizzero si occupa anche di promuovere periodi di lavoro scientifico all’estero per giovani svizzeri. Nel 2017 ha permesso a 488 giovani ricercatori di cominciare la loro carriera in prestigiose università straniere sostenendoli economicamente per un periodo di due anni.
Nel 2017 questa fondazione ha investito oltre un miliardo di franchi nella ricerca, il 23% dei quali è andato alle facoltà umanistiche e scienze sociali, il 38% a matematica, fisica e ingegneria ed il 39% a biologia e medicina. Attualmente ci sono 5.800 progetti attivi in tutta la confederazione finanziati dal Fondo che coinvolgono oltre 16.000 ricercatori (dati del 2017). «È difficile riuscire a tratteggiare delle relazioni di causa-effetto in questo complesso sistema. Attualmente non si sa come il finanziamento della ricerca influenzi la quantità e la qualità dei suoi risultati», hanno spiegato i responsabili della fondazione da noi contattati. «Dobbiamo dunque restare aperti e attrattivi per i migliori scienziati e del mondo». Nonostante il clima di tensione che spesso si crea attorno a questo tema, sembra dunque che siano proprio la multiculturalità e l’internazionalità la chiave del successo svizzero: un’altra lezione che la scienza ci dà.

I PREMI ANNUALI DEL FONDO NAZIONALE SVIZZERO

Con una produttività scientifica tanto ampia e diversificata è difficile dire quali siano i maggiori successi dell’anno corrente. E proprio per mettere un po’ d’ordine il Fondo nazionale svizzero assegna annualmente tre rinomati titoli a ricercatori che si sono distinti per le loro scoperte. Nel 2018 sono stati premiati lavori in campo biologico, geopolitico e medico.
Il 29 novembre è stato consegnato il premio «Marie Heim-Vögtlin» alla giovane dottoressa Sara Montagner (nella foto sopra) che ha svolto i suoi lavori all’Istituto di ricerca Biomedica di Bellinzona. Un motivo d’orgoglio per la ricerca ticinese, che mostra di voler accorciare le distanze con gli istituti d’oltralpe. Montagner ha studiato l’effetto di cambiamenti del DNA sui mastociti, un particolare tipo di globuli bianchi nel sangue. Al termine del suo lavoro a Bellinzona si è spostata a Basilea per entrare nei laboratori della multinazionale farmaceutica Novartis.
Il premio «Marcel Benoist» è invece andato al professor Lars-Erik Cederman, per le sue ricerche sulla costruzione politica della pace e il coinvolgimento delle minoranze etniche. Caderman ha raccolto dati sul rapporto tra disuguaglianza e conflitti degli ultimi sessant’anni, inventando un nuovo modello di analisi che unisce l’evidenza empirica a sofisticati strumenti teorici. I dati sono una combinazione di immagini satellitari e interviste ad esperti del settore. Grazie ai suoi risultati è possibile comprendere meglio le cause reali dei conflitti e trovare soluzioni concrete.
La professoressa Andrea Ablasser è stata infine insignita del premio «Latsis» come riconoscimento dei suoi lavori sull’azione dei virus del corpo umano. In particolare ha osservato il meccanismo di reazione innato delle cellule alla presenza di un virus sviluppando nuovi metodi terapeutici per le malattie autoimmuni, le infiammazioni croniche e i disordini neurodegenerativi. Le sue scoperte l’hanno portata ad aprire una start-up per poter produrre e commercializzare questo nuovo farmaco.