«Ripensare la tecnologia mettendo al centro l'uomo»

Fisico, inventore, imprenditore, adesso anche filosofo. Federico Faggin, figura centrale della tecnologia moderna, ha dato impulso alla rivoluzione digitale grazie a invenzioni come il touchpad e il touchscreen. L’84enne. che oggi si dedica anche alla fisica quantistica, ha raccontato la sua straordinaria carriera lo scorso ottobre all’USI di Lugano, presentando il suo libro Oltre l’invisibile. Lo abbiamo incontrato per porgli alcune domande.
Lei ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del microprocessore, una rivoluzione che ha trasformato l’economia globale e il nostro modo di vivere. Ma oggi sembra più concentrato su temi come la coscienza e l’etica. Come si è evoluta questa sua visione?
«Quando ho sviluppato i primi microprocessori, il mio obiettivo era chiaro: creare qualcosa di utile e trasformativo. E ci siamo riusciti. Il microprocessore ha dato vita a un’era di straordinaria crescita economica, rivoluzionando ogni settore. Tuttavia, nel tempo mi sono reso conto che, mentre spingevamo la tecnologia sempre più avanti, trascuravamo l’essere umano e i suoi bisogni più profondi. Questa consapevolezza è nata dal mio percorso personale e da una domanda fondamentale: "Qual è il senso del nostro progresso?" Ho iniziato a riflettere sulla natura della coscienza e sul rapporto tra tecnologia ed etica. È stato un cambio di prospettiva che mi ha portato a considerare il progresso non solo come una questione tecnologica, ma come un tema profondamente umano».
Questa necessità di una guida etica sembra centrale nella sua visione. Qual è, secondo lei, il ruolo del mondo scientifico ed economico in questo contesto?
«In un mondo sempre più plasmato dalla tecnologia, chi innova ha il potere di influenzare non solo l’economia, ma anche la società e i valori che la guidano. Innovare non significa solo creare nuovi prodotti o servizi, ma anche chiedersi: "Qual è il valore che sto portando al mondo?" Chi guida l’innovazione deve avere il coraggio di guardare oltre il profitto a breve termine e lavorare per un impatto che sia sostenibile e inclusivo».
Guardando indietro, ha mai percepito una disconnessione tra il successo economico e la realizzazione personale?
«Sì, e credo che molti imprenditori possano capire cosa intendo. Raggiunsi quello che la società definisce "successo": riconoscimenti, stabilità economica, una carriera brillante. Ma dentro di me c’era un vuoto. Mi chiedevo: "È tutto qui?" È stata una crisi di senso, che mi ha spinto a interrogarmi sulle mie priorità e sul significato più profondo del mio lavoro. È stato allora che ho iniziato a esplorare il tema della coscienza e del nostro ruolo nel creare un progresso autentico, non solo materiale ma anche umano».


Ha parlato spesso del rischio di un progresso puramente tecnico. Può farci un esempio concreto?
«Certamente. Pensiamo, ad esempio, al supercomputer di Lugano. È un progetto straordinario, con una potenza di calcolo che può rivoluzionare la ricerca scientifica, dalla biomedicina alla lotta contro il cambiamento climatico. Per quanto sia un’eccellenza tecnologica e una risorsa economica e strategica per la Svizzera è uno strumento che, senza una guida etica e una visione chiara, potrebbe essere usato in modi che amplificano le disuguaglianze o danneggiano l’ambiente. Questo ci ricorda che ogni innovazione tecnica è neutra di per sé: il suo valore dipende da come viene utilizzata. Chi lavora su questi progetti deve avere un approccio inclusivo e assicurarsi che i benefici siano condivisi».
L’intelligenza artificiale è oggi una delle frontiere più promettenti, ma anche più controverse. Lei ha espresso preoccupazioni sul suo impatto. Perché?
«L’intelligenza artificiale ha un potenziale economico enorme, ma nasconde anche un rischio sottile e insidioso. Se iniziamo a trattare gli esseri umani come semplici macchine, perdiamo di vista ciò che ci rende unici: la coscienza, il libero arbitrio, la capacità di amare e di creare. Questo rischio nasce dalla visione riduzionista della scienza moderna, che considera tutto, inclusi gli esseri umani, come sistemi puramente materiali. Ma l’essere umano non è una macchina. Se ci lasciamo guidare da questa prospettiva limitata, rischiamo di costruire un’economia che sacrifica la nostra umanità sull’altare dell’efficienza e del profitto».
Quale messaggio lascerebbe ai giovani che, proprio come ha fatto lei, vogliono affrontare le sfide tecnologiche e globali?
«Agite con visione e responsabilità. Il mondo ha bisogno di innovatori che non solo sviluppino tecnologie straordinarie, ma che si preoccupino anche dell’impatto umano delle loro creazioni. Ogni scelta che fate, ogni prodotto che lanciate, contribuisce a costruire il futuro. Assicuratevi che quel futuro sia non solo prospero, ma anche giusto e umano».