Turismo

Ristoranti e bar pieni, ma manca il personale

In Ticino c’è carenza di cuochi, camerieri e personale di servizio: la tendenza è comune in tutta l’Europa ed è dovuta alla pandemia – Per rendere attrattiva la professione, si pensa alla settimana lavorativa di quattro giorni: in Svizzera centrale il gruppo Remimag ci sta provando
Giona Carcano
28.05.2022 06:00

Cuochi, camerieri, personale di servizio. Profili fino a qualche tempo fa comuni, facilmente reperibili, ma che oggi sono diventati merce rara. La causa è da ricondurre alla pandemia, alla pesante incertezza che ha gravato sul settore della ristorazione per due anni. Un problema diffuso in tutta Europa, in Italia in particolare, e che coinvolge inevitabilmente anche il Ticino. In media, come ci è stato spiegato, nel nostro cantone manca circa il 20% della forza lavoro. Bar e ristoranti sono quindi sotto pressione, anche perché il momento è caldissimo: le strutture alberghiere registrano il pienone per il lungo fine settimana dell’Ascensione, portando nei ristoranti moltissimi clienti. E l’estate è alle porte.

Una ripartenza complicata

La pandemia, dicevamo. Le chiusure prolungate degli esercizi pubblici hanno spinto molti collaboratori a cambiare mestiere. Il risultato? Al momento di ripartire, il settore si è trovato a dover rincorrere il personale. «E la situazione non migliorerà tanto presto, anzi: rischia di aggravarsi nel corso dell’estate», commenta Massimo Suter, presidente di GastroTicino. Lorenzo Pianezzi, presidente di HotellerieSuisse sezione Ticino, dà invece un orizzonte temporale: «Una normalizzazione è possibile soltanto fra un paio d’anni». Anche il settore alberghiero risente della mancanza di personale, seppur in misura minore. «A essere coinvolte sono in particolare le strutture ‘‘stagionali’’, quelle che lavorano a pieno regime da Pasqua in avanti e che quindi prevedono di aumentare il personale solamente in determinati periodi».

Diverso il discorso legato alla ristorazione. Anche perché la difficoltà nel reperire collaboratori si traduce quasi immediatamente in possibili disservizi per la clientela. Un tempo di attesa più lungo al tavolo, ad esempio. Ma più in generale, è la qualità dell’accoglienza a risentirne. «Il problema tocca spesso le cucine, ma anche dal lato del servizio non siamo messi meglio», spiega ancora Suter. «Inoltre, fatichiamo a trovare personale qualificato. Se un esercente possiede tre locali, deve poter contare su gerenti di buon livello. Deve insomma potersi fidare di loro. Se mancano queste figure, il rischio è che la qualità del servizio o della cucina possa abbassarsi».

Chiusure forzate

La portata del problema non è quindi da sottovalutare. Anche perché – oltre al rischio di minore qualità – c’è quello delle chiusure forzate. Ancora Suter: «Se agli esercizi pubblici manca troppo personale, bisogna intervenire riducendo gli orari di apertura. O, nei casi più gravi, introducendo un giorno di chiusura supplementare. Una dinamica che si traduce in una minore offerta a disposizione del cliente». E che ricade sull’attrattività turistica del Ticino. «Porte chiuse, orari ridotti e locali a numero chiuso per cause di forza maggiore non sono certo un bel biglietto da visita per chi intende trascorrere le vacanze da noi», chiosa Suter.

L'esempio del grande gruppo

Le difficoltà nel reperire personale sono sì legate al periodo vissuto durante gli ultimi due anni, ma anche a una certa perdita di attrattività del mestiere. Non tanto per quanto riguarda il salario, comunque regolato da un contratto collettivo di lavoro, bensì a causa dei turni serali e nei giorni festivi. Turni che le nuove generazioni non sono più disposte a coprire, come ha spiegato ieri al Blick Bastian Eltschiger, imprenditore del settore della ristorazione della Svizzera centrale a capo del colosso Remimag (oltre 500 dipendenti). Di qui, l’idea di istituire una settimana lavorativa di quattro giorni, su base volontaria. «La carenza di personale è un problema molto serio», spiega Eltschiger. «Dobbiamo rendere attrattiva la professione per i giovani, concedendo loro più tempo libero». «Questo tipo di modello sta prendendo piede anche in Ticino», conferma da parte sua Suter. «Il CCL del nostro settore permette già di far lavorare i collaboratori quattro giorni con un salario al 100%, a patto però che venga aumentato il carico giornaliero di ore di lavoro». Secondo il presidente di GastroTicino la tendenza è in atto da tempo, «e spalmare le 42 ore settimanali su quattro giorni è una via percorribile, anche se non tutte le strutture possono permetterselo».

La stessa spinta verso settimana lavorativa di quattro giorni la ritroviamo anche nel settore alberghiero. «È chiaro che concedere un giorno libero in più ai collaboratori rende la professione ancora più attrattiva», spiega da parte sua Pianezzi. «Eppure i problemi non mancano, perché significa assumere più personale. Bisogna trovare il giusto equilibrio, magari mettendo mano ai servizi. Significa quindi spingere il collaboratore a svolgere più mansioni. Un cameriere potrebbe ad esempio occuparsi della reception nelle ore pomeridiane. E qui subentra la comprensione del cliente: deve essere consapevole che non potrà avere sempre a disposizione del personale suddiviso per reparto».