«Rolex e altri regali a Trump? Non c’è concorrenza tra diplomazia pubblica e privata»

François Nordmann è un ex diplomatico svizzero di alto livello. Laureato in diritto e in relazioni internazionali, ha servito il Dipartimento federale degli affari esteri dal 1971, ricoprendo incarichi di ambasciatore in Guatemala, Costa Rica, Honduras, Regno Unito e Francia, nonché presso l’UNESCO e le organizzazioni internazionali a Ginevra. Il Corriere del Ticino lo ha intervistato per ragionare sul vertice d’affari tra la delegazione dei sei imprenditori svizzeri e il presidente Trump.
La diplomazia ufficiale – chiediamo – è stata scavalcata? «Non credo. Ricordo, per esempio, che in Francia ogni anno il presidente Macron – ma anche prima di lui il presidente Chirac – riuniva gli imprenditori, i capi d’azienda delle multinazionali attive in Francia. Ed era una cosa normale, vista la loro importanza per il Paese. Non è mai stata considerata una sfida per la diplomazia ufficiale. Per me, quindi, questo incontro alla Casa Bianca tra gli oligarchi svizzeri e Trump è un po’ della stessa natura. Sono dei capi d’impresa che hanno ottenuto un’udienza con un capo di Stato per discutere di affari».
Ma è un bene o un male, quindi? Ancora Nordmann: «Solo il risultato conta. Non credo che si possa parlare di concorrenza tra diplomazia pubblica e diplomazia privata. Del resto, le condizioni enunciate da Trump, per esempio sui rapporti con la Cina, non impegnano la Svizzera. Non avevano alcun mandato e non c’è stata nessuna conclusione ufficiale. Allo stesso tempo, questi imprenditori hanno sbloccato il dossier, facendosi portavoce delle proposte che erano state discusse con l’Amministrazione federale». Alcuni di questi imprenditori erano infatti presenti anche durante il primo incontro a Washington con Keller-Sutter.
Il copione, quindi, era quello. A cambiare è stato il metodo. «Gli imprenditori hanno rilanciato e hanno ottenuto l’udienza perché hanno pagato per averla, cosa che il potere pubblico non poteva fare. Sono stati impiegati mezzi importanti. Oltre ai regali, si sono avvalsi dei servizi di un lobbista, un ex diplomatico che lavora con la figlia del capo del gabinetto di Trump. È stata questa figura, dietro compenso, a ottenere l’udienza». Un metodo al quale difficilmente potrebbe ricorrere la diplomazia ufficiale: «Non riesco a immaginare un ambasciatore che paghi un lobbista per poter passare un quarto d’ora nell’ufficio di un capo di Stato. O vieni ricevuto, perché così funziona la diplomazia, oppure non vieni ricevuto perché l’interlocutore non lo desidera».
Se da una parte la vicenda mette in luce la debolezza dei contatti tra la Confederazione e Trump, dall’altra la situazione è stata comunque sbloccata. Insomma, torniamo al discorso iniziale. Gli imprenditori hanno difeso i propri interessi e, nel farlo, hanno ottenuto un successo che la Svizzera cercava di raggiungere per conto suo. «È un po’ la stessa cosa di quando Chirac convocava il presidente di Novartis per finanziare la sua campagna contro il cancro: anche quello rappresentava un’influenza supplementare della Svizzera. La Svizzera, come Stato, non poteva fare donazioni al fondo francese contro il cancro, ma il presidente di Novartis poteva collaborare a quell’iniziativa pubblica – ed era anche nel suo interesse».
Ma chi fa dunque la politica economica? L’economia o la politica? «Non bisogna illudersi: c’è sempre stata un legame tra interessi economici e diplomazia, ma la rappresentanza degli interessi economici è sempre avvenuta attraverso strumenti e diplomatici ufficiali. Un tempo si parlava dell’ottavo consigliere federale. Insomma, non è una novità che il Governo rappresenti anche gli interessi economici, che poi si riflettono in posto di lavoro e benessere».
