Roma a caccia, «il nostro fisco reagirà»

BERNA - Il fisco italiano è a caccia in Svizzera. Dalle banche elvetiche che hanno svolto attività cosiddette «cross border» (quindi di consulenza finanziaria in Italia) vogliono ricevere, entro 20 giorni, un resoconto delle operazioni degli ultimi anni. Questo per ottenere non solo informazioni su tutti i redditi legati a attività di questo tipo, ma anche i nominativi dei consulenti bancari coinvolti. «I nominativi e i numeri di conto dei clienti li hanno infatti già raccolti tramite la collaborazione volontaria (o “voluntary disclosure”, lo strumento che il fisco ha messo a disposizione dei contribuenti per regolarizzare la propria posizione fiscale, n.d.r.)», sottolinea il consigliere nazionale Giovanni Merlini. Un concetto peraltro già emerso in una intervista del CdT all’avvocato Emanuele Stauffer («L’Italia i dati per procedere nei confronti delle banche svizzere li ha già tutti. Dalle voluntary disclosure sono emersi tutti gli elementi che servono agli inquirenti per tentare di sostenere l’esistenza, in passato, di un modello di business irregolare», cfr. edizione del 15.02). Ieri, durante l’ora delle domande in Parlamento, il deputato ticinese ha chiesto al Consiglio federale di prendere posizione sulla questione e dichiarare come intende «difendere le banche» e chiarire con l’Italia «i dubbi sull’interpretazione e sull’applicazione» della Convenzione italo-svizzera contro la doppia imposizione, che per il deputato in questo caso verrebbe calpestata. Questo a causa della prassi adottata dall’Agenzia italiana delle entrate (AIE, l’organo italiano che svolge controlli sui contribuenti), che inoltra le sue richieste direttamente presso le sedi bancarie svizzere, senza coinvolgere l’Amministrazione federale delle contribuzioni. Una situazione che resta inaccettabile per Merlini.
«Nessun dubbio»
La risposta ricevuta da Ueli Maurer per il consigliere nazionale risulta «deludente». Il titolare del Dipartimento federale delle finanze ha spiegato la richiesta di informazioni (tramite formulario) da parte dell’AIE «non è stata inoltrata solo a banche svizzere», ma anche di altri Paesi. Il consigliere federale ha poi aggiunto che la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie è in contatto con il settore bancario e i colleghi italiani per avere chiarimenti su determinati aspetti legati al controverso formulario. Il termine di 20 giorni non sarebbe inoltre tassativo. Gli istituti bancari che hanno già chiesto una proroga l’avrebbero già ricevuta. Inoltre, secondo Maurer, le autorità italiane lasciano alle banche interessate la possibilità di discutere e chiarire eventuali questioni fiscali aperte con il fisco italiano, «prima di avviare un procedimento formale» contro gli istituti esteri. Da ultimo, per il titolare del Dipartimento federale delle finanze non ci sarebbero dubbi sull’interpretazione e l’applicazione della Convenzione.
«Che questa fishing expedition da parte del fisco italiano non fosse solo nei confronti di banche svizzere, ma anche in altre Paesi, lo sapevamo già», commenta Merlini alla fine dell’ora delle domande. Le altre nazioni coinvolte sono il Principato di Monaco e il Liechtenstein. «A noi però importa sapere cosa fa il Consiglio federale per tutelare le banche svizzere». Il problema per il deputato resta: «C’è un’autorità che fissa il termine di 20 giorni direttamente alle banche senza passare prima dall’Amministrazione federale delle contribuzioni».
Ancora troppi punti interrogativi
«Direi che a questo stadio non ci si aspettava molto di più di una dichiarazione interlocutoria», afferma dal canto suo Alberto Petruzzella, presidente dell'Associazione bancaria ticinese. Il dossier però, afferma, non potrà andare nel dimenticatoio. In ballo ci sono ancora troppe domande aperte. E alcune interessano anche il fisco svizzero. In primo luogo c’è la questione della legalità di fornire le informazioni richieste all’estero. Giuristi sono giunti alla conclusione che non sia possibile senza un’autorizzazione ad hoc da Berna. In secondo luogo c’è il problema della privacy dei collaboratori, sui cui «le banche non vogliono e non possono fare concessioni». E poi c’è la domanda di fondo: «Le banche devono pagare una tassa all’Italia per le attività cross border? Secondo noi no». La questione, sottolinea Petruzzella, deve interessare per forza anche il fisco svizzero, «perché secondo la Convenzione contro la doppia imposizione, se le tasse le si pagano all’estero allora non le si pagano in Svizzera». Nella roadmap per la prosecuzione del dialogo sulle questioni fiscali e finanziarie firmata nel 2015, l’Italia si impegnava a garantire una facilitazione dell’accesso al mercato, indica ancora il presidente. “Ammesso e concesso che ci siano delle imposte da pagare, prima va chiarita anche questa questione».