Processo

Rubava borse alla moda, pochette e portafogli: condannato a 21 mesi sospesi

L’ex addetto alla sicurezza di una ditta con sede nel Luganese è stato condannato per aver rubato e fatto rivendere centinaia di articoli sull'arco di tre anni
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Giuliano Gasperi
08.03.2024 21:00

In pochi mesi 272 borsette, 25 pochette e 12 portafogli per un valore totale di 340 mila euro. No, non è il bilancio di centottanta giorni di shopping sfrenato, ma il bottino di una serie di furti commessi tre anni fa da un addetto alla sicurezza di un’azienda di moda con sede del Luganese. L’uomo, un cinquantunenne italiano residente in Lombardia, è stato condannato dal giudice Marco Villa a ventun mesi sospesi per due anni (dopo il suo arresto, nella primavera del 2021, è stato in carcere per una trentina di giorni) oltre che all’espulsione dal territorio svizzero per cinque.

Il modus operandi era piuttosto semplice. Come emerso durante il dibattimento – caratterizzato per lunghi tratti da questioni formali, anche perché l’accusato era reo confesso – l’uomo veniva al lavoro con uno zaino o un borsone, approfittava del suo ruolo di guardiano per avere accesso indisturbato ai magazzini, caricava quello che doveva, o che poteva, e se ne tornava a casa con la merce. A quel punto, su territorio italiano, entrava in gioco una donna che prendeva in consegna il maltolto e lo vendeva tramite chissà quali canali. Dopodiché i due si dividevano i ricavi. Di lei si stanno occupando le autorità giudiziarie della penisola.

«L’imputato ha sfruttato la sua posizione per tradire la fiducia del datore di lavoro» ha osservato nella sua requisitoria il procuratore pubblico Roberto Ruggeri. «Non lo ha fatto per necessità, perché un lavoro ce l’aveva, anche se i suoi furti, ogni mese, gli rendevano più del suo salario». Ricavo mensile medio grazie agli accessori rubati: 3.500 euro. Salario come addetto alla sicurezza al cento per cento: 2.800 franchi.

L’avvocato difensore Marco Armati si è battuto per la derubricazione del reato da furto aggravato a furto, «visto che la sua durata non è stata corta ma nemmeno così lunga, e che fondamentalmente ha agito sempre da solo, non in banda, e non lo ha fatto nemmeno in modo molto furbo: sarebbe stato facile prenderlo». Ma cosa lo ha spinto a farlo? «Era in grande difficoltà economica: aveva perso la sua casa di proprietà, finita all’asta, ed era sommerso dai debiti». «Tante persone hanno problemi economici – ha risposto il giudice Villa mentre motivava la sentenza – ma non vanno in giro a commettere reati. La sua colpa è grave». La refurtiva era stata parzialmente recuperata e restituita all’azienda, che in aula era rappresentata dall’avvocato Pascal Delprete.