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Sanità, freno ai costi legato ai salari: risposta efficace o boomerang?

L'iniziativa del Centro «per premi più bassi» divide: per gli uni, solo intervenendo alla radice si potrà avere una crescita degli oneri per la salute in linea con quella dei salari – Per gli altri, il meccanismo finirà per penalizzare chi ha bisogno di cure
©Chiara Zocchetti
Giovanni Galli
23.05.2024 06:00

Il favorevole, Giorgio Fonio

Perché introdurre un freno ai costi sanitari nella Costituzione? Ritenete che il sistema non sia in grado di riformarsi?
«Il nostro è un sistema sanitario esemplare che da tempo purtroppo sta dimostrando di non essere più in grado di stare al passo con i tempi e, quindi, l’accesso alle cure ad un costo sopportabile per tutte le fasce della popolazione. Le avvisaglie registrate negli ultimi anni hanno dato origine a varie e necessarie proposte di riforma per ridurne i costi, che però sono sistematicamente state osteggiate, in particolar modo dalle potenti lobby settoriali. A titolo d’esempio pensiamo al fatto che i generici in Svizzera costano il doppio rispetto all’estero, oppure a tutta una tipologia di medicamenti sui quali le farmaceutiche generano utili da capogiro quasi inconcepibili. Ad esempio, una confezione di Pantoprazolo costa il 394% in più in Svizzera rispetto alla Germania, e anche le gocce per gli occhi e l’aspirina sono significativamente più care, con costi aggiuntivi rispettivamente del 131% e del 410%».

Il concetto di freno ai costi suona bene. Ma poi all’atto pratico chi garantisce che funzionerà e che non avrà effetti indesiderati?
«Come spesso accade, i contrari stanno facendo leva sulle paure della popolazione, paventando un improbabile razionamento delle prestazioni mediche erogate. In realtà, allo stato attuale vi sono, delle inefficienze del sistema sanitario che l’Ufficio federale della sanità pubblica ha calcolato tra il 16% e il 19% , che tradotti in cifre significano circa 6/9 miliardi di franchi potenzialmente risparmiabili. Quando si parla di inefficienze, si parla di erogazione di prestazioni non necessarie, di esami eseguiti in doppio a causa della mancanza di informazione tra i vari attori, oppure di ottimizzazione delle risorse. Questi risparmi continueranno a garantire cure di qualità a tutti, correggendo le falle del sistema».

A parte il Centro, sono tutti contrari. Difese corporative o forse indice che qualcosa nell’iniziativa non funziona?
«Il Centro è andato alla radice del problema. Fino ad oggi nessuno lo aveva fatto e questo sta provocando, come era prevedibile, delle reazioni contrarie che confermano come la direzione presa dal Centro a livello nazionale, sia quella giusta. Noi vogliamo continuare a garantire una sanità accessibile a tutti perché continuando su questa strada inevitabilmente arriveremo a una sanità a due velocità».

Si rimprovera all’iniziativa di minacciare l’accessibilità e la qualità della Sanità. All’unisono, gli avversari dicono che il freno condurrà a un razionamento delle cure e a una medicina a due velocità.
«Falso! La verità è che la medicina a due velocità è quella che in parte stiamo già vivendo. Attualmente una famiglia di quattro persone arriva a pagare un premio annuo per la cassa malati di oltre 15 mila franchi. Si stima che entro il 2030 questo salirà ulteriormente, arrivando a quasi i 20 mila franchi. In Ticino 109 mila persone hanno bisogno del sussidio della cassa malati (che costa allo Stato circa 390 milioni di franchi), e il sistema attuale spinge le persone a scegliere franchigie sempre più alte per far quadrare i conti a fine mese, ritrovandosi così sempre più spesso a dover decidere se andare dal medico oppure no. Quindi, quando i contrari parlano di una minaccia all’accessibilità delle cure, purtroppo stanno facendo una radiografia della situazione attuale, cosa che per noi è inaccettabile. La salute deve essere un diritto garantito a tutti».

Se un aumento dei costi giustificato dal punto di vista medico è superiore alla crescita dei salari, perché andrebbe contrastato? I benefici delle cure non sono più importanti?
«Tra il 2010 e il 2020 i costi dell’assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie sono aumentati del 3% all’anno, mentre i salari sono cresciuti unicamente dello 0,7%. Questo divario non può che avere conseguenze nefaste a breve, poiché vi sono degli attori che traggono enormi benefici dallo status quo e altri che invece ne subiscono le pesanti conseguenze sia in termini finanziari, sia in termini di salute. In primis i cittadini, ma anche i medici di famiglia, i pediatri oppure gli infermieri, ecc».

Perché il controprogetto non sarebbe sufficiente?
«Il controprogetto fissa degli obiettivi che però non sono vincolanti, né tantomeno ambiziosi: insomma, l’ennesimo cerotto. Per contro, il carattere vincolante dell’iniziativa del Centro è fondamentale affinché tutti gli attori siano messi di fronte alle proprie responsabilità. Come dicevo sopra, la politica in questi anni non ha messo mano alla situazione, quindi è opportuno dare voce al popolo, permettendogli di indicare alla politica la direzione da prendere».

Come spesso accade, i contrari stanno facendo leva sulle paure della popolazione, paventando un improbabile razionamento delle prestazioni mediche erogate

Il contrario, Franco Denti

L’iniziativa dice che i costi sanitari (da cui dipendono i premi) non possono aumentare più dei salari e che in caso contrario bisogna intervenire. Dov’è il problema?
«L’iniziativa per un “freno ai costi” non è realizzabile ed è pericolosa, crea grandi problemi e non ne risolve neanche uno! La spesa per l’assicurazione di base sarebbe legata all’andamento dei salari e le prestazioni non sarebbero più finanziate in base al bisogno, ma in funzione dell’economia. In caso di crisi economica, le cure per i pazienti dovrebbero costare meno, cioè proprio quando potrebbero essere maggiormente necessarie. L’esempio più eclatante di questo principio sbagliato è quello della pandemia di COVID-19. È stato necessario sostenere l’economia con miliardi e si è fatto ricorso a costose cure intensive come mai prima d’ora. Il freno ai costi danneggerebbe proprio quelle persone che necessitano di aiuto».

Medici e operatori sanitari in generale sostengono che il freno ai costi porterà a un razionamento delle cure e a una medicina a due velocità. Su che cosa vi basate per affermarlo?
«Quando un sistema sanitario è sottofinanziato, le conseguenze sono: tempi di attesa più lunghi e una medicina a due livelli. Sono queste le ripercussioni negative che dovremmo temere con il “freno ai costi”, non solo in caso di crisi economiche e pandemie. Anche in tempi «normali», la cassa malati potrebbe coprire sempre meno prestazioni perché l’aumento dei costi «consentito» risulterà essere più basso. Le cure necessarie dovranno essere pagate privatamente o non saranno più fornite dall’assistenza di base, che è finanziata quasi esclusivamente dall’assicurazione di base. Il Consiglio federale e il Parlamento mettono in guardia dal razionamento delle cure, che colpirebbe soprattutto le famiglie e i nuclei familiari a basso reddito e danneggerebbe proprio le persone che necessitano di aiuto».

In concreto che cosa potrebbe accadere?
«Tutti i fornitori di servizi medici e persino il Consiglio federale mettono in guardia contro il razionamento delle cure. I politici non taglieranno il catalogo delle prestazioni, ma fisseranno il limite dei costi. I medici dovranno quindi decidere cosa fare con i soldi a disposizione. Alcuni pazienti dovranno aspettare più a lungo. Questa sarà la prima conseguenza, anche per coloro che hanno bisogno di cure. Ciò accade già in tutti i sistemi del mondo dove i costi sono limitati. Noi ticinesi conosciamo i tempi della “mutua” della vicina Italia. I pazienti assicurati privatamente, continueranno a ricevere le prestazioni. Aumenterà la disuguaglianza sociale e cadrà il principio di un’uguale accessibilità alle cure per tutti».

Inefficienze, sprechi, falsi incentivi. Ci sono fior di studi secondo cui nella sanità esistono notevoli margini di riduzione dei costi. Il Centro rimprovera ai vari attori del sistema di non avere un vero interesse al risparmio. Non ha forse ragione?
«Un recente studio stima il potenziale di risparmio dell’intero sistema attorno al 20%, ma si riferisce a tutte le inefficienze, non solo ai trattamenti non necessari. Sono un esempio le operazioni effettuate con ricovero anche se potrebbero essere eseguite in regime ambulatoriale con un costo inferiore. Sono incluse anche attività amministrative e burocratiche che non vanno a beneficio dei pazienti, ma che tolgono tempo prezioso all’ascolto e alla cura dei pazienti. Molte di queste opportunità di risparmio non possono essere influenzate dagli operatori sanitari».

Ma quanto è reale la disponibilità degli operatori sanitari a risparmiare? Questa opposizione non è un modo per nascondere l’incapacità di trovare vere soluzioni?
«Gli operatori sanitari sono a contatto diretto con i pazienti e hanno veramente a cuore la ricerca della cura più appropriata, efficace e al minor costo. È la politica, in primis quella federale, a essere in difetto di soluzioni. Sono i premi a essere cresciuti (è il caso del Ticino) negli ultimi anni più rapidamente dei costi delle cure. Ciò è dovuto in parte al fatto che sempre più trattamenti possono essere eseguiti in regime ambulatoriale, come alcuni costosi trattamenti oncologici. Le procedure ambulatoriali sono pagate al 100% dall’assicurazione malattia, pertanto a carico esclusivo dei premi. Per i trattamenti con ricovero ospedaliero, invece, il cantone paga il 55% dei costi. L’introduzione di EFAS (finanziamento unitario ambulatoriale e stazionario), approvato dal Parlamento dopo ben 15 anni di dibattiti, permetterà di finanziare i trattamenti ambulatoriali e ospedalieri nella stessa misura (circa 30% per Cantone, 70% per gli assicuratori malattia), incrementando le attività ambulatoriali, ma a costi e premi inferiori».

Tutti i fornitori di servizi medici e persino il Consiglio federale mettono in guardia contro il razionamento delle cure. I politici non taglieranno il catalogo delle prestazioni, ma fisseranno il limite dei costi
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