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Schietta e solida: ecco Nikki Haley, l'alternativa a Donald Trump

L’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite è la preferita dai conservatori più tradizionali – Ma le manca uno slogan forte
© EPA/Etienne Laurent
Davide Mamone
04.10.2023 06:00

È un mercoledì di fine settembre e sul palco della Ronald Reagan Presidential Library in California, il secondo dibattito tra i candidati repubblicani è lontanissimo dai livelli di retorica per cui l’ex attore e presidente che ne ha dato il nome è diventato celebre. Poi però, come un fulmine a ciel sereno, arriva Nikki Haley: «Onestamente, ogni volta che ti sento parlare, mi sento un po’ più stupida per quello che dici», tuona l’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite dal nulla, attaccando Vivek Ramaswamy, l’imprenditore divenuto famoso di recente per le sue uscite traballanti su economia e immigrazione. Che quella frase abbia trovato in lei una vincitrice del dibattito lo comprovano due fatti. Il primo: Donald Trump ha dedicato a lei e non al governatore della Florida Ron De Santis l’attacco quotidiano post-dibattito. Il secondo: tre giorni dopo, a Clive, cittadina a pochi chilometri dalla capitale Des Moines, mentre la si attende arrivare, di quella performance ancora si parla. «Ma al di là della frase, voto lei perché è l’unica capace di articolare un discorso sul programma», dice Scott Ford, un imprenditore agricolo di 53 anni. Scott riconosce le divisioni all’interno del Paese, ma soprattutto all’interno del partito che dice di aver scelto da quando ha diritto di voto. E che ora non riconosce più, come molti dei 150 giunti a vedere Haley di persona, alla disperata ricerca di un’alternativa a Trump dopo il 6 gennaio: «Credo che, dovessimo sceglierlo di nuovo, verremmo demoliti alle elezioni generali: serve una persona adulta».

«Non un altro avvocato»

In effetti, se la campagna elettorale non fosse così incattivita, Nikki Haley sarebbe considerata una candidata conservatrice perfetta. Ha esperienza in politica estera, avendo servito all’ONU per due anni sotto l’amministrazione Trump. Ha esperienza a livello locale, avendo fatto risorgere il South Carolina dalle ceneri della crisi economica dopo essere stata votata a sorpresa governatrice nel 2011. È una donna figlia di due immigrati indiani che hanno trovato la cittadinanza per vie legali. È una “fiscal conservative”, contraria a qualsiasi investimento pubblico a pioggia. Tanto è vero che quando entra sul palco di Clive, i primi attacchi li rivolge sia ai Repubblicani che ai Democratici in Congresso, rei di avere «regalato soldi a debito senza nessuna parsimonia durante il COVID-19». Se a vedere Trump a Ottumwa c’era la base più a destra, a Clive ci sono i conservatori più tradizionali che vedono nella bipartisanship l’unico modo di governare. Per questo, Haley segue un copione meno disordinato: elenca i problemi del Paese (quasi 7 giovanissimi americani su 10 non capaci di leggere e contare fluentemente, crisi migratoria e debito pubblico) e offre le sue soluzioni. Riconosce l’esistenza del cambiamento climatico. E presenta sé stessa con schiettezza: «Quando ero giovanissima aiutavo i miei genitori immigrati a gestire il loro negozio come commercialista: tenevo i conti e facevo le tasse», ricorda con un sorriso. «Per questo dico a voi ciò che ho detto in South Carolina quando ero candidata a governatrice: non avete bisogno di un altro avvocato, scegliete una commercialista».

Gli «Swifties»

E scherza con sobrietà. Perché quando viene interrotta da due fan di Taylor Swift con la maglietta «Swifties against Nikki Haley», chiedendole se le piacesse ascoltare i brani della cantante, lei li ha lasciati finire, prima che fossero scortati fuori dal palazzetto. Poi ha detto: «Ricordiamoci di quanto siamo fortunati ad avere la libertà di parola». E solo dopo, finito il discorso sul programma, ha aggiunto ridendo: «Ah, in ogni caso: sì, Taylor Swift mi piace». Come dire: prima le cose serie, poi il resto. A mancare, per ora, è uno slogan che funzioni. Perché il «Pick Nikki» (tradotto, «Scegli Nikki») con cui si presenta in queste settimane agli eventi che ricorda più una call-to-action di un’idea di Paese, come invece lo fu «Yes, We Can» per Barack Obama e «Make America Great Again» per Trump. «Sono curiosa di come possa risolvere questo problema», dice Gabrielle, una negoziante di Clive. «Ma non importa: rispetto a Donald Trump, lei è mille volte meglio».

E i Democratici?

Se nel 2019, quando a fare campagna elettorale per i caucus in Iowa c’erano i progressisti e non i conservatori, per molti democratici una riconferma di Donald Trump rappresentava il male politico più assoluto, quattro anni dopo il mondo sembra essersi capovolto. L’entourage di Joe Biden sembra infatti ben consapevole che la ricandidatura dell’ex presidente incriminato rappresenti la migliore chance di mantenere il controllo della Casa Bianca, se non la maggioranza in una delle due ali del Congresso. Biden, infatti, continua a essere percepito come una figura presidenziale molto fragile nel Paese ed è in difficoltà. Secondo le medie FiveThirtyEight.com e RealClearPolitics, non supera il 41% di preferenze. Il 74% degli americani, lo dice un recente sondaggio Washington Post/ABC News, crede sia troppo anziano per ricandidarsi (ne compie 81 a novembre). Il 70% crede che l’economia sia peggio ora di quando si è insediato alla Casa Bianca nel 2021. Il 77% critica le sue performance sul tema immigrazione. E la sua campagna continua a mancare di un messaggio chiaro: da quando il presidente ha iniziato a girare per il Paese a vendere la sua “Bideconomics”, i risultati in termini di gradimento e fondi elettorali non sono stati per nulla stupefacenti.

La regola 40-40-20

Il motivo? Perché negli Stati Uniti c’è una disperata voglia di figure nuove e una disperata richiesta di non rivedere ancora Biden e Trump sul palco, anche tra gli elettori progressisti. Ed è proprio per questo che la base dem, incapace di offrire un’alternativa al presidente uscente, spera che Donald Trump - così divisivo e sempre più estremo nei suoi messaggi - vinca la nomination repubblicana. Perché tra il vecchio volto debole e il vecchio volto che ha incitato l’insurrezione del Campidoglio, l’idea dei dem è che una maggioranza comunque, alla fine, possa scegliere il primo e scartare il secondo. Qui in Iowa, dove ai caucus di quattro anni fa Joe Biden finì appena terzo nelle preferenze dietro a Bernie Sanders e Pete Buttigieg, la si tende a vedere così: se circa il 40% va a sinistra di default e un altro 40% va a destra a prescindere, a decidere le elezioni dovrebbe essere il rimanente 20%, genericamente composto da indipendenti che scelgono di testa e non di pancia. E una maggioranza di quel 20% potrebbe andare di nuovo con Biden, anche perché l’agenda del presidente è tutto sommato popolare: supporto ai sindacati e al diritto all’aborto, investimenti su infrastrutture ed energia pulita, espansione della copertura sanitaria Obamacare e aumento dei salari.

«Sospiro di sollievo»

Per dirla come la condivide al CdT un ex presidente di circolo del partito democratico in Iowa - che preferisce non dire il proprio nome perché «non è il nostro anno elettorale» - la spina nel fianco dei dem potrebbe essere invece una candidata come Nikki Haley. «Quando la vedo bassa nei sondaggi, tiriamo tutti un sospiro di sollievo», dice. «Perché lei è quel genere di candidata che potrebbe vincere Stati-chiave come Wisconsin, Michigan e Pennsylvania». Mentre viene ancora vista come pericolosa l’operazione Robert F. Kennedy, elogiato da molti ai comizi di Donald Trump e guardato con interesse dall’ala progressista ed ecologista del partito democratico per le sue battaglie a favore dell’ambiente come avvocato. «Un terzo candidato è una roulette russa», è il mantra nei circoli dem del Midwest e negli Stati-chiave. Dovesse quel candidato essere un negazionista del COVID e dei vaccini, ancor di più.