Scuola, se il carico di lavoro diventa insostenibile anche per i docenti

La scuola è un cantiere, lo dicevamo a inizio mese in occasione dell’avvio dell’anno scolastico. Un cantiere che, per sua natura, evolve continuamente perché deve restare al passo coi tempi. Non sorprende quindi che tra i diversi fronti aperti figura – come ha riconosciuto lo stesso Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport – anche il grande tema del disagio degli allievi e dei docenti.
«L’insegnamento è il perno dell’attività dei docenti. Sempre più spesso, però, accanto alle loro materie, sono chiamati a far fronte alle crescenti espressioni di disagio degli studenti». Con queste parole, pronunciate esattamente un anno fa alla conferenza di inizio anno, la direttrice Marina Carobbio Guscetti riconosceva l’esistenza di un problema complesso e articolato su cui oggi il sindacato OCST è tornato a fare luce attraverso un sondaggio che illustra proprio il punto di vista degli insegnanti.
Voce ai docenti
«Come comitato docenti abbiamo sentito l’esigenza di raccogliere dati concreti e aggiornati sulle reali condizioni di lavoro degli insegnanti ticinesi», spiega al CdT Davina Fitas, responsabile del settore pubblico e docenti del sindacato cristiano sociale. «Negli ultimi anni si sono moltiplicati i segnali di difficoltà, sia da parte del corpo docente sia da studi indipendenti, che hanno rilevato livelli significativi di stress e di burnout». Di qui, l’idea di dare voce diretta agli insegnanti «per comprendere la distribuzione del carico di lavoro e le attività collaterali che erodono tempo prezioso all’insegnamento».
«42 ore non bastano più»
Secondo il sondaggio, sottoposto online all’intero corpo docenti ticinese attivo nelle scuole pubbliche comunali e cantonali, le 42 ore settimanali previste per un’attività a tempo pieno non bastano più: «Molti docenti sono costretti a dedicare una parte consistente del loro tempo libero alla professione». Spesso si tratta di incarichi lontani dalla loro formazione e dal loro mandato principale, attinente alla pedagogia e alla disciplina di insegnamento, spiega ancora la sindacalista.
«Va riconosciuto che il Dipartimento ha mostrato una crescente sensibilità verso la tematica, introducendo misure di sostegno psicologico, spazi di riflessione e alcuni tentativi di semplificazione amministrativa», ammette Fitas. «Tuttavia, i dati che abbiamo raccolto evidenziano chiaramente che tali interventi non sono percepiti come sufficienti». Per quanto i docenti riconoscano lo sforzo del Dipartimento - prosegue la sindacalista - essi sottolineano che «senza un intervento strutturale sul carico di lavoro e sulla distribuzione delle risorse, il problema non potrà dirsi realmente affrontato».
«Differenziare? Sì, ma...»
Tra i principali fattori che incidono sul carico di lavoro – con effetti sia sulla qualità dell’insegnamento sia sull’equilibrio tra vita privata e professionale del docente– spiccano l’aumento della burocrazia, la crescita dei bisogni educativi speciali, il moltiplicarsi dei casi complessi e la conseguente necessità di seguire gli allievi in modo sempre più personalizzato. La differenziazione didattica e la scuola inclusiva, su cui molto ha investito il Dipartimento, rappresentano un onere non indifferente per il docente. «Il nostro sindacato non intende mettere in discussione il principio di inclusione, che resta un valore fondamentale della scuola ticinese», commenta al riguardo Fitas. Che aggiunge: «Ciò nonostante, l’indagine ha fatto emergere con chiarezza che il modello inclusivo, così come viene attualmente applicato, grava eccessivamente sugli insegnanti». Classi numerose, eterogeneità crescente e bisogni educativi sempre più complessi richiedono tempo, energie e risorse che, secondo il sondaggio, non sono messe a disposizione in misura sufficiente. «La conseguenza è che molti docenti si sentono soli e inadeguati di fronte a sfide che andrebbero affrontate collegialmente. La nostra proposta non è di abbandonare l’inclusione, ma di rafforzarla: riducendo il numero di allievi per classe, aumentando la disponibilità di docenti di sostegno e specialisti, e prevedendo momenti di reale coordinamento tra docenti. Solo così si può garantire che la differenziazione non diventi un ulteriore fattore di burnout, ma un’opportunità pedagogica di crescita».
Quel dialogo che non parte
In generale, stando al sondaggio, le riforme introdotte dal DECS vengono percepite come «impegnative e calate dall’alto», «con scarso coinvolgimento del personale docente». Eppure – facciamo notare – la conduzione Carobbio sembra essere improntata a un dialogo maggiore. Almeno, stando alle dichiarazioni della direttrice. «Il sondaggio, effettuato a un anno dall’entrata in carica di Carobbio, mostra che la percezione diffusa tra i docenti è quella di riforme molto impegnative. Questo genera un duplice disagio: da un lato un aggravio del lavoro quotidiano, dall’altro la sensazione di non essere ascoltati come professionisti esperti del settore». Con la nuova conduzione, prosegue Fitas, si è registrata finora una certa difficoltà di dialogo. «L’auspicio è che si possa migliorare», dice. «È fondamentale che i docenti non siano coinvolti solo nella fase attuativa, quando le decisioni sono già prese, bensì fin dall’inizio del processo di riflessione. Una riforma condivisa è una riforma più efficace e sostenibile».
Una nota dolente, di conseguenza, sembra essere il supporto che i docenti sentono di ricevere dalle «autorità scolastiche». Parliamo dei vertici del DECS o dei singoli direttori delle scuole comunali e cantonali? «I dati raccolti indicano una doppia criticità. Da un lato, i docenti percepiscono una distanza significativa dai vertici del Dipartimento: le decisioni arrivano spesso senza un adeguato accompagnamento e senza strumenti operativi concreti. Dall’altro lato, non mancano difficoltà anche a livello di direzione scolastica, con valutazioni che variano sensibilmente da sede a sede». Secondo il sondaggio, alcuni direttori vengono riconosciuti come figure di sostegno e riferimento, altri invece sono percepiti come lontani, poco trasparenti e talvolta più attenti alla burocrazia che al benessere del corpo docente. «Questo quadro frammentato conferma l’urgenza di rafforzare la cultura della collaborazione e della fiducia reciproca all’interno delle comunità scolastiche».
Cahiers de doléances?
Eppure, come non vedere che la questione (centrale) del carico di lavoro è direttamente connessa a quella delle risorse finanziarie destinate all’istruzione in Ticino. Che valore bisogna attribuire allora a questo «cahiers de doléances» da sottoporre al DECS? «È un dato incontestabile che il Ticino investa meno della media nazionale nella scuola – ribatte Fitas. Tuttavia, questa constatazione non può essere ridotta a una giustificazione che deresponsabilizza la politica. A volte si tratta anche di come vengono gestite le risorse finanziarie a disposizione. Non riteniamo neppure opportuno definire questo documento come un elenco di lamentele. Al contrario, si tratta di una raccolta strutturata e documentata di dati, testimonianze e proposte. Le criticità emerse non sono fini a sé stesse, ma rappresentano la realtà quotidiana di chi lavora nelle scuole. Accanto alle difficoltà, il sondaggio presenta anche molte idee e suggerimenti per migliorare il sistema: dalla semplificazione burocratica alla valorizzazione della formazione continua, dal potenziamento del sostegno nelle classi alla necessità di un maggiore ascolto istituzionale». È quindi un contributo costruttivo, che il sindacato mette a disposizione «non per demolire l’attuale assetto, ma per contribuire a una scuola più equa, più sostenibile e più efficace, nell’interesse di docenti, allievi e famiglie».