"Se arriva l'Isis faccio saltare tutto"

Il ticinese Roberto Simona è appena tornato dalle zone più minacciate della Siria e racconta al CdT l'angoscia della gente che vive a pochi chilometri dai terroristi
Simona con una famiglia ad An Nabk. (foto R. Simona)
Carlo Silini
20.05.2015 01:00

Dieci giorni di fuoco. Partendo da Beirut, il ticinese Roberto Simona è entrato in Siria arrivando subito ad An Nabk . Da lì si è spinto fino a Qaryatayn, nel deserto, proseguendo per Homs e Aleppo («ma ho dovuto fare ritorno perché sarei riuscito ad entrare, ci dice, ma non avevo garanzia su quando sarei riuscito ad uscire»). Ultima tappa: due giorni a Damasco. Un viaggio che potremmo definire l'anti vacanza, tra gente che ha la stessa possibilità di morire, quanto noi l'abbiamo di prendere il raffreddore. Questa volta non ci è andato per ragioni professionali. Di solito Simona si spinge nei territori più tormentati del mondo per documentare lo stato della libertà religiosa di chi ci vive (è uno degli estensori del Rapporto annuale redatto da Aiuto alla Chiesa che soffre) . In questo caso, però, «ci sono andato a titolo personale perché sentivo il bisogno di vedere che in Siria non c'è solo orrore, ma anche tanta umanità. Non sono andato a verificare la libertà di credo: in guerra o non esiste o comunque non è l'aspetto più importante». Ecco cosa ha visto.

Roberto Simona, da noi arrivano ogni tanto gli ultimi bollettini col numero dei morti negli scontri fra governativi e ribelli. Ma in Siria come si vive?

«Rispetto ai diversi contesti di guerra che ho visitato fino ad oggi posso dire che la Siria colpisce per l'angoscia della gente. Un'angoscia che si esprime non solo nella paura della guerra, ma soprattutto dello Stato islamico. Ovunque tu vada, l'ISIS si trova solo a qualche chilometro di distanza. Tutti sono consapevoli che da un momento all'altro, quando meno te lo aspetti, i terroristi possono arrivare, ucciderti, rapire tua moglie o le tue figlie».

Lo dicono così chiaramente?

«Sì. A Damasco, per esempio, ho incontrato una famiglia e la moglie mi ha spiegato che suo marito è pronto a far esplodere le bombole del gas per la cucina non appena dovessero arrivare i guerriglieri dello Stato islamico. Questa sensazione di paura estrema serpeggia in tutta la popolazione. L'ho capito anche nelle due notti che ho trascorso nel convento cattolico siriaco di Mar Musa, quello che era stato riaperto da padre Dall'Oglio (il gesuita italiano rapito e forse ucciso dai jihadisti a Raqqa nel 2013, ndr), un monastero nel deserto a nord di Damasco. La comunità del convento mi ha detto che il loro timore maggiore è di sentire arrivare i seguaci del califfato nella notte».

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