L'editoriale

Se le donne in Svizzera sono in pericolo

L'ultimo omicidio di una donna in quanto donna è avvenuto nel canton Soletta questa settimana - Baume-Schneider chiama tutte le istituzioni a raccolta
Paolo Galli
21.06.2025 06:00

Martedì 17 giugno 2025. Un uomo, un 41.enne cittadino svizzero, è stato arrestato quale principale sospettato di un triplice omicidio a Egerkingen, nel canton Soletta. Avrebbe ucciso l’ex moglie e i suoceri. I media d’oltre San Gottardo hanno parlato di precedenti minacce di morte, così come di una controversia sulla custodia della figlia. Si tratterebbe, quindi, di un femminicidio in piena regola, di un femminicidio esteso. Sì, se solo il termine femminicidio fosse penalmente riconosciuto anche in Svizzera. Ma così, ancora, non è. E infatti, come è noto, non ci sono statistiche ufficiali delle autorità in merito a tali delitti, agli omicidi di donne in quanto donne. Ci facciamo bastare il lodevole lavoro di raccolta e d’archivio - oltre che di sensibilizzazione - del progetto «Stop Femizid». Secondo i ricercatori, restando ai primi mesi del 2025, sarebbero già quindici i femminicidi avvenuti nel nostro Paese, con diciotto donne uccise. Il primo è stato quello di Vouvry, nel canton Vallese: era il 14 gennaio, e la vittima una trentenne. L’ultimo, appunto, quello - esteso ai familiari della donna - di Egerkingen. Sei sarebbero stati i tentati femminicidi. E chissà quanti altri, invece, non sono emersi perché neppure denunciati. Passati solo sei mesi dall’inizio dell’anno, già è stata raggiunta la quota totale di femminicidi del 2024. Lo scorso anno, in effetti, secondo i calcoli del Governo federale, su 26 omicidi commessi in ambito domestico, 18 vittime erano donne. Le autorità intervengono più volte al giorno in questo ambito. Come riferisce lo stesso «Stop Femizid», nel 2023 la Polizia zurighese è intervenuta in media 20 volte al giorno per casi di violenza domestica. In Ticino, tre volte al giorno.

«Stop Femizid» aggiorna continuamente i numeri. Noi spesso li riportiamo e, come in questo caso, li commentiamo. Ma intanto muoiono altre donne, uccise da compagni o ex compagni. Altre vengono ferite, altre ancora subiscono violenze psicologiche quotidiane. Ci accorgiamo, finalmente, che tutto ciò non si limita alla cronaca nera italiana - certo, più mediatica, più sfacciata -, che non viviamo in una bolla e che non possiamo solo incolpare lo «straniero» (l’origine straniera dell’omicida risulterebbe nel 44% dei casi). Lo stesso Consiglio federale ha aperto gli occhi, se è vero che Elisabeth Baume-Schneider - che già lo scorso novembre aveva detto: «Le donne non sono al sicuro nel nostro Paese» - ha convocato una riunione straordinaria per la prossima settimana con attori di Confederazione, Cantoni e Comuni. L’obiettivo è rivedere misure di prevenzione e, come è intenzione anche in Ticino - con il Gran Consiglio che ha approvato l’iniziativa di Roberta Soldati che chiede una norma ad hoc -, leggi. Ma prima occorre un’indagine dettagliata sui casi degli ultimi anni. Va compreso il fenomeno, vanno evidenziati i fattori di rischio e vanno coordinate strategie concrete da mettere in pratica per favorire le segnalazioni, per non lasciare le vittime sole con il loro carnefice. Servono soluzioni.