Se le firme per il referendum le si cercano online

Nel contesto di una pandemia che ha messo alla prova la democrazia diretta, diventa utile valutare se, in futuro, vada consentita la raccolta elettronica delle firme per referendum e iniziative. Il tema va però prima di tutto sviscerato in tutti i suoi aspetti: a chiederlo è, in un postulato, la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale. Il Consiglio federale mercoledì si è detto favorevole alla richiesta, sulla quale la Camera bassa si dovrebbe esprimere il 21 settembre.
Stando al postulato, il Governo dovrà illustrare le implicazioni «sotto il profilo istituzionale» e «le possibili ricadute sul sistema politico della Svizzera» di una simile riforma. Fra i vari punti che dovranno essere considerati vi sono il numero di firme richieste e i termini per raccoglierle stabiliti dalla Costituzione, nonché «le diverse modalità di raccolta delle firme nello spazio pubblico e nel ciberspazio». L’idea di presentare un postulato era stata espressa dalla Commissione nel gennaio scorso. L’atto parlamentare è poi stato depositato a maggio. Il motivo? Esaminare se la raccolta elettronica delle firme potesse essere uno strumento adeguato, soprattutto in tempi di crisi. La legge COVID-19 contempla già peraltro agevolazioni per l’esercizio dei diritti politici.
Un sistema già sovraccarico
Di sicuro, per quanto riguarda l’apertura al tema dell’ e-collecting, la raccolta appunto di firme online, «la pandemia è stato un punto di svolta», afferma Uwe Serdült, responsabile dei progetti in ambito e-Democracy del Centro per la ricerca sulla democrazia di Aarau. Per il ricercatore e professore all’Università Ritsumeikan, in Giappone, «è interessante notare come anche negli USA, dove in quasi la metà degli Stati vige un sistema di democrazia diretta, si stiano facendo le stesse riflessioni».


«Di primo acchito quella dell’e-collecting può sembrare un’idea innocua. Ma se si inizia a pensare a tutte le conseguenze che può avere sulle istituzioni politiche ci si rende conto che comporta dei rischi non da poco», continua Serdült. «Personalmente, uno dei miei timori è che si vada a intasare un sistema già molto carico. Piattaforme online possono agire a velocità elevatissima. Con la mailing list giusta in pochi attimi possono ottenere le firme necessarie per un referendum o un’iniziativa. Già oggi a livello nazionale andiamo a votare quattro volte all’anno su più temi contemporaneamente. Dopo il voto è prima del voto. Il ritmo è pazzesco. Aumentandolo si rischia di non avere il tempo per uno studio e un dibattito approfondito di ogni tema sul quale dobbiamo esprimerci». Per evitare che succeda, una possibile soluzione è stabilire un tetto massimo di firme che si possono ottenere online: «Nel caso di un referendum si potrebbe definire che 25.000 firme (la metà di quelle necessarie ndr) possono essere raccolte sul Web, il resto come fatto finora».
Nel «Manifesto per la democrazia digitale», pubblicato nel 2018 dall’Università di Zurigo e dallo Staatslabor, Serdült e gli altri firmatari propongono anche di procedere con tanti piccoli esperimenti al fine capire quali sono le conseguenze di una digitalizzazione della democrazia diretta e aggiustare, dove è il caso, il tiro. «Prima di raccogliere firme per un’iniziativa popolare a livello nazionale si potrebbe ad esempio farlo a livello cantonale o comunale». Qui il sistema non è ovunque carico come sul piano federale: si vota meno soventee si ha più tempo per un esperimento fatto con la giusta calma. Inoltre, eventuali conseguenze negative sarebbero limitate alla regione coinvolta.
Possibili influssi dall’estero
Un altro punto è che «l’intero settore intermedio della mediazione organizzata degli interessi rischia di crollare. I partiti, le associazioni, le fondazioni e le cooperative sono il vero terreno di coltura di una democrazia. Con l’e-collecting rischiano di perdere la loro importanza, perché in Internet, il traffico, i clic e gli indirizzi elettronici sono le vere valute. In una democrazia su Internet, i siti con alta frequenza di visitatori sono i nuovi attori politici influenti, non i partiti e le associazioni. Se, per esempio, i trasporti sono tema importante per un gruppo politico, per loro diventa meglio comprare uno spazio su un sito popolare su cui si vendono auto. Lì, le firme possono essere raccolte direttamente o i visitatori possono essere guidati vero un sito di raccolta elettronica. Ma chi controlla chi ha pagato un’inserzione pubblicitaria di questo tipo? A questo punto bisognerebbe tener conto di possibili influssi dall’estero». Insomma, per il ricercatore, nel processo di digitalizzazione della politica dovremo contrastare gli sviluppi negativi e sfruttare le opportunità di una politica fatta anche attraverso nuovi canali. Per far ciò, si deve procedere a piccoli passi.
Tre pilastri
L’idea della raccolta elettronica di firme va oltre il contesto della pandemia; è in atto una progressiva digitalizzazione della società. Nel 2019, Avenir Suisse aveva individuato, nella sua pubblicazione «Democrazia diretta digitale - rafforzare i diritti popolari in Svizzera», tre pilastri della digitalizzazione in Svizzera: l’e-collecting, la formazione dell’opinione in ambito digitale (e-discussion) e il voto in Internet (e-voting). Fondamentale in questo contesto è l’introduzione di un’identità elettronica. Anche per il think tank liberale è auspicabile alzare l’asticella per la riuscita di iniziative e referendum, e propone di triplicare - per la raccolta online di firme - il quorum necessario a l 6% della popolazione votante.