Strategia

Se le tensioni geopolitiche diventano sfide aziendali

Secondo uno studio del Credit Suisse anche gli affari delle piccole imprese elvetiche vengono influenzati dagli avvenimento mondiali – Carnazzi Weber: «Non solo rischi, spesso le crisi portano anche opportunità»
© KEYSTONE / SALVATORE DI NOLFI
Roberto Giannetti
20.02.2023 22:32

Guerre, sanzioni, conflitti commerciali, aumento delle normative, confronti più o meno diretti in alcuni schacchieri del mondo (caso Taiwan), e via dicendo. E tutto questo dopo il non facile periodo legato alla pandemia, con lockdown e interruzioni delle catene logistiche. Per le imprese diventa sempre più difficile gestire questa complessità, che influisce anche sull’andamento degli affari.

Su questo delicato tema si sono chinati gli economisti del Credit Suisse, che ha presentato uno studio intitolato «Tensioni geopolitiche: una sfida per le aziende svizzere», dove, attraverso dei sondaggi, si è cercato si mettere a fuoco l’attenzione che le imprese, di tutte le dimensioni, mettono nelle loro relazioni internazionali. Dopo i saluti di Marzio Grassi, responsabile di Credit Suisse Regione Ticino, Sara Carnazzi Weber, responsabile dell’analisi politico-economica di Credit Suisse, ha sottolineato che «l’attività delle aziende svizzere dipende molto da un buon quadro delle relazioni internazionali e dal fatto che le regole vengano rispettate. E questo vale sempre più anche le piccole imprese».

Grandi nazioni meno toccate

Chiaramente, dallo studio emerge che più piccolo è il Paese, più grande è l’importanza delle tensioni geopolitiche, visto che le relazioni commerciali esterne hanno per forza di cose più impatto rispetto alle grandi nazioni (che dispongono di più risorse al loro interno e sono più autosufficienti). Infatti le aziende degli Stati Uniti risultano le meno sensibili dalle tensioni geopolitiche, mentre le più toccate sono quelle di Singapore.

Inoltre, le relazioni d’affari con l’estero sono più «dense» per le grandi imprese che per le piccole, visto in genere il loro maggior grado di internazionalizzazione. Dallo studio emerge anche che la graduatoria dei Paesi con maggiore importanza per le imprese elvetiche è: Germania, Italia e Francia. Con l’eccezione delle aziende più grandi, per le quali invece l’ordine è: Germania, Stati Uniti e Francia.

Russia rischiosa

Chiaramente, la classifica dei Paesi considerati maggiormente a rischio in questo momento per gli affari vede al primo posto la Russia, seguita dall’Ucraina, e un po’ distanziate Argentina, Croazia, Egitto e Iran.

Spesso per le imprese si pone una scelta difficile: ritirarsi o rimanere? Lo studio mostra che in caso di tensioni geopolitiche spesso il ritiro avviene in modo brusco. Il 19% delle imprese interpellate ha affermato che si è ritirato dalle relazioni commerciali con alcuni Paesi, mentre il 9% prevede di abbandonare le relazioni commerciali in alcuni Paesi nei prossimi tre anni.

«Nel complesso, un aumento dei rischi commerciali - ha sottolineato Sara Carnazzi Weber - non vuol dire che un’azienda si ritiri automaticamente dai mercati toccati. Infatti sono in gioco investimenti ingenti e relazioni con partner importanti da preservare. Non sempre è possibile rinunciare a tutto questo in maniera immediata. Ma molte aziende hanno dovuto la loro politica di export e di relazioni in seguito a tensioni internazionali».

Dal sondaggio emerge un trend alla regionalizzazione dei rapporti commerciali, ossia il ritorno verso partner più vicini, anche se la Cina mantiene sempre la sua attrattiva. Molte aziende prevedono di riprendere le relazioni commerciali conla Russia nei prossimi anni.

Neutralità svizzera

«Esiste - nota Carnazzi Weber - una discussione relativa alla neutralità della Svizzera: il 40% delle aziende ha riscontrato reazioni negative da parte di partner commerciali all’estero per via della decisione della Svizzera di imporre sanzioni alla Russia nella primavera del 2022».

Così, in generale l’Indice della globalizzazione di Credit Suisse a partire dal 2005 ha marciato praticamente sul posto, vista l’introduzione di molti ostacoli al libero scambio e e di misure restrittive per il commercio, fra cui provvedimenti non tariffari (regolamentazioni), che interessano il 70% delle imprese interrogate. Insomma, la densità normativa aumenta sempre più, soprattutto nell’ambito della protezione dell’ambiente e della protezione dei dati. Dal sondaggio emerge anche che il 60% delle imprese deve far fronte a ostacoli non tariffari, soprattutto nel settore degli appalti pubblici. Tutto questo porta anche ad un aumento dei rischi reputazionali.

UE, norme a raffica

L’aumento della densità normativa viene avvertito soprattutto dalle aziende con focus sull’UE, anche perché l’Unione in diversi ambiti, come l’ambiente, ricopre un ruolo quasi di pioniere a livello globale. «Tutto questo - rileva Carnazzi Weber - porta ad un aumento dei prezzi di produzione e quindi di vendita per i clienti. Ma, ciononostante, poche imprese hanno ridotto il personale».

Comunque, fra le imprese c’è ottimismo sulla propria capacità di reagire a cambiamenti di mercato e di partner commerciali. Anche se riorientarsi ed riadattarsi richiede molte risorse. C’è anche molta fiducia nell’aiuto pubblico in caso di difficoltà, sulla base di quanto successo durante la pandemia. «Va considerato che spesso - ha concluso Sara Carnazzi Weber - una crisi può essere vista anche come opportunità. Il cambiamento apre nuove prospettive, si trovano nuovi sbocchi commerciali. E anche la crisi energetica ha spinto il miglioramento dell’utilizzo di energia».