Segreto bancario, come imparare dal passato?

ZURIGO - Miliardi. Il contenzioso fiscale con i Paesi esteri è costato alle banche svizzere miliardi. Eppure qualcuno, prima del la crisi globale del 2008, anno in cui la frantumazione del segreto bancario ha avuto il suo inizio, aveva già previsto in che direzione si stava andando. Se in quel fatidico anno politica, autorità e banche avessero saputo interpretare correttamente la situazione e se, due anni prima, parallelamente al piano di crescita degli istituti di credito, si fosse prevista una strategia alternativa, le cose sarebbero potute andare diversamente. È la teoria di Stefan Tobler, sociologo e ricercatore già impiegato presso l’Associazione svizzera dei banchieri. Teoria presentata in un volume pubblicato da NZZ Libro: «Der Kampf um das Schweizer Bankgeheimnis» («La lotta per il segreto bancario», almeno per ora disponibile solo in tedesco).
Quali gli insegnamenti da trarre dalla storia del segreto bancario? L’autore fa una serie di proposte. Tra queste: la Svizzera dovrebbe creare condizioni quadro sostenibili anche nei momenti di tensione. Non essendo parte dell’UE o del G-20 è in una posizione di inferiorità e verrà «sempre messa sotto pressione». La Svizzera deve agire secondo il principio di «correttezza». In altre parole: non fare nulla che potrebbe renderci attaccabili da altri Paesi. Un’altra raccomandazione concerne la sempre più acuta specializzazione dei Dipartimenti federali e la mancanza di interdisciplinarietà: il Dipartimento degli affari esteri potrebbe servire come un «centro di competenza» per i conflitti fiscali.
Caduti in trappola
Quando, dopo il fallimento di Lehman Brothers, si è trattato di salvare l’UBS da un possibile collasso - scelta che ha preparato la strada agli USA per la richiesta dei dati dei clienti americani -, politica e autorità, ha affermato Tobler in un incontro con i media, non sono riusciti a fare del «caso UBS» un «caso piazza finanziaria elvetica». Salvando l’istituto di credito, «la Svizzera è caduta in una trappola che si è inconsapevolmente costruita con le stesse mani». Ma tra gli errori più grandi compiuti, ha detto il ricercatore davanti ai media ieri a Zurigo, figura l’attaccamento a un concetto incomprensibile all’estero come la distinzione fra la frode fiscale e la sottrazione d’imposta. Un problema già sottolineato nel 2000 da Franz Blankart, ex segretario di Stato e all’epoca consulente di un gruppo bancario privato. Cinque anni più tardi, agli avvertimenti di Blankart seguirono quelli del delegato dell'Amministrazione federale delle contribuzioni per le convenzioni fiscali internazionali Robert Waldburger, che condivise con l’allora titolare del Dipartimento delle finanze Hans-Rudolf Merz e l’Associazione svizzera dei banchieri le sue preoccupazioni: ovvero che prima o poi la Svizzera si sarebbe dovuta confrontare con minacce di sanzioni da parte del G-7 o del G-20. Una previsione alla quale Merz, come scrive Tobler, non ha voluto credere. Un concetto che lo stesso consigliere federale ha ripetuto in Parlamento ancora nel 2008 (con ogni probabilità inconsapevole del cataclisma che avrebbe dovuto affrontare solo mesi dopo), in una frase rivolta ai contrari al segreto bancario che ha fatto la storia: «Vi romperete i denti». Il segreto bancario, allora vastamente accettato in Svizzera, non era merce di scambio. L'articolo 47 della legge federale sulle banche e le casse di risparmio era un patrimonio nazionale, «un dogma», per molti nato per una giusta causa (tutelare gli averi di chi nel suo Paese rischiava di perdere tutto) e capace di garantire il diritto alla privacy. In questo contesto, ha affermato Tobler, una realtà restava nell’ombra, protetta dal tabù: «La Svizzera era seduta su una montagna di soldi sporchi».
Poi venne la svolta. Venerdì 13 marzo del 2009 il Consiglio federale accettò di allinearsi agli standard OCSE sull’evasione. Fu l’inizio della fine del segreto bancario.
E il Ticino?
Autore dell’epilogo del libro è Paolo Bernasconi. Il volume (di quasi 800 pagine), ha sottolineato l’ex procuratore pubblico davanti ai media, tratta un tema che resta attualissimo. Basti pensare alla recente multa miliardaria imposta dal Tribunale correzionale di Parigi a UBS. Ma anche alle richieste del fisco italiano verso le banche elvetiche che hanno svolto attività «cross border».
Quella del segreto bancario e del suo sgretolamento «è la storia di come gli interessi personali all’interno del settore bancario hanno prevalso sul rispetto degli interessi sociali», ha affermato Bernasconi, che concorda con la teoria per cui si sarebbe dovuto ascoltare «quei saggi» che avevano previsto le lotte con altri Paesi. L’abbandono del segreto bancario per l’avvocato non avrebbe per forza portato a grosse perdite. «Lo vediamo con l’aumento continuo del volume dei fondi di clienti presso le banche svizzere. Avessimo avuto la situazione odierna dieci anni fa saremmo andati bene ugualmente? Sicuramente. Avremmo evitato il rischio di vedere fallire l’UBS e avremmo evitato i 10 miliardi pagati allo Stato americano».
E in Ticino cosa sarebbe successo? Difficile dirlo, afferma Bernasconi. La piazza finanziaria ticinese ha sì perso molto, «ma vista la poca fiducia verso Roma gli italiani continuano ad affidarsi alle banche svizzere».