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Seneca e il business miliardario dei life coach

Sono 71 mila nel mondo gli insegnanti certificati: ma è davvero possibile imparare a gestire il nostro tempo e venire educati a vivere?
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Sara Fantoni
15.07.2023 14:00

La paura della morte è un sentimento che, da sempre, colpisce molte persone, così come anche il timore di non avere abbastanza tempo per svolgere determinate attività o vivere particolari esperienze prima di questo fatidico momento. Al giorno d’oggi esistono sempre più corsi per imparare a gestire il proprio tempo, il quale sembra scivolarci fra le mani scorrendo troppo rapidamente e portandoci così a chiederci alla fine di ogni anno: «Che cosa ho fatto in questo tempo? L’ho utilizzato al meglio? Quali sono i buoni propositi per il prossimo periodo?». Le risposte a questo processo ciclico si rivelano spesso amare, mostrandoci come non siamo stati in grado di raggiungere i nostri obiettivi o di «cogliere l’attimo» che avrebbe avuto il potere di svoltarci la vita.

Oltre 70 mila life coach nel mondo

Inoltre, cercando su Internet, è possibile rendersi conto della presenza crescente di «life coach» che si mettono a disposizione per insegnare l’arte «del saper vivere». Questo settore rappresenta 2.85 miliardi di dollari dell’industria globale e tra il 2015 e il 2019 il numero di life coach è aumentato del 33% corrispondente ad oggi a 71'000 insegnanti certificati a livello mondiale. È quindi evidente la presenza di un settore commercializzato che si basa sulla presenza di una domanda fondamentale della popolazione: «Come fare a vivere e come approfittare al meglio di un tempo che potrebbe sfuggirci da un momento all’altro?». Sono molti gli «insegnanti della vita» contemporanei che hanno l’obiettivo di insegnare ad aziende o singoli come vivere le loro giornate e molti di questi scelgono di basare i loro precetti sulla filosofia antica degli stoici. Qual è quindi il fondamento su cui oggi molti life coach basano la loro dottrina? Come rispondevano gli stoici a queste domande essenziali, presenti ancora oggi?

Le origini degli insegnamenti di vita

Il filosofo della Roma imperiale Lucio Anneo Seneca è uno di coloro che approfondisce la tematica. Nel suo testo intitolato La brevità della vita, scritto tra il 49 e il 55 d.C., e per molti aspetti tutt’ora attuale, Seneca esplora la tematica, suggerendo ai suoi lettori come riuscire ad imparare a gestire il proprio tempo, eliminando tutto ciò che potrebbe essere nocivo a questo scopo. Le risposte alle quali tenta di rispondere sono proprio quelle affrontate durante i percorsi di crescita personale: «Quali sono le azioni o le persone, ma anche le condizioni, che non ci permettono di avere pieno controllo sul nostro tempo e, di conseguenza, sulla nostra vita? Quali, al contrario, ci permettono di educarci a vivere? In altre parole, come possiamo agire all’interno di un tempo che non ci appartiene e che non dipende da noi, ma che ci è donato, secondo la prospettiva degli stoici dell’epoca, dalla Natura?»

Concentrarsi su ciò che dipende da noi

Nel La brevità della vita, Seneca spiega innanzitutto che è nostro dovere abbandonare tutti gli impulsi e le passioni poiché, non essendo questi razionali, non ci permettono di vivere. Tra queste bisognerebbe quindi riuscire a non temere più la morte e la brevità della vita, poiché sono fattori sui quali non abbiamo alcun controllo. Il tempo della vita, infatti, viene qui presentato come un dono della Natura, sinonimo di razionalità universale, che può in ogni momento decidere di riprenderselo, colpendoci con una morte a volte inaspettata. Al contrario sarebbe necessario, secondo il filosofo, cambiare il nostro approccio alla vita, concentrandoci su ciò su cui possiamo avere un’influenza reale, ovvero la gestione del tempo che ci è offerto. L'obiettivo di questo libro è proprio quello di dimostrare che il tempo della nostra vita non è troppo breve, ma ciò che conta è il modo in cui lo impieghiamo. 

Il tema del tempo come dono della Natura, termine che ne denota la preziosità, cioè l'importanza del tempo, è presente fin dalle prime righe del testo di Seneca. Questo brano sottolinea immediatamente la volatilità del tempo, ma anche il fatto che questo concetto si trovi al confine tra la piena padronanza del tempo da parte della Natura, a cui l'essere umano non sembra avere accesso, e la capacità dell'uomo di gestirlo. Il tempo appare quindi al contempo come un elemento indipendente da noi, ma anche come qualcosa che può essere controllato e gestito dall'uomo. Questa sfumatura risulta chiara quando l’autore scrive che «noi non disponiamo di poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto». Un monito che oggi risuona in maniera fin troppo chiara. Questa frase va oltre il fatto che il tempo è gestito dalla Natura su cui non abbiamo potere, sottolineando il potere che gli esseri umani hanno su di lui, potendone fare anche un uso improprio. Perciò, nonostante l'impotenza dell'uomo di fronte alla sua condizione di mortale, l'esordio de La brevità della vita sottolinea l'idea che all'interno di questo tempo su cui l’essere umano non ha alcun controllo, l’uomo può comunque scegliere come utilizzarlo. Si tratta quindi di agire all’interno di circostanze necessarie e per lo più incontrollabili in modo da sfruttare al meglio i momenti che ci sono concessi.

«La vita non è troppo breve, siamo noi a renderla tale»

Seneca suggerisce che il problema stia proprio in questa scelta e non nel dono «troppo breve» del tempo. Infatti, secondo il filosofo, il motivo per cui le persone considerano la vita troppo breve è il modo in cui riempiono il loro tempo. Ciò è reso esplicito quando Seneca afferma che «è così: non riceviamo una vita breve, ma l’abbiamo resa noi». Questa frase implica una responsabilità da parte degli esseri umani nel gestire questo dono, ma solleva anche la questione, più pratica che teorica o astratta, di cosa significhi agire nel tempo che ci è stato donato affinché questo non venga sprecato rivelandosi insufficiente.

Viviamo o esistiamo soltanto?

Ma chi è l'oggetto dell'analisi di Seneca sulla perdita di tempo? E quali sono le attività che ci fanno sprecare la vita? L'espressione «uomo indaffarato», usata dallo stoico per indicare le persone che occupano il loro tempo in modo improprio divenendone schiavi, rappresenta il tipo di persone che fanno oggetto della critica dell'autore. Il termine, in questo estratto, si distingue per quello che manca a queste persone, ovvero il fatto di saper vivere. Infatti, questi uomini indaffarati sembrano essere distratti dalla vera essenza della vita e quindi inconsapevoli di tutte quelle attività che Seneca considera necessarie o elevate, non tanto in sé, ma perché permettono a chi le pratica non solo di esistere, ma di vivere la vita. Di conseguenza, «l’uomo occupato» giudicherà giustamente la propria vita troppo breve a causa del modo in cui ha scelto di riempire le sue giornate. In generale, quindi, ciò che sembra caratterizzare queste persone è l'impossibilità di vivere.

La differenza tra il saper vivere e l'esistere è centrale per comprendere il punto dell'autore. Per lui è estremamente importante che l'uomo colga e impari a fare concretamente questa distinzione in ogni momento della sua esistenza. È dunque necessario conoscere sé stessi e le circostanze per poter approfittare della vita. La metafora della nave menzionata nel testo è significativa a questo proposito: «E così come puoi ritenere che abbia molto navigato uno che una violenta tempesta ha sorpreso fuori dal porto e lo ha sbattuto di qua e di là e lo ha fatto girare in tondo entro lo stesso spazio, in balia di venti che soffiano da direzioni opposte? Non ha navigato molto, ma è stato sballottato molto». In questa immagine, navigare significa vivere, mentre essere sballottati dalla tempesta significa essere vivi ed esistere, ma senza vivere veramente. In quest’idea, il valore del tempo non perde la sua importanza, ma non è questo che conta. Al contrario, è proprio per il suo valore che la durata della vita non è ciò che definisce se abbiamo vissuto o meno. Come sottolinea la filosofa Marion Bourbon, non basta aver vissuto a lungo per poter dire di aver vissuto davvero, il che significa che la vecchiaia «non ha valore in sé. Non esiste quindi un tempo speciale per essere saggi e per ‘condurre la propria vita’ (agere uitam). In questa prospettiva, la vecchiaia non è mai un assoluto, e nemmeno un valore». Per riuscire a vivere davvero non ha quindi importanza il numero di anni trascorsi dalla nostra nascita, pochi o tanti che questi siano; ciò che conta, come afferma Seneca, è il modo in cui siamo riusciti a sfruttare al meglio questo tempo.

Ma cosa significa sfruttare al meglio il proprio tempo?

Le attività che ci impediscono di vivere, secondo il filosofo, sono quelle che possono essere definite come otium (tempo libero) mal indirizzato, tipico delle persone indaffarate. Quindi, questo corrisponde allo sperpero del proprio tempo e all'essere incessantemente attivi senza un vero motivo.

Seneca include nella categoria delle attività inutili per la vita personale molte attività che generalmente vengono praticate nel tempo libero anche al giorno d’oggi. Perciò, attività legate alle passioni carnali o a ricerche definite frivole dall’autore, come la bellezza o la musica, ma anche l'occupazione vera e propria del proprio tempo «da inutili questioni di erudizione», come studi che non hanno alcun impatto reale sul mondo o su di sé, sono considerate superflue e addirittura dannose dall’autore, in quanto non permettono di vivere realmente. Il filosofo include quindi in questa definizione di otium non solo ciò che può essere generalmente considerato una perdita di tempo, ma anche alcune attività che vengono solitamente definite positivamente, come quelle appena citate. Quest’analisi mette quindi in evidenza la difficoltà di vivere e di non sprecare il proprio tempo, dal momento che le numerose condizioni negative elencate da Seneca fanno parte della vita quotidiana della maggior parte delle persone.

Tuttavia, non sono solo le attività sensu stricto a definire questo termine. Infatti, il nostro tempo è caratterizzato anche dalle persone con cui lo trascorriamo. Seneca spiega che il fatto stesso di concedere il proprio tempo a chi pensa solo a sfruttarlo per via del nostro ruolo o della nostra posizione (elevata o meno che sia), è un altro modo di sprecare qualcosa che ci appartiene e a cui dovremmo dare molto più valore essendo, come ci ricorda spesso, limitato. Bisognerebbe invece scegliere accuratamente a chi dedicarlo. A questo proposito il filosofo sostiene che tramite lo studio e l’approfondimento di coloro che sono stati, o sono, in grado di vivere davvero le loro vite, è possibile acquisire a propria volta questa capacità, limitando così lo spreco di momenti che non sappiamo per quanto tempo ancora ci apparterranno.

Per il filosofo si tratta quindi di un circolo a spirale che si autoalimenta: dissociarsi dalle paure, compresa quella di morire o di non avere abbastanza tempo per vivere, permette di vivere, e vivere consente a sua volta di non temere di morire. Tutto questo si rivela possibile grazie alle conoscenze acquisite tramite la guida di coloro che hanno già imparato a vivere, o come direbbe Seneca «che hanno già imparato a morire, dando il giusto valore al proprio tempo».

Perciò, seppur per alcuni versi la filosofia degli stoici risulti ormai superata, per altri può essere la base per ricordarci di concedere il nostro tempo ad attività e persone ben selezionate e per imparare a distinguere ciò che dipende da noi da ciò su cui, invece, non abbiamo alcuna influenza, come l’inizio, la durata e la fine delle nostre vite. Un modo per gestire il nostro tempo sarebbe quindi quello di dargli il giusto valore, non riempiendolo unicamente con ciò che risulta piacevole o rilassante nel momento, ma con ciò che, nonostante la fatica, ci permette di vivere e di sentirci vivi sul lungo periodo.

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