Sotto la lente

«Sentiamo la politica distante dai commercianti della città»

Roberto e Nicola Tettamanti sono i due fratelli titolari dell’omonima e storica orologeria che dal 1881 si affaccia su piazza Collegiata – Dal loro osservatorio guardano con preoccupazione alle crescenti difficoltà quotidiane
© CdT/Gabriele Putzu
Prisca Dindo
25.06.2024 06:00

«Ci vediamo sotto l’orologio Tettamanti». A Bellinzona si dice così per darsi appuntamento nel cuore del centro storico. Da sempre. Anzi: dal 1881, quando Francesco Tettamanti incastonò il grande orologio a due facce sopra la sua orologeria fresca di inaugurazione in Piazza Collegiata. Mentre le lancette scandivano il tempo dei bellinzonesi, all’interno del negozio si sono avvicendate quattro generazioni di Tettamanti in centoquarantatré anni. «Siamo una rarità» dicono orgogliosi Roberto e Nicola, gli ultimi due discendenti della famiglia di orefici e orologiai bellinzonesi. «Non solo perché questo mestiere è nel nostro DNA, ma pure perché siamo due fratelli che vanno d’accordo» puntualizzano i due titolari dell’orologeria scambiandosi occhiate di intesa dietro al grande bancone di mogano che domina il negozio dallo stile retrò. «Un design sobrio che abbiamo scelto perché la nostra è innanzitutto una bottega» precisa Nicola.

Periodo difficile

A differenza dei loro predecessori, i due titolari non hanno dipendenti. I tempi ormai sono cambiati e così le abitudini della gente: se una volta il classico orologio da polso era un must, ora a segnare le ore ci pensano sempre più sovente gli Iphone e gli Iwatch. La parola d’ordine dei fratelli Tettamanti è il rigore, limitando al massimo i costi. «Non ci lamentiamo, per carità. La nostra attività ruota soprattutto attorno alle riparazioni di orologi e di gioielli; inoltre possiamo contare su una clientela locale molto fedele che continua ad acquistare nel nostro negozio. Tuttavia è innegabile che sono momenti difficili, non solo per noi ma per tutte le attività commerciali della città» racconta Roberto. La gente ha meno soldi da spendere e i piccoli negozi sono i primi a farne le spese. Neppure a far apposta, una telefonata interrompe l’intervista: qualcuno vorrebbe vendere la collanina in oro di un parente. «Vede? La gente è in difficoltà; ultimamente telefonate di questo genere ne riceviamo almeno una volta al giorno» annota preoccupato Roberto

Il destino dei negozi

«Ma se ce l’hanno fatta i nostri avi che sono passati attraverso a due guerre mondiali e a una pandemia ce la faremo pure noi» chiosa Nicola, ricordando i vantaggi di un’attività senza troppe spese come la loro. È evidente che tra i due titolari, lui è quello che ha l’abitudine di vedere il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto. Su un punto però i due fratelli sono d’accordo e riguarda la politica. «Noi commercianti la sentiamo troppo distante, abbiamo l’impressione che ai municipali non interessi molto il destino dei negozi della città; piovono milioni per le Officine e per la Fortezza ma loro non si rendono conto che di questo passo un giorno la capitale si sveglierà senza più un negozio aperto». Nessuno ha la bacchetta magica ma «per noi sarebbe un bel gesto se ad esempio in questi momenti difficili la città sospendesse la tassa per le insegne; per noi sono solo trecentocinquanta franchi all’anno ma sarebbe un segnale di vicinanza che farebbe soprattutto bene al nostro morale» spiega amaro Roberto, ricordando che per il ragguardevole anniversario ultra centenario del loro negozio non hanno ricevuto «neppure una pacca sulla spalla dai politici, capisce perché ci sentiamo soli?».

Incognita viaria

La nuova viabilità è un altro punto dolente secondo gli orologiai. In particolare la prospettata chiusura di via Orico e la pedonalizzazione di piazza Governo. «Noi abbiamo clienti che arrivano dalle valli e già ora fanno fatica a raggiungerci; la chiusura di via Orico sarebbe un colpo mortale per le attività del centro perché scoraggerebbe ulteriormente la gente che si muove in auto». I due titolari vorrebbero investire nel negozio ma ora preferiscono aspettare tempi migliori.

Ciò nonostante, quando parlano della loro attività a Roberto e Nicola brillano gli occhi. «Ricordo che già alla scuola media avevo in mente di fare l’orologiaio», spiega Roberto che ha imparato il mestiere nel laboratorio del papà Francesco, deceduto prematuramente. Così come Nicola, che ricorda come «il negozio è sempre stato la nostra casa, un punto di ritrovo fin da quando eravamo piccoli».

Tra un cliente e l’altro arriva mamma Carmen. Dopo aver salutato con cortesia, si infila discreta nel retrobottega. «Quando papà morì avevamo tra i venti e i venticinque anni e la mamma ci aiutò fin da subito nella gestione amministrativa dell’attività» spiegano i due fratelli. È Carmen il vero perno di questa famiglia di orologiai.