L'intervista

«Serve una strategia di deterrenza che sia credibile»

Come sta l’esercito svizzero? Secondo alcuni analisti, l’intero apparato difensivo andrebbe ripensato dalle fondamenta – La nuova situazione geopolitica ha infatti messo in evidenza alcune gravi carenze – Ne discutiamo con Marcel Berni, professore di Studi strategici presso l’Accademia militare del Politecnico di Zurigo
© URS FLUEELER
Francesco Pellegrinelli
13.03.2025 06:00

La recente evoluzione della situazione geopolitica internazionale dopo l'aggressione russa in Ucraina ha evidenziato le numerose lacune presenti nell'esercito svizzero. La politica ha preso atto della necessità di investire maggiormente nella difesa. Ma con quali priorità? Ne discutiamo con Marcel Berni, professore di Studi strategici presso l’Accademia militare del Politecnico di Zurigo.

Professore, quali elementi dovrebbe includere una strategia militare moderna per rendere l’Esercito svizzero più efficace di fronte alle attuali minacce geopolitiche?
«Il conflitto convenzionale tra Stati è tornato a essere una minaccia concreta, e gli Stati Uniti potrebbero ritirarsi come garanti della sicurezza in Europa. Questo cambia radicalmente la situazione di sicurezza in Europa centrale. In uno scenario di conflitto, la Svizzera dovrebbe mirare a «vincere senza combattere». L’obiettivo principale di una strategia militare simile è evitare qualsiasi conflitto diretto, proteggendo al contempo la popolazione e le infrastrutture. Per ottenere questo risultato, è fondamentale avere una deterrenza credibile, ovvero far sì che potenziali aggressori evitino di attaccare la Svizzera perché sarebbe necessario un impegno militare molto elevato. Questo potrebbe includere, in casi estremi, la minaccia di usare armi a lunga distanza. Altre misure di deterrenza potrebbero essere l'interruzione delle linee di comunicazione e il supporto alla resistenza civile sotto una guida politica. Per rendere tutto ciò efficace, è necessario disporre di una popolazione civile resiliente, di forze armate moderne e ben preparate, e di iniziative diplomatiche che presentino la Svizzera come un valore di pace per tutti».

Dove dovrebbero essere concentrate le priorità? Nella difesa aerea, oppure negli armamenti di terra?
«È fondamentale modernizzare l’esercito nel suo insieme. La priorità è stata assegnata alla difesa aerea, ma ora è necessario concentrarsi sulle truppe di terra per risolvere la carenza di equipaggiamento. Credo che anche in futuro le guerre saranno decise dal controllo del territorio. L’esperienza della guerra in Ucraina dimostra che non bisogna trascurare le forze terrestri. In particolare, i mezzi pesanti possono avere un effetto deterrente».

Quali sono i principali ostacoli tecnici e finanziari nell’ammodernamento della difesa aerea e quali potrebbero essere le soluzioni praticabili?
«Dopo la fine della Guerra Fredda, la difesa aerea svizzera è stata notevolmente ridotta. Inoltre, la difesa aerea di terra è in grado di coprire solo circa un quarto del territorio svizzero. In particolare, i sistemi più vecchi come le unità di fuoco Rapier, Stinger e i cannoni antiaerei stazionari sono stati dismessi o stanno raggiungendo la fine del loro ciclo di vita e devono essere sostituiti. L’integrazione di nuovi sistemi di difesa aerea, come il Patriot e l’F-35, rappresenta quindi una grande sfida, poiché devono essere robusti e compatibili con i partner stranieri. È inoltre importante coordinare l’uso della difesa aerea di terra con l’aeronautica. Ulteriori sfide riguardano la formazione e la sostenibilità tecnica di questi nuovi e complessi sistemi, per i quali si stanno cercando collaborazioni di formazione con l’estero. Altre sfide sono la difesa contro i droni e i missili ipersonici, nonché la dipendenza dai fornitori stranieri».

Come si potrebbe migliorare la gestione degli acquisti militari per evitare ritardi, sprechi e problemi di adattamento tecnologico, come nel caso dei droni Hermes-900?
«L’approccio svizzero si basa sullo “sviluppo orientato alle capacità” dell’esercito. Non si tratta più di grandi riforme, ma di piccoli passi mirati per adattare le forze armate alle capacità future. Questo processo, sia militare che politico, si basa su scenari e ipotesi per ottimizzare le risorse finanziarie limitate. Il controllo dei costi e l’efficienza restano i due principi fondamentali per evitare ritardi, sprechi e problemi di adattamento tecnologico, come nel caso dei droni Hermes-900».

Quali modelli di cooperazione internazionale potrebbero conciliare la neutralità svizzera con la necessità di una difesa più efficace?
«I vantaggi di una neutralità pragmatica devono essere meglio spiegati ai Paesi partner. Ciò include anche un possibile allentamento della rigida legge sul materiale bellico, attualmente in discussione. Collaborazioni nella formazione e esercitazioni congiunte sono modelli credibili di cooperazione internazionale. L’adesione già approvata allo European Sky Shield è compatibile con la neutralità e rafforzerà la difesa comune con altri Paesi».

Quali strategie si potrebbero adottare per affrontare la carenza di personale qualificato e garantire un numero sufficiente di soldati in futuro?
«Innanzitutto, un maggiore riconoscimento della formazione militare nel settore privato e nel sistema educativo. Inoltre, bisognerebbe ridurre il numero di soldati formati che passano al servizio civile. Un’alternativa potrebbe essere discutere l’introduzione di un servizio obbligatorio anche per le donne, per affrontare il problema del reclutamento».