Brexit

Sfiducia alla May: aperto il dibattito

«Il governo ha fallito, restituisca la parola al Paese» ha detto Jeremy Corbyn, leader dell’opposizione laburista
Jeremy Corbyn mentre parla alla Camera dei Comuni. (Foto Keystone)
Ats
16.01.2019 15:45

LONDRA - Il voto di ieri sulla Brexit dimostra che il governo Tory di Theresa May non ha una maggioranza sulla «questione più vitale che è di fronte» al Regno Unito e non è in grado di controllare la Camera dei Comuni. Lo ha sottolineato il leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, formalizzando oggi la mozione di sfiducia e aprendo il dibattito. «Il governo ha fallito, restituisca la parola al Paese», ha detto Corbyn, sollecitando l’approvazione della mozione e la strada di elezioni anticipate.

Corbyn ha accusato May di aver «perso tempo» per due anni, «rifiutandosi di ascoltare i parlamentari», per arrivare a presentare alla fine alla Camera dei Comuni «un accordo Frankenstein» sulla Brexit. E di aver continuato a perdere tempo anche quando ormai era chiaro che non aveva una maggioranza, rinviando il voto previsto per dicembre sulla base della «falsa promessa» di poter ottenere dall’Ue garanzie legali sul backstop, il meccanismo di salvaguardia del confine aperto in Irlanda imposto da Bruxelles.

«Questo governo non rappresenta né coloro che hanno votato Leave, né coloro che hanno votato Remain» al referendum del 2016 e non risponde ai loro bisogni, ha insistito il leader del Labour, denunciando anche gli effetti della politica economica Tory, i tagli al welfare e l’aumento della povertà. Quanto alla Brexit ha ribadito poi il suo rifiuto di qualunque ipotesi di no deal, contestando a May di rimanere invece ambigua su questo punto.

May: «Le elezioni sarebbero la soluzione peggiore»

Dal canto suo la premier britannica Theresa May ha chiesto ai Comuni di respingere la mozione di sfiducia presentata contro il governo dall’opposizione laburista, additando le elezioni anticipate dopo la bocciatura ieri del suo accordo sulla Brexit come «la peggiore strada possibile». Le elezioni - ha detto la premier Tory replicando a Jeremy Corbyn - non sono nell’interesse nazionale: porterebbero divisione mentre il Paese ha bisogno di unità, incertezza quando servono certezze e un ulteriore rinvio mentre il popolo britannico vuole guardare avanti».

May, nel suo lungo intervento punteggiato di interruzioni e risposte, ha difeso il bilancio delle politiche Tory di questi anni, rivendicando i dati sull’occupazione, sulla crescita del Pil, sul calo del deficit e in generale la ripresa dell’economia rispetto all’eredità lasciata nel 2010 dal governo laburista di Gordon Brown sull’onda della crisi globale del 2008. Pur riconoscendo la necessità di risposte ulteriori sul fronte sociale.

Sulla questione della Brexit, tuttavia, è parsa quasi sorvolare sul risultato disastroso per lei del voto di ieri, non facendo alcuna concessione sostanziale rispetto alla sua linea, ribadendo che l’uscita dall’Ue non può essere messa in discussione e rifiutando qualsiasi apertura anche sulla proposta laburista di un accordo con l’Ue che lasci la Gran Bretagna nell’unione doganale: proposta riecheggiata da un veterano Tory, Kenneth Clarke, rimasto peraltro oggi l’unica voce critica della premier all’interno del suo gruppo.

May ha puntato piuttosto sulla polemica con Corbyn, per allontanare lo spettro della sfiducia: accusando il leader laburista di non avere una linea chiara né «una proposta alternativa» sulla Brexit e poi prendendolo di mira su altri temi - dalla questione dell’antisemitismo, al pacifismo, ai rapporti con la Nato o a quelli con la Russia - come una minaccia per la sicurezza nazionale del Paese.

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