Denatalità

Sì, l’inverno è sempre più vicino «ma il futuro non è ancora scritto»

La pubblicazione dei dati da parte dell’Istat conferma tendenze e preoccupazioni già analizzate in gran parte dell’Occidente - Con Edoardo Slerca parliamo delle incertezze che ne derivano e delle possibili risposte pubbliche
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Paolo Galli
27.10.2025 06:00

«Istat, nascite ancora in calo in Italia: nel 2024 fecondità ai minimi storici». Proprio così, la scorsa settimana è stato il turno dell’Italia. Oltre confine hanno fatto qualche somma, scoprendo che le nascite, nel 2024, sono state solo 369.944, con un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente. Minimo storico anche per quanto riguarda il numero medio di figli per donna: 1,18. Il caso italiano è interessante perché si inserisce perfettamente nelle dinamiche occidentali - ma non solo, basti pensare all’Asia -, condivise anche da altri Paesi, Svizzera compresa. «I dati italiani ci insegnano innanzitutto una cosa: nel determinare la natalità non conta solo il tasso di fecondità attuale, ma anche la sua evoluzione storica», spiega Edoardo Slerca, co-curatore (con Ivano Dandrea) del volume «L’incertezza demografica. Il Canton Ticino fra denatalità e invecchiamento» (Dadò, 2022), ricercatore alla SUPSI presso il Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale.

Ticino, un campanello d’allarme

Riprendiamo il filo del discorso. «In Italia, nel 2024, sono nati circa 370.000 bambini a fronte di un tasso di natalità di 1,18. Si tratta di un tasso molto basso, ma non è la prima volta che la fecondità raggiunge livelli analoghi in Italia. Il tasso di fecondità, infatti, era già stato pari ad 1,19 nel 1995, ma allora i nuovi nati erano stati ben più di 500.000. La differenza sta nel fatto che nel 1995 c’erano molte più donne in età fertile: se il tasso di fecondità rimane basso per molti anni, ci saranno sempre meno bambini anche perché ci saranno meno genitori in età potenzialmente fertile». La situazione in Ticino - sottolinea ancora Edoardo Slerca - è meno grave rispetto all’Italia, ma dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per il nostro cantone, dato che i nuovi nati in Ticino stanno calando e il tasso di fecondità inizia ad essere basso da molti anni. Il Ticino ha caratteristiche sue, ben analizzate nello stesso volume «L’incertezza demografica». «Innanzitutto le tempistiche con cui la popolazione del nostro cantone invecchierà. Facendo riferimento alla vicina Italia, che affronta una denatalità e un invecchiamento della popolazione molto pronunciati, il Ticino è “indietro” di una decina d’anni, ovvero si troverà tra una decina d’anni nella situazione in cui l’Italia si trova ora. Per contro, il Ticino è “avanti” di una decina d’anni rispetto alla Svizzera tedesca e francese». Il Ticino può quindi fare tesoro della (negativa) esperienza italiana e, al contrario dell’Italia, «attuare politiche volte a sostenere la natalità e la crescita demografica». Inoltre può costituire «un laboratorio» per sperimentare politiche che in futuro potrebbero utilmente essere estese a tutta la Svizzera.

I risvolti collettivi

Con Slerca ci soffermiamo sul termine “incertezza”, perché può essere interpretata come causa e come conseguenza della denatalità. Un circolo vizioso, insomma. «È vero, il termine “incertezza” può essere considerato sia causa sia conseguenza. È causa di denatalità quando diventa incertezza lavorativa, incertezza reddituale, che sfocia nell’impossibilità di pianificare il proprio futuro e, di conseguenza, anche di pianificare scelte di genitorialità. È conseguenza della denatalità quando diventa incertezza sulla disponibilità futura di manodopera, incertezza sulla sostenibilità del sistema pensionistico e sanitario. La differenza cruciale tra questi due tipi di incertezza, però, è che la prima ha una dimensione individuale e privata, la seconda una dimensione collettiva. E quest’ultima è una dimensione che spesso le società moderne sembrano dimenticarsi: le scelte di natalità sono individuali, ma hanno degli enormi risvolti collettivi, per l’intera società nel suo complesso. Per tale motivo, la società non dovrebbe considerarle solo delle scelte individuali». Ma quindi, vista tale “incertezza demografica”, chiediamo al ricercatore quanto spazio resti alla pianificazione economica, visto che le basi della popolazione attiva sono così incerte. «Con il termine “incertezza demografica” volevamo sottolineare come l’evoluzione demografica ticinese fosse fortemente dipendente dagli influssi migratori, che sono per loro natura erratici e spesso imprevedibili, specialmente nel breve termine. Se alziamo un po’ lo sguardo, però, e guardiamo a un orizzonte di medio termine, come il 2040, sappiamo che la popolazione in età potenzialmente attiva subirà una contrazione non trascurabile. Questo crea naturalmente sfide più complesse alla pianificazione economica, ma non bisogna commettere l’errore di considerare il futuro come già scritto. Ci sono diverse politiche, di varia natura, che si possono mettere in campo per sostenere la demografia, sia nel breve, sia nel medio-lungo termine».

Ma quali risposte?

Emmanuel Macron, soltanto un anno fa, parlava di «riarmo demografico». Insomma, la politica prova a trovare rimedi. Ma capire quali siano le politiche pubbliche più efficaci non è scontato. Prosegue Slerca: «Quello a cui faceva principalmente riferimento Macron con l’espressione “riarmo demografico” riguarda un aspetto prettamente biologico: la fertilità. È noto che la fertilità maschile sia calata in modo significativo negli ultimi 30 anni. Inoltre a causa del prolungamento degli studi e dell’incertezza lavorativa si tende a fare i figli sempre più tardi e questo porta le donne a cercare il primo figlio dopo i 35 anni, quando la fertilità inizia a calare più rapidamente. Venendo alle politiche pubbliche, bisogna sottolineare come non esista una bacchetta magica che risolva tutti i mali che causano una bassa natalità». Quello che è fondamentale - sottolinea ancora il ricercatore - è «rimuovere tutti gli ostacoli che allontanano la fecondità desiderata dalla fecondità realizzata», dove la prima rappresenta il numero di figli che ciascuna coppia vorrebbe avere e la seconda il numero di figli che effettivamente ha. Per fare questo occorre mettere in campo «quell’insieme di politiche che portano a ridurre l’incertezza sul futuro: dall’incremento delle misure di supporto all’infanzia, come la disponibilità di asili nido gratuiti per tutti, a sussidi di disoccupazione che riducano l’incertezza reddituale, a migliori politiche di conciliabilità lavoro-vita privata, a garanzie pubbliche a sostegno dell’acquisto della prima casa, fino alle condizioni che consentono l’incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, che a sua volta allenta i vincoli finanziari che attanagliano le giovani famiglie. Sono tutte misure che si sostengono a vicenda e che creano le condizioni per una maggiore sicurezza sulle possibilità di costruire un futuro adeguato per i figli. E così facendo, porterebbero anche i giovani a fare i figli prima, quando la fertilità è più elevata».

Un freno allo sviluppo

La denatalità può diventare un freno allo sviluppo economico. «Sicuramente. Diversi studi mostrano come la crescita di un Paese sia fortemente correlata all’evoluzione della sua popolazione in età attiva (15-64 anni). Oltre a questo, benché alcuni studi mostrino come società che invecchiano puntino maggiormente sull’automazione, risulta difficile immaginare che nel lungo periodo una forte contrazione della quota di popolazione giovane non abbia alcun impatto negativo sull’innovazione e di conseguenza sulla competitività di un’economia». Se la natalità non risalisse, sarebbero necessari alcuni adattamenti economici e sociali. Più immigrazione? Lavoro oltre i 70 anni? Un nuovo modello di welfare? «L’immigrazione ha finora mitigato gli effetti demografici della forte denatalità riscontrata nei nostri territori. Tuttavia, sia l’UFS, sia l’USTAT si attendono un rallentamento degli influssi migratori dopo il 2030, poiché tutti i Paesi che ci circondano si trovano in condizioni demografiche anche peggiori della nostra. Questo fa sì che da un lato si creino delle migliori opportunità lavorative nel Paese d’origine e dall’altro che gli stessi Paesi d’origine cerchino in tutti i modi di trattenere la propria manodopera». In questo contesto, conclude Edoardo Slerca, «sarà inevitabile cercare di estendere l’età lavorativa - anche per tenere conto del progressivo aumento dell’aspettativa di vita - per mitigare anche le pressioni sul sistema pensionistico. L’invecchiamento della popolazione associato all’aumento dell’aspettativa di vita, infatti, fa sì che ci siano sempre meno contribuenti e sempre più percettori di pensioni. Un altro settore che sarà fortemente impattato dall’invecchiamento della popolazione è la sanità che non solo dovrà far fronte a una domanda sempre crescente, ma sarà anche confrontato con una crescente scarsità di personale medico».

I dati sul 2024 confermano la discesa delle nascite in quasi tutto il continente. In Italia, secondo l’Istat, sono nati 369.944 bambini, il 2,6 % in meno rispetto al 2023 (-9.946 nati). Il tasso di fecondità è sceso a 1,18 figli per donna, nuovo minimo storico. Il saldo naturale resta negativo: oltre 650 mila decessi, con una perdita di circa 280 mila residenti al netto dei flussi migratori. Anche nel resto d’Europa i numeri non migliorano. In Germania il tasso di fecondità nel 2024 è stimato a 1,35, in Spagna a 1,16, in Portogallo a 1,23, in Grecia a 1,22. I Paesi con i valori più alti restano Francia (1,66), Svezia (1,57) e Irlanda (1,70), ma tutti in calo rispetto all’anno precedente. L’età mediana della popolazione europea è salita a 44,7 anni, e in molti Stati il numero dei decessi supera quello delle nascite. Secondo Eurostat, il tasso medio di fecondità dell’Unione si attesta attorno a 1,37 figli per donna, ben al di sotto della soglia di sostituzione (2,1). La Svizzera registra, dal canto suo, un andamento simile: nel 2024 il tasso di fecondità è sceso a 1,33 figli per donna, con 79.200 nascite, il 3 % in meno rispetto al 2023. Nel canton Ticino nel 2024 sono nati 2.314 bambini (76 in meno del 2023), contro 3.428 decessi - per un saldo naturale pari a -1.114 -, e la quota di popolazione con più di 65 anni ha superato il 24 %. L’indice di vecchiaia è di 194 (194 over 65, ogni 100 persone di età inferiore ai 15 anni) tra i più alti della Confederazione, la cui media è di 131,7. A livello mondiale, secondo il Population Reference Bureau 2024, il tasso di fecondità globale è sceso a 2,3 figli per donna, rispetto ai 5,0 degli anni Cinquanta. L’Asia orientale e l’Europa sono le aree più colpite: in Corea del Sud il tasso è di 0,72, in Giappone di 1,2. L’unico continente ancora sopra il livello di sostituzione è l’Africa (4,0). Nel complesso, l’Europa resta il continente con la natalità più bassa e la popolazione più anziana del pianeta: meno nati, più anziani, più squilibri strutturali.
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