Social e minori: ora la politica vuole risposte

Gli effetti nocivi dei social network su bambini e adolescenti sono sotto osservazione da anni. Psicologi e neuropsichiatri infantili continuano ormai, con una certa insistenza, a sottolineare i potenziali danni di una vita iperconnessa. Negli USA, Paese in cui - con l’eccezione della cinese Tik Tok - hanno sede tutte le Big Tech, le grandi aziende del mondo virtuale, il dibattito sul tema social e infanzia è cresciuto in modo esponenziale a partire soprattutto da settembre 2021, da quando cioè il Wall Street Journal ha iniziato a pubblicare i Facebook Files, documenti che dimostravano come l’azienda di Mark Zuckerberg conoscesse le conseguenze negative di Instagram sui problemi di immagine corporea tra gli adolescenti.
Dopo l’apparizione in Tv, nella storica trasmissione d’inchiesta 60 Minutes in onda sulla CBS, dell’ingegnera Frances Haugen, la “talpa” che aveva fornito al WSJ i Facebook Files, la questione ha assunto anche una valenza politica. Alcuni Stati hanno promulgato una legislazione che impone ai social network di verificare l’età degli utenti o di adottare altre misure per proteggere i giovani. Leggi sulla salvaguardia dei minori online sono state approvate dall’Unione Europea e dal Regno Unito. La Commissione Giustizia del Senato degli Stati Uniti ha invece tenuto almeno nove audizioni con dirigenti delle Big Tech ed esperti nel tentativo, sin qui fallito, di arrivare a una normativa federale sul controllo dei social. Intervistato dal New York Times, David Vladeck, docente di Procedura civile alla Georgetown University e già direttore dell’Ufficio della protezione dei consumatori della Federal Trade Commission, ha paragonato le azioni del Parlamento statunitense sulla tecnologia ai Peanuts di Charles M. Schulz: «Il Congresso ha costantemente puntato su una legislazione tecnologica che sembra essenziale, ma mi sento come Charlie Brown: ogni volta che vuole calciare il pallone, Lucy glielo porta via».
L’inchiesta del Guardian
Dopo la pubblicazione, nel maggio 2023, di un lungo rapporto del Surgeon general, il problema è cresciuto d’intensità.
Il procuratore generale del New Mexico, Raúl Torrez, ha aperto un fascicolo d’indagine su Meta (la società di Zuckerberg), accusandola di mancata protezione dei bambini dagli abusi sessuali, dagli approcci predatori e dal traffico di esseri umani. L’amministrazione Biden si è esposta in modo diretto, per la prima volta, con una dichiarazione della portavoce Karine Jean-Pierre, la quale ha parlato di recente dell’esistenza di «prove innegabili che i social media contribuiscano alla crisi della salute mentale dei giovani».
Due settimane fa, poi, un’inchiesta del Guardian ha portato alla luce scelte «consapevolmente errate» da parte di Instagram. Arturo Béjar, ex ingegnere senior e consulente di Meta, ha spiegato al quotidiano britannico che la società «dispone già dell’infrastruttura necessaria per proteggere gli adolescenti dai contenuti dannosi. Zuckerberg ha gli strumenti per rendere Instagram, in particolare, più sicuro per i più giovani, ma l’azienda ha scelto di non apportare tali modifiche. Basterebbero tre mesi a Meta per attuare un’efficace repressione dei contenuti autolesionistici - ha aggiunto Béjar - Hanno tutti i macchinari necessari per farlo. Ciò che serve è la volontà di creare un ambiente veramente sicuro».
Dopo aver lasciato l’attività come ingegnere senior nel 2015, Béjar era tornato come consulente nel 2019 per un periodo di due anni in cui ha condotto una ricerca dimostrando che un bambino su otto, di età compresa tra 13 e 15 anni, aveva ricevuto su Instagram avance sessuali indesiderate, mentre uno su cinque era stato vittima di bullismo sulla piattaforma e l’8% aveva visualizzato contenuti autolesionistici. L’ex dipendente di Meta ha spiegato al Guardian di aver invitato l’azienda a fissare obiettivi volti a «ridurre i contenuti dannosi e a intraprendere una serie di modifiche, tra cui: rendere più semplice per gli utenti segnalare i contenuti indesiderati e dichiarare perché non vogliono vederli; sondare regolarmente gli utenti sulle loro esperienze sulle piattaforme Meta; e rendere più semplice per gli utenti inviare resoconti sulle loro esperienze sui servizi Meta».
Le risposte non sono arrivate. Nel frattempo, anche dopo aver lasciato il suo incarico, Béjar ha continuato a monitorare la piattaforma Instagram. A suo avviso, sull’app rimangono contenuti dannosi, incluso materiale autolesionista, nonché prove evidenti di utenti minorenni (Instagram ha un limite di età minimo per i suoi utenti di 13 anni).
Lo scontro in Senato
Il 31 gennaio scorso, la discussione pubblica sul pericolo social per i minori ha fatto, negli Stati Uniti, un significativo passo avanti con l’audizione davanti alla commissione Giustizia del Senato di cinque tra i più importanti dirigenti delle Big Tech. Oltre a Mark Zuckerberg, hanno testimoniato davanti al Congresso Shou Chew, amministratore delegato di Tik Tok; Evan Spiegel, amministratore delegato di Snap; Linda Yaccarino, amministratrice delegata di X; e Jason Citron, amministratore delegato di Discord. Soltanto Zuckerberg e Chew, però, hanno accolto l’invito della commissione a presentarsi. Gli altri tre sono stati citati in giudizio in modo formale. Questo fa capire quanto sia difficile per la politica dialogare con le grandi aziende della Rete. Ogni limitazione, ogni freno o riserva sono visti dalle Big Tech come un attacco alla propria libertà e, soprattutto, come un freno allo sviluppo e alla crescita del giro d’affari.
Fino a oggi, le piattaforme online sono state coperte da un’immunità quasi assoluta grazie alla Sezione 230 del Communications Decency Act, la legge approvata nel 1996 per contrastare la diffusione della pornografia in Internet. In virtù della Sezione 230, le Big Tech generalmente non possono essere citate in giudizio o essere ritenute responsabili di eventi generati da comunicazioni apparse sui rispettivi social. «Nulla cambierà a meno che non apriamo le porte delle aule di Tribunale - ha detto durante una delle audizioni la senatrice democratica del Minnesota Amy Klobuchar - i soldi parlano ancora più forte di quanto parliamo noi».
Di fatto, le aziende tecnologiche hanno difeso con un certo zelo l’attuale legislazione: dei cinque manager sentiti in Senato: soltanto Jason Citron ha ammesso che «la Sezione 230 dovrebbe essere aggiornata», senza però spiegare come.
Il livello dello scontro politica-imprese rimane alto e, per una volta, sembra essere bipartisan. «La costante ricerca, da parte delle aziende, del profitto rispetto alla sicurezza di base mette a rischio i nostri figli e nipoti», ha detto il presidente della commissione Giustizia Dick Durbin, senatore democratico eletto nell’Illinois. Mentre il collega repubblicano della South Carolina Lindsey Graham ha addirittura imputato a Mark Zuckerberg di «avere le mani sporche di sangue», aggiungendo subito dopo che «le piattaforme di social media stanno uccidendo le persone» e costringendo, in sostanza, il capo di Meta a chiedere scusa seduta stante con una dichiarazione che ha fatto rapidamente il giro del mondo. Scuse pronunciate anche da Spiegel di fronte all’accusa di non aver saputo bloccare la vendita di droga su Snapchat. «Mi dispiace molto che non siamo stati in grado di prevenire queste tragedie», ha detto il CEO di Snap ai genitori i cui figli sono morti per overdose di Fentanyl dopo aver acquistato i farmaci attraverso la piattaforma.