Spendiamo di più ma non siamo cicale

Partiamo dalle conclusioni, saltando a piedi pari, almeno per un istante, la teoria. Secondo l’analisi del BAK, sono cinque gli ambiti della spesa pubblica cantonale che presentano un indice dei costi «significativamente superiore» alla media intercantonale. In ordine di importanza e peso troviamo: l’ambito dei sussidi di cassa malati (RIPAM), i trasporti pubblici, gli anziani, le scuole pedagogiche e universitarie professionali, e, infine, il sostegno sociale.
Ma quanto incidono maggiormente questi ambiti rispetto agli altri cantoni? Secondo lo studio, il cosiddetto «differenziale di costo» del Canton Ticino per questi settori, ossia il potenziale di ottimizzazione affinché la spesa rientri nei parametri intercantonali, è di 92,1 milioni di franchi. La parte del leone è rappresentata dalle prestazioni nell’ambito «delle riduzioni dei premi di cassa malati», dove il differenziale di costo è di 47,5 milioni di franchi; seguono i trasporti pubblici (34,3 milioni); gli anziani (4,9 milioni); le scuole pedagogiche e universitarie professionali (3,1 milioni) e il sostegno sociale (2,3 milioni).
Per inciso, questi 5 ambiti, da soli, rappresentano il 95% del potenziale di ottimizzazione del Canton Ticino, stimato complessivamente attorno a 96,7 milioni di franchi. Va detto, per altro, che questa spesa esclusivamente cantonale si accompagna della quota a carico dei Comuni, per ulteriori 62,8 milioni di franchi.
Altri ambiti operativi, invece, presentano un indice dei costi unitari inferiore al confronto intercantonale. Tra queste voci troviamo categorie come: ospedali, prevenzione della salute, scuole di formazione generale, cliniche psichiatriche, scuole universitarie, protezione del paesaggio e, infine, i costi dell’Esecutivo. Qui spendiamo meno.

Costi strutturali e unitari
Ma come si è arrivati a queste cifre? Il primo aspetto da considerare è che l’analisi del BAK ha differenziato i costi strutturali (non influenzabili perché legati per esempio alla demografia o alla topografia del Ticino) dalle componenti influenzabili politicamente, i cosiddetti costi unitari. In questo senso, stringendo all’osso, lo studio ha messo in evidenza 3 dati chiave. Il primo riguarda la spesa pro-capite, che in Ticino risulta del 5% più alta rispetto alla media svizzera. Il secondo dato riguarda il peso dei costi strutturali. In altre parole, a causa della struttura peculiare del Ticino, alcune voci costano «strutturalmente» di più. Quanto? Il BAK ha stimato l’onere strutturale aggiuntivo attorno al 4%. La conclusione, politicamente, è molto interessante: il Ticino spende «solo» l’1% in più rispetto al resto della Svizzera.
Formiche e cicale
E proprio su questa considerazione che è intervenuto il presidente del Consiglio di Stato, Norman Gobbi, smentendo la narrazione di un Ticino spendaccione e cicala: «Il Ticino, nonostante le numerose sfide di carattere demografico e socioeconomico, è riuscito a mantenere sotto controllo le finanze. È vero che siamo maggiormente esposti, sotto il profilo dei costi, ad alcune criticità, ma questo non ci deve impedire di riflettere su come rispondere alle nuove sfide che ci sono state affidate, in particolare dopo il voto del 28 settembre».
Il nodo, effettivamente, è questo, perché da una parte il BAK ha mostrato che i sussidi RIPAM rappresentano l’ambito con un potenziale di intervento maggiore, dall’altra però il messaggio uscito dalle urne va esattamente nella direzione opposta, ossia verso un potenziamento di questa spesa. Insomma, il margine di azione risulta piuttosto risicato: «Inevitabilmente si porrà la questione politica su come riorientare le priorità della spesa», ha commentato Gobbi. «Questo dato deve indurre tutti a riflettere, spingendo a superare posizioni puramente difensive».
Eppure, trovare la quadratura del cerchio non sarà tanto semplice. Anzi, il dibattito rischia persino di acuirsi, tenuto conto che lo studio del BAK ha mostrato che la quota parte cantonale, rispetto a quella comunale, risulta inferiore alla media svizzera. In altre parole, i Comuni - nel nostro cantone - pagano mediamente di più rispetto al resto del Paese. Il Cantone Ticino sostiene il 72% dei costi (vs. 77%) , mentre il 28% grava sui Comuni. Per Gobbi, l’analisi del BAK rappresenta comunque un documento da cui partire per costruire un dialogo che porti, sul medio e lungo termine, a una revisione della spesa condivisa e matura. «I dati sono neutri e permettono di avere un’oggettività che talvolta manca».
Il topolino e la montagna
Per il presidente della Commissione della gestione, Fabrizio Sirica, lo studio «rappresenta uno strumento certamente valido, ma non è una bussola». In altre parole, le scelte resteranno politiche: potranno senz’altro essere orientate da questa «cartina», che indica la posizione del Ticino nel confronto intercantonale, ma non saranno determinate automaticamente dai suoi risultati. Sirica ha tuttavia accolto con grande favore l’oggettività dei dati e la raffinatezza dello strumento, che ha consentito di fare chiarezza anche su alcune voci di spesa ritenute, a torto, sopra la media. È il caso, ad esempio, della Polizia: «Si tratta effettivamente di un dato interessante – ha osservato – che andrebbe però ponderato, ad esempio, con la questione salariale». Che dire, invece, del risicato margine di manovra? Risparmiare su RIPAM e trasporto pubblico non è possibile. «Effettivamente la montagna ha partorito un topolino. Avevamo grandi aspettative su questo strumento per riorientare la spesa nel medio e lungo termine; tuttavia, oggettivamente, vi sono voci di spesa che risultano bloccate, a cominciare dai premi di cassa malati e dal trasporto pubblico». Come intervenire, dunque? «C’è un’immagine emblematica nello studio: una bilancia con troppo poche entrate. Il Ticino presenta costi strutturali superiori alla media, ma dispone di entrate inferiori rispetto alla media intercantonale. Viene quindi naturale pensare che un riequilibrio debba avvenire tra entrate e uscite».
Le reazioni
La tanto attesa analisi tecnica sulla spesa pubblica ticinese è dunque finalmente arrivata. E ora, va da sé, sulla base delle cifre fornite dagli esperti, toccherà alla politica trasformare quei dati nudi e crudi in misure concrete che possano raddrizzare, almeno in parte, la situazione finanziaria del Cantone. Da oggi, insomma, prende il via la parte più difficile: quella squisitamente politica.
«Lo scopo dell’esercizio – ricorda a tal proposito il presidente del PLR Alessandro Speziali – non era quello di chiedere ai tecnici misure di risparmio. Bensì di fornirci una radiografia di come il Ticino spende in vari settori». Dopodiché, appunto, «spetterà alla politica intervenire e capire quali sono i margini e dove si può riorientare la spesa». Un margine che lo studio del BAKha quantificato attorno ai 100 milioni di franchi. «Non è poco – rileva sempre Speziali –, ma non è nemmeno così tanto da permetterci di scavalcare il ‘muro’ finanziario che ci attende». Ad ogni modo, rileva il liberale radicale, «ci sono piste di analisi che si basano sui fatti, e non sulle teorie». E in tal senso «è interessante il fatto che gli ambiti toccati sono diversi».
«Fatto questo esercizio tecnico e positivo – aggiunge dal canto suo il capogruppo della Lega, Boris Bignasca –, da qui in poi ci vuole il coraggio politico per fare scelte, anche impopolari». Scelte, precisa Bignasca suggerendo alcune piste d’intervento, «sul fronte della sanità, dei premi di cassa malati, dell’amministrazione e della burocrazia». E scelte che «noi siamo pronti a fare, ma resta da vedere se anche gli altri lo saranno». Per il leghista, ad ogni modo, «bisogna essere molto chiari: o si taglia sulla parte dei sussidi, o si taglia su quella dell’amministrazione». E Bignasca, da questo punto di vista, non ha dubbi: «Noi pensiamo sia meglio risparmiare sull’amministrazione, anche se è uno sforzo, con un blocco delle assunzioni o la non sostituzione dei partenti nella misura del 50%».
Ad essere soddisfatto del documento è il capogruppo del Centro, Maurizio Agustoni. Era infatti stato il suo partito, più volte, a chiedere un’analisi di questo tipo. «L’avevamo fortemente voluto come gruppo parlamentare. E ora è arrivato un documento molto approfondito e interessante che individua aree dove la nostra spesa pubblica è superiore a quella degli altri Cantoni». Ora, precisa Agustoni, «in alcuni casi ciò è dovuto a scelte politiche o popolari (ndr. si pensi ai sussidi di cassa malati), in altri ambiti invece bisognerà capire se ci sono misure da prendere per allinearci agli altri Cantoni».
A fornire, poi, una lettura un po’ diversa è il capogruppo del PS, Ivo Durisch. Il quale, come fatto da Gobbi, mette l’accento sul quadro generale: «Un elemento sicuramente importante scaturito dallo studio riguarda il fatto che ha sfatato la narrazione politica secondo cui la spesa in Ticino è fuori controllo. Di fatto non lo è e siamo sostanzialmente allineati con gli altri Cantoni». Il PS, così come i Verdi, da tempo insiste sul fatto che il problema non sta nella spesa, bensì nelle entrate che sono venute a mancare: «È chiaro che la maggioranza politica ha voluto mettere l’accento sulla spesa, nella speranza di trovare una conferma che fosse fuori controllo, Ma così non è. Al contempo non ha voluto analizzare le entrate e dal mio punto di vista è un peccato: rispetto alla base fiscale che abbiamo, non preleviamo in maniera sufficiente per coprire dei costi allineati con gli altri Cantoni. E quindi abbiamo una struttura finanziaria cronicamente fragile e ciò non ci permette di avere una progettualità per il futuro».

