«Spiati a scopo commerciale? Rischio violazione privacy»

Una bufera si abbatte sulle Ferrovie federali. Una bomba scoppiata letteralmente nelle mani dell'ex regia federale, dopo che un articolo della rivista per consumatori K-Tipp ha dato per certo l'arrivo di un nuovo grande fratello nelle stazioni dei treni. «Telecamere intelligenti tracceranno i percorsi dei passanti, riconosceranno i loro volti e osserveranno i loro comportamenti. Quanto sei alto? Quanto veloce cammini? Cosa hai comprato in farmacia? Sei da solo, hai incontrato qualcuno? Gli sguardi digitali vi tengono d'occhio. E non avrete scampo». I toni sono più o meno questi, insomma. Qualcuno potrebbe obbiettare, poi, che il compito di questa azienda di servizio pubblico sarebbe quello di far arrivare i convogli in orario, invece di intrufolarsi negli affari di chi capita negli spazi comuni tra un binario e l'altro. Il gigante delle rotaie non rilascia interviste, ma si limita a una nota piuttosto stringata. «La comunicazione ufficiale che hanno mandato? Mah, sono perplesso» A parlare è Alessandro Trivilini, 48 anni e responsabile del Servizio d’informatica forense della SUPSI. «È una cosa generica, dice tutto e non dice nulla. Proprio perché siamo di fronte a colossi dovrebbero riporre maggiore attenzione e dettagli informativi a questo genere di progetti. Sì, sono abbastanza critico su questo progetto delle Ferrovie federali, se queste sono le modalità di impiego».
«Certo, dicono che rispettano le regole sulla protezione dei dati. E ci mancherebbe. Ma il punto è che, potenzialmente, viene meno un principio di ‘trasparenza’, un principio di ‘finalità’ e, soprattutto, quello sulla ‘minimizzazione’ dei dati raccolti: siccome la finalità sembra essere commerciale, nel concreto potrebbe significare prendere quanti più dati possibile... così è paradossale, rischia di sovrapporsi al senso originale della regola. Traccio tutto e tutti, perché voglio sapere tutto quel che fanno. Con questo approccio, e in assenza di spiegazioni chiare, potremmo essere al limite di un sistema di tracciamento dati totalitario come quello cinese! È corretto? Ma poi: come informo le persone che passano di lì? Perché non basta una dichiarazione generica su un sito o su un'app. Non basta un cartello come quello a cui siamo abituati. Eh, no. In questi casi sarebbe opportuno essere più precisi, soprattutto alla luce della nuova legge che entrerà in vigore il 1. settembre 2023. I passanti devono poter comprendere con parole semplici tutte le informazioni utili per renderle la situazione che riguarda la sorveglianza a scopo commerciale, indicando anche in modo dettagliato persino le planimetrie dove le videocamere sono attive con questo particolare scopo».
Dal reparto Comunicazione della grande azienda, in merito alla questione, ci si limita a dichiarare che l'articolo pubblicato sulla rivista per consumatori K-Tipp è stato realizzato sulla base di «una serie di informazioni che avevamo fornito loro e che sono state in parte distorte». Della stessa lunghezza d'onda anche la pagina aggiunta sul loro portale aperto al pubblico: «Prima dell’introduzione, le FFS adempiranno a tutti i requisiti fissati dall’incaricato per la protezione dei dati». Non prima di aver sottolineato come ci si «distanzia in modo categorico da quanto riportato dalla testata». La nota contiene pure cenno a un bando di concorso (non disponibile al pubblico). «Nella documentazione del bando, è richiesto espressamente agli offerenti di garantire il rispetto della legge federale sulla protezione dei dati e di descrivere come intendono attuare tale tutela». Affermazioni che non cambiano il principio delle cose, secondo l'esperto della SUPSI. Il titolo riportato dal comunicato, poi, appare perlomeno sibillino: «Dati protetti con il nuovo sistema di misurazione di frequenza clienti».


Non per la sicurezza
«L'uso delle videocamere per video sorvegliare questi luoghi di transito non è certo nuovo, però siamo di fronte a un potenziale salto di qualità. E qual è? Il fatto che queste videocamere diventano intelligenti, in rete, connesse ad altri sistemi di raccolta dati. Grandi quantità di dati personali costantemente analizzati, profilati a scopo commerciale. Attenzione, qui sta il punto. Dati non elaborati per la sicurezza. Non per impedire furti o identificare chi commette reati in questi luoghi. No. Qui si tratta di uno scopo commerciale e tutti lo sanno che più sono e meglio è. E quando si riprende una persona fisica nella sua totalità diventa difficile poi mantenere viva la distinzione tra dati personali degni di particolare protezione dal resto. Allo stesso modo della profilazione che avviene quando si naviga su un sito web o attraverso un'applicazione».
Il problema, secondo l'esperto, è che questo principio è applicato all'aperto. In uno spazio pubblico. «Le persone che sono di passaggio potrebbero non avere un cellulare dal quale leggere le condizioni d'uso ricondotte unicamente al mondo digitale. Potrebbero non avere un dispositivo elettronico per informarsi su che tipo di dati vengono raccolti e con quale scopo. Ma la legge prevede che tutti siano informati nel migliore dei modi e che debbano accettare queste condizioni». Non è chiaro, poi, come si comporterebbe il sistema nei confronti, ad esempio, di minorenni. Anche loro possono essere bellamente tracciati senza troppi problemi?


Tutti i dati, troppi dati
Lo scenario prospettato negli articoli usciti sui media ipotizza il rischio di avere, alle spalle, un amico elettronico non richiesto che ci segue ovunque: quale sarà la tua destinazione di viaggio? Con chi sei? Hai bagagli? Se sì, quanti? E, affinché il tracciamento sia davvero efficace, sarebbe necessario installare il riconoscimento facciale. «Le persone, il loro comportamento, l'età, il genere, come sono vestiti... Forse, azzardo, anche quel che ci diciamo. Dato che stiamo parlando di videocamere multimediali intelligenti e predisposte al monitoraggio non solo delle immagini, ma anche dell'audio. Come saranno configurati, questi dispositivi? Ci saranno delle aree nelle quali non sarà catturato nulla?». Tante domande a cui il comunicato non risponde. «Dati usati per sviluppare nuovi servizi, attraverso la conoscenza del comportamento personale di ogni singola persona».
«Ripeto, la deriva potenziale è quella di sfociare nella violazione della privacy totale, perché la responsabilità di informare le persone in transito dei sistemi piazzati in questi luoghi non necessariamente riguarda coloro che devono prendere un treno» aggiunge Trivilini. «Ci sono persone che magari vanno soltanto a bere un caffè al bar della stazione. Proprio queste, poi, potrebbero non avere un dispositivo elettronico e non essere a conoscenza di tutti questi crismi che, in trasparenza, devono essere comunicati costantemente e con chiarezza».


Un'idea rischiosa
L'esperto tira in ballo un confronto con la superpotenza comunista. «Sì, siamo al limite di un sistema cinese che usa la tecnologia per sorvegliare, monitorare e seguire le persone nel loro habitat naturale. È già una realtà, non una fantasia. Che sia un un piazzale o una zona di transito attraverso, come nel nostro caso, una stazione. Qualcosa di complesso, che non può essere risolto o banalizzato con un semplice cartello che indica il canonico Area videosorvegliata. Le regole della nuova legge sulla protezione dei dati in ottica di trasparenza sono un po' più strutturate e un po' più organiche. Non si possono risolvere in questo modo».
Trivilini scuote la testa. «No, sono molto critico. Trovo questo genere di progetti molto rischiosi. Aprono una deriva di sorveglianza di massa che finora in tutto l'Occidente è sempre stata giustificata con motivi di sicurezza nazionale, e in quel caso ci sta. Pensiamo al terrorismo, pensiamo agli attentati. Però se lo scopo è quello di profilare o osservare il comportamento delle persone per scopi commerciali, ecco, questo mi lascia perplesso».


Come un mostro inarrestabile
Il caso, letteralmente esploso nelle mani dell'ex regia federale, in fin dei conti è soltanto un segno dei tempi. Un approccio usato in altri contesti e reso possibile dalle nuove tecnologie. Dai passi da gigante dell'intelligenza artificiale. «La privacy? Credo che, oggi, sia soltanto il ricordo di un tempo lontano. Proprio per questo, dopo un ciclo di vent'anni, i colossi informatici dei Paesi occidentali sono corsi ai ripari. Cercando di dare maggiore trasparenza, dimostrando, ai propri utenti, di essere compatibili con le nuove regole e leggi sulla protezione dei dati a livello europeo, a livello svizzero, a livello internazionale vanno proprio in questa direzione di maggiore tutela, consapevolezza e responsabilità». Rimane tuttavia scettico anche nei confronti di una possibile prova tecnica. «Infatti. Proprio per evitare queste derive. Perché, una volta avviato l'impianto, anche solo nella fase sperimentale e come esercizio didattico, conta che è acceso e attivo. La tecnologia è pronta e lo si dimostra sul campo. Fermarla, poi, diventa difficile perché gli aspetti tecnici in gioco sono molti e complessi».