Il ricordo

Stefano Benni: «La democra­zia potrà essere solo con­quistata, “innaturale”»

Pubblichiamo qui due stralci di interviste rilasciate al Corriere del Ticino, nel corso degli anni, dal grande scrittore, morto questa mattina a Roma
© YouTube
Red. Online
09.09.2025 12:31

Il 9 marzo del 1996, interrogato da Paolo Marcesini su cosa significasse per un giovane essere di sinistra, Stefano Benni rispose: «Basta che lo dica, e difficilmente gli verrà chiesto un comportamento conseguente. Se invece un  giovane non vuole soltanto “dichiararsi" di sinistra, deve essere pronto a fare un po’ di fatica. Essere di sinistra com­porta, oggi più che mai, qualche ri­nuncia, e non solo look e frasario alternativo. Deve essere una scelta quotidiana, non occasionale».

La sua generazione voleva cam­biare il mondo e pensava di avere gli strumenti per farlo. Oggi esiste, chiara e definita, la consapevolezza che il futuro non sarà necessaria­mente migliore del passato. Da dove deriva questo sentimento?
«Il futuro, nei Paesi ricchi, è più oscuro perché è sempre dominato dalle camorre finanziarie, dal terro­re di perdere un “benessere” indefi­nibile, dall’arroganza colonialista dell'informatica, dai fanatismi ar­mati e dalla paradossale disinfor­mazione a cui ha portato il prolifera­re dei media. Cambiare il mondo è più difficile perché le decisioni del mondo sono sempre più “distanti” dalla gente, e in mano a un numero sempre più ristretto di  persone, molte delle quali professionalmente crimi­nali. E poi. diciamolo tranquilla­mente: è caduta definitivamente l’il­lusione di una democrazia come esi­to naturale dello sviluppo, o come scelta generazionale. La democra­zia, in futuro, potrà essere solo con­quistata, lottata, “innaturale”».

Quindi appartiene anche lei al gruppo di chi sostiene «noi di allora eravamo migliori di voi di adesso».
«Non mi interessa dire che erava­mo migliori. Mi interessa dire che molti di noi erano (e sono) onesti, disinteressati altruisti. Purtroppo, da un certo momento in poi è stato sufficiente dire di essere migliori, senza sentire l’obbligo di dimostrar­lo. Credo, ed è una buona cosa, che ora non sia più possibile limitarsi a indossare la maglia del migliore».

Parliamo di libri, come mai Kerouac e Hemingway tornano ad affa­scinare i ragazzi?
«Lei ha fatto due nomi, io potrei aggiungerne altri, da Pasolini a Majakovskj, da Calvino a Baudelaire. I giovani di lingua italiana continua­no a leggere con una certa autono­mia fregandosene del martellamento televisivo e dei premi letterari».

«Poesia e ironia non cercano verità assolute»

Ripubblichiamo qui, invece, l'ultima intervista realizzata dal Corriere del Ticino - nel caso specifico da Laura Di Corcia - a Stefano Benni. Venne pubblicata il 16 gennaio del 2014.

Lo spunto era la sua partecipazione a LuganoInScena con lo spettacolo "Il poeta e Mary", il cui protagonista principale era il poeta Jack.

Iniziamo da Jack, il poeta. Il nome è chiaramente evocativo, viene subito in mente Giacomo Leopardi: sbagliamo? Si è ispirato a lui o a qualche poeta letto e amato per costruire questo personaggio?
«È un gioco. Leopardi è un poeta che amo sicuramente molto, ma non è tra i miei miti».

Quali sono i motivi del blocco creativo di Jack? Uscirà dallo stallo? Se sì, come?
«Beh, ci riesce. Come? Questo è un buon motivo per vedere lo spettacolo».

Allo scrittore Stefano Benni capita di cadere in queste pozzanghere di aridità creativa, dove le parole non arrivano? Come ne esce? Ci sono delle strategie o è meglio attendere che la parola torni?
«Volevo dire che nel personaggio non c’è nulla di autobiografico. Poi, sì, ho avuto dei momenti di aridità creativa, ma non sono durati a lungo. E, in fondo, sapevo che prima o poi avrei ripreso a scrivere».

Le capita di più quando scrive poesia o prosa?
«Mi capita quando leggo il libro di uno molto più bravo di me. E succede spesso…».

La scrittura teatrale è un modo per portare linfa e ossigeno a quella in prosa?
«Per me scrittura prosastica e scrittura teatrale sono la stessa cosa, se proprio devo cercare una differenza è questa: il teatro è meno solitario».

Il poeta viene definito come un vecchio brontolone, lontano da una leggerezza dell’esistenza incarnata dalla merla, più spensierata e aperta alla gioia: come si sviluppa questo incontro? Cosa impara il poeta dalla merla e cosa la merla dal poeta?
«Imparano un sacco di cose, come succede spesso quando ci si innamora o quando nasce un’amicizia».

Come mai la società è così poco attenta alla poesia? Quali potrebbero essere le strategie (a suo avviso) per avvicinare i lettori ai versi?
«I reading sono un ottimo modo di far conoscere i poeti e ovviamente, un insegnante appassionato può fare molto nella scuola».

Veniamo all’ironia, uno dei punti forti della sua scrittura: ha qualche affinità con la poesia? Quale?
«Tutte e due non cercano verità assolute, ma strade nuove, possibilità, dubbi».

In questo spettacolo lei balla e recita: quanto conta divertirsi in scena?
«Alla mia età, è assolutamente necessario, se mi annoiassi il pubblico se ne accorgerebbe subito e sarebbe un disastro».

In questo articolo: