Studenti in fuga da latino e greco

Gli studi classici non godono di buona salute da molto tempo. Se già qualche secolo addietro don Abbondio si chiedeva chi fosse Carneade, un motivo doveva pur esserci. Vero è che il fondatore della Nuova Accademia di Atene, grazie alla citazione manzoniana, ha comunque superato le barriere dell’oblio. Ma altri non ce l’hanno fatta. Né, probabilmente, ci riusciranno mai in futuro. Visto anche il crescente disinteresse dei più giovani verso il mondo antico; disinteresse testimoniato dalla sorte incerta del latino e del greco nelle aule scolastiche.
Il problema attraversa molti Paesi e non risparmia il Ticino, nelle cui scuole i numeri cominciano a farsi in qualche caso preoccupanti
A Bellinzona, nelle Medie 2 di via Al Maglio, nessun alunno di IV a settembre studierà latino. Dei 10 allievi di III che fino a poche settimane si districavano tra desinenze e declinazioni, soltanto una aveva scelto di continuare. Così la direzione ha chiamato i genitori dicendo loro che la figlia, se avesse voluto insistere con Cicerone, avrebbe dovuto frequentare le quattro ore del corso nelle Medie 1 di via Lavizzari. Risultato finale: la ragazza ha rinunciato.
Indirizzo a rischio
Al Liceo di Mendrisio, la situazione potrebbe essere addirittura peggiore. E sfociare nella decisione di non avere più, in prospettiva, l’indirizzo classico. Per l’imminente anno scolastico, infatti, gli iscritti a latino sono 7, quelli a greco addirittura 3. Numeri insufficienti: per istituire una classe servono almeno 5 studenti per il greco e 8 per il latino.
Daniele Sartori, capo della sezione insegnamento superiore del DECS, conferma al CdT le difficoltà: «Non abbiamo ancora i dati definitivi - dice - ma la diminuzione degli studenti di latino e greco non è una novità, siamo sempre al limite con i numeri». L’attenzione e la «sensibilità ci sono - aggiunge Sartori - quest’anno abbiamo ad esempio modificato le griglie orarie senza toccare il latino e il greco, proprio per non alterare un equilibrio instabile»; ma i risultati rimangono insoddisfacenti.
Il dirigente del DECS incontrerà nei prossimi giorni gli insegnanti e i direttori: «Affronteremo la questione», ribadisce. Ammettendo tuttavia come, studenti e famiglie non considerino più il «valore formativo delle lingue antiche al pari di quelle moderne».
L’analisi dei numeri
Analizzando le cifre, emergono due questioni principali: il calo costante (ma non drammatico) degli alunni ticinesi interessati a studiare le lingue antiche; e il brusco salto nel passaggio tra la III e la IV media e, soprattutto, tra il ciclo di studi inferiori e quello superiore. Nel 2018, gli iscritti a latino nel biennio delle Medie erano 1.165. Oggi sono 1.017, come conferma al CdT Tiziana Zaninelli, capo sezione insegnamento medio del DECS: «Gli alunni di III che hanno scelto il latino sono 634, quelli di IV invece 383. Come Dipartimento abbiamo fortemente difeso la presenza del latino nelle Medie, tanto è vero che in tutte le 36 sedi ci sono classi in cui si studia la lingua antica. Il caso della IV di Bellinzona 2 è un’eccezione. Non si può negare che le lettere classiche interessino meno di un tempo - dice ancora Zaninelli - ma i nostri progetti interdisciplinari hanno comunque garantito sinora una continuità importante».
Di «caso anomalo e isolato», a proposito del plesso bellinzonese, parla anche Massimo Lolli, docente liceale ed esperto di latino per le Medie del Sopraceneri. Lolli non nasconde il problema del «calo oggettivo degli studenti di latino dalla III alla IV media, dovuto anche alla collocazione oraria non attrattiva della materia, con due ore fuori griglia e un’ora fuori dalle lezioni».
E tuttavia, spiega al CdT, «noi facciamo molto per mantenere elevata l’attrattività del latino, spiegando ai ragazzi quanto lo stesso aiuti a sviluppare le capacità logiche e a migliorare il proprio italiano».
E allora, perché questo continuo dimagrimento delle iscrizioni? E come reagire?
«Personalmente riconosco alcune cause - dice ancora Lolli - Molte famiglie, innanzitutto, pensano che un approccio scientifico alla formazione dei figli possa garantire maggiori successi. Persiste, purtroppo, la vecchia dicotomia tra lettere e scienze, ma chi studia latino e greco non si chiude alle spalle alcuna porta della futura scelta universitaria. C’è poi una tendenza, chiara, al minore sforzo. La nostra è una società che privilegia il “tutto, subito e in fretta”, e le lingue antiche sono materie che richiedono grande impegno».
Insomma: fattori sociali, pregiudizi duri a morire, paura di dover impegnarsi troppo. I fattori del progressivo disamoramento dalle lingue antiche sono molti. E non tutti semplici da risolvere. «La nostra scuola forma giovani che vogliono poter imparare ad ampio raggio - sottolinea ancora Lolli - e non rinunciare a qualcosa che giudicano più importante di altro. Gli studi classici sono ricompresi nel grande contenitore delle “Lingue”. Così, se si decide di studiare greco, spesso si è “costretti” ad abbandonare l’inglese. Anche per questo è importante la scelta fatta dal DECS di organizzare corsi extracurriculari in tal senso».
«L’errore è stato misurare la cultura con la sua utilità»

Giancarlo Reggi è in pensione da qualche anno, ma tra gli studenti (soprattutto quelli luganesi) che hanno scelto il latino e il greco nel proprio percorso scolastico resta un punto di riferimento. Uno di quegli insegnanti difficili da dimenticare. Anche, sussurra qualcuno, per una certa severità che lo distingueva.
A proposito del costante calo di interesse per le lingue antiche, Reggi sottolinea la necessità di «prendere atto del mondo che cambia. I ragazzi del 2013 - dice al CdT - non sono gli stessi del 2003 e men che meno quelli del 1993. Sono cresciuti in condizioni diverse. Questo, però, non significa rassegnarsi all’inevitabile. Qualcosa si può fare, sempre».
Ad esempio, «preparare bene gli insegnanti dal punto di vista scientifico-culturale, fare in modo che si innamorino della materia e trasmettano questo amore agli allievi. Una mano potrebbe arrivare anche dall’USI: se avessimo una vera facoltà di Lettere, con cattedre di latino e di greco, sicuramente le cose sarebbero diverse. Una speranza, in questo senso, si era aperta quando Carlo Ossola dirigeva l’Istituto di Studi Italiani, ma mi pare che l’idea sia tramontata».
Sulle cause del progressivo allontanamento dalle lingue antiche, Reggi non dà risposte definitive. «Non credo che il problema sia l’ipertecnologismo della società attuale, dato che anche i docenti usano i nuovi media con grande vantaggio per la didattica. L’anglicizzazione pervasiva, certo, non aiuta, ma non so se esista un rapporto diretto tra la sempre maggiore diffusione dell’inglese e l’affievolirsi dell’interesse verso il latino e il greco. La causa principale, secondo me, è forse un’altra, ed è collegata alla stessa logica con cui si fanno i ranking delle università: ormai si tende a misurare il sapere sulla sua immediata spendibilità. La cultura, in senso più ampio, non è più valutata come invece si dovrebbe».
Ma il latino, conclude Reggi, «è di immediata utilità per affinare, e molto, la padronanza dell’italiano. Per noi italofoni dimenticarlo è un grave errore, pure se sembra che questo accada in modo inesorabile».