Il caso

Sulla nomina del vescovo di Lugano il Governo decide di non decidere

Nella sua ultima seduta il Consiglio di Stato ha scelto di «astenersi» dalla questione di cui è stato investito e ha ribadito la necessaria neutralità da tenere nel rapporto tra politica e Chiesa – I partiti di maggioranza non intendono regalare alla Lega una carta elettoralmente forte
© Ti-Press/Pablo Gianinazzi
Dario Campione
12.06.2023 06:00

Sulla questione, diventata a quanto sembra politicamente molto spinosa, dei criteri di scelta del futuro vescovo di Lugano, il Consiglio di Stato decide di non decidere. Si potrebbe dire che, evangelicamente, se ne lava le mani. Mettendo nero su bianco la propria «incompetenza». Anzi, più chiaramente, «la ferma convinzione» di dover «astenersi» non solo «dall’interferire nella nomina del vescovo, ma anche dall’intervenire sulle regole per la nomina».

La vicenda di cui stiamo parlando è nota, e ha preso le mosse da una raccolta di firme avviata mesi fa da un gruppo di fedeli ticinesi con l’obiettivo di modificare la convenzione siglata tra il Consiglio federale e la Santa Sede il 24 luglio 1968 nel passaggio (articolo 1, punto 3) in cui si stabilisce che il titolare della diocesi della Svizzera italiana è «choisi parmi les prêtres ressortissants tessinois», ovvero «scelto tra i sacerdoti cittadini ticinesi».

La posizione di Cassis

Dopo le dimissioni di monsignor Valerio Lazzeri e la nomina di monsignor Alain de Raemy ad amministratore apostolico, si è aperta nel popolo cattolico ticinese una grossa discussione sui limiti di questa regola, scritta in un tempo in cui la Chiesa e il Paese erano ovviamente molto diversi. Molte sono state le voci a favore e contro, e oltre 2.300 le persone che hanno sottoscritto l’appello del comitato promotore per la revisione della convenzione.

Alla fine dello scorso mese di aprile, in occasione della inaugurazione della nuova sede dell’ambasciata elvetica presso la Santa Sede, sulla questione era intervenuto il ministro degli Esteri Ignazio Cassis: «C’è una richiesta fatta alla Confederazione da un certo numero di cittadini, e noi chiediamo al Governo ticinese la sua posizione, dato che in Svizzera i rapporti tra Chiesa e Stato competono ai Cantoni. E poi, in base alla posizione del Canton Ticino, la Confederazione farà le procedure necessarie con il Vaticano», era stata la considerazione conclusiva del consigliere federale.

Investito direttamente della vicenda, il Governo ticinese si è preso più di un mese per dare la sua risposta. Che, come detto, appare piuttosto come una non decisione. Giunta, secondo quanto confermato al Corriere del Ticino da fonti vicine a Palazzo delle Orsoline, nell’ultima riunione di metà settimana scorsa.

Le tesi del Governo

La sintesi del ragionamento fatto a Bellinzona è chiara: «Il Consiglio di Stato, nel rispetto della Costituzione cantonale e degli accordi conclusi, si è sempre astenuto dall’influenzare in modo diretto o indiretto la nomina del vescovo di Lugano». Lo ha sempre fatto in passato e continuerà a farlo anche in futuro. 

Se «l’articolo 72.1 della Costituzione federale lascia» infatti  «ai Cantoni la competenza del disciplinamento dei rapporti tra Chiesa e Stato - dice il Governo - l’articolo 24.1 della Costituzione ticinese stabilisce che la Chiesa cattolica apostolica romana ha la personalità di diritto pubblico e si organizza liberamente. Il concetto di libera organizzazione della norma costituzionale cantonale consiste nella competenza esclusiva della Chiesa cattolica di stabilire la propria organizzazione, attenuata solo dalla forma democratica e dal rispetto della Costituzione. La facoltà di organizzarsi liberamente include», quindi, la possibilità per la stessa Chiesa «di stabilire le norme per la nomina del vescovo di Lugano». Ne consegue, a detta del Consiglio di Stato, la necessità per la politica cantonale di «astenersi dall’esercitare un’influenza nella nomina del vescovo o dal promuovere la modificazione di norme che necessitano del suo intervento, senza che vi sia una volontà chiara espressa dalle istituzioni della diocesi».

Per dare forza alla propria scelta, il Consiglio di Stato ripesca dai cassetti della storia il messaggio del 20 marzo 1969 relativo proprio alla «approvazione della convenzione del 24 luglio 1968 tra il Consiglio federale svizzero e la Santa Sede»; un messaggio in cui il Governo di allora «aveva evidenziato» come «la conferma dei criteri di nomina del vescovo corrispondesse alla volontà di tutte le parti contraenti e rispettasse il diritto canonico».

In quell’atto, stilato 53 anni fa, il Consiglio di Stato faceva sue le determinazioni del Concilio Vaticano II sul fatto che «il diritto di nominare e costituire i vescovi fosse proprio, peculiare e per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica». E ribadiva come il potere civile dovesse «rinunciare spontaneamente ai privilegi e agli interventi speciali in proposito».

La reazione dei promotori

«La prima cosa che direi è che siamo profondamente rispettosi delle decisioni del Consiglio di Stato ma, nello stesso tempo, sconcertati dal fatto che il Governo non abbia preso alcuna decisione - dice al CdT Luigi Maffezzoli, uno dei promotori dell’appello per la modifica della convenzione del 1968 - Di fronte a una richiesta popolare, e nonostante vi fosse una chiara sollecitazione da parte dell’autorità federale, il Governo non ha voluto assumersi alcuna responsabilità». Maffezzoli non intende commentare «la questione politica», la cui lettura appare in ogni caso evidente. Il riferimento è chiaramente rivolto alle dichiarazioni fortemente contrarie alla modifica della convenzione lanciate a più riprese dal consigliere di Stato Norman Gobbi. Un altolà che sicuramente ha condizionato i partiti di Governo, per nulla intenzionati a lasciare nelle mani della Lega la carta elettorale della battaglia per il vescovo ticinese. 

Ma se lascia ad altri il terreno della pura polemica politica, Luigi Maffezzoli non rinuncia a una seconda sottolineatura: «C’è - dice - una sorta di rimpallo delle responsabilità» che appare privo di senso. Il Governo, infatti, ha «rimandato una decisione che doveva essere dell’autorità civile alla diocesi di Lugano, ben sapendo che l’istanza superiore non è assolutamente la stessa diocesi, la quale non ha alcun potere in materia, ma la Santa Sede tramite la nunziatura apostolica di Berna».

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