Stati

Sulle entrate dalle lobby le bocche restano cucite

I «senatori» non intendono rivelare quanto percepiscono dalle attività accessorie – Respinta di misura una mozione di Lisa Mazzone: le regole attuali sono sufficienti – Fabio Regazzi: «L’indipendenza non è certo pregiudicata dall’ammontare dei mandati»
©ALESSANDRO DELLA VALLE
Luca Faranda
28.05.2024 22:30

«Sono 10 mila franchi all’anno, per cinque o sei sedute». Poi, la polemica. È quanto accaduto, nel 2018, al consigliere nazionale Philippe Nantermod (PLR/VS), che durate un dibattito televisivo alla trasmissione «Infrarouge» della RTS era finito nella bufera. Il motivo? L’importo che avrebbe percepito dal «Gruppo di riflessione» del Gruppo Mutuel. «Politici provenienti da vari partiti incontrano rappresentanti del Groupe Mutuel con lo scopo di trovare vie per migliorare il sistema sanitario svizzero», si legge oggi sul sito web dell’assicurazione malattia.

Nantermod, incalzato dal socialista vodese Pierre-Yves Maillard (oggi consigliere agli Stati), aveva reso noto l’ammontare della retribuzione in diretta tv. Pochi giorni più tardi, il consigliere nazionale liberale-radicale aveva poi deciso di fare un passo indietro, scusandosi pubblicamente e lasciando il gruppo di riflessione ancor prima di iniziare. Il caso, soprattutto nella Svizzera romanda, aveva fatto un certo clamore.

Oggi, le cose sono cambiate: «L’indennizzo volontario dei membri ammonta al massimo a 4 mila franchi l’altro», spiega il Groupe Mutuel, aggiungendo che il gruppo (che conta una decina di deputati) si riunisce in genere quattro volte l’anno.

Ma i parlamentari, quanto guadagnano da queste «relazioni d’interesse» o dalle attività accessorie? Oggi non è possibile saperlo. I deputati sono però tenuti a indicare sul sito del Parlamento quali mandati sono remunerati e quali svolti a titolo gratuito. Non devono tuttavia indicare l’ammontare degli importi percepiti dalle attività accessorie. E le cose non sono destinate a cambiare.

La proposta di Mazzone

Oggi il Consiglio degli Stati ha respinto (per 22 voti contro 18) un’iniziativa parlamentare dell’ormai ex «senatrice» ginevrina Lisa Mazzone, oggi presidente dei Verdi. L’ecologista, per aumentare il livello di fiducia nel Parlamento, chiedeva di obbligare i deputati a indicare «in che categoria di reddito rientrano le retribuzioni percepite in relazione alle loro attività accessorie» e la data di inizio dell’attività in questione. Mazzone proponeva sei «intervalli»: da 0 a 6.000 franchi, da 6 a 12 mila; da 12 a 20 mila, da 20 a 50 mila; da 50 a 100 mila; da 100 a 200 mila e infine «più di 200 mila franchi» (escluse le indennità per il rimborso delle spese ed escluse anche le entrate dall’attività professionale principale). Nulla da fare.

A spuntarla, seppur di pochi voti, sono stati i contrari alla proposta. «Le norme sulla trasparenza attualmente in vigore sono sufficienti. Ma pretendere di rendere pubblici i dati sulle remunerazioni soddisfa solo la curiosità, a volte un po’ morbosa, del pubblico e dei media», spiega dal canto suo il «senatore» ticinese Fabio Regazzi (Centro). «È il principio che a mio avviso è problematico: si tratta di una questione privata. Per quanto mi riguarda, l’indipendenza non è certo pregiudicata dall’ammontare dei mandati».

Le lobby e le relazioni di interesse, vale la pena ricordarlo, fanno parte del sistema politico svizzero e sono necessarie affinché i bisogni dell’economia e della società vengano portati all’attenzione della politica. In un Parlamento semi-professionale, è nella natura delle cose che i deputati esercitino un’attività accanto al loro mandato parlamentare e che abbiano le cosiddette «relazioni d’interesse»: difendono ad esempio gli interessi dell’agricoltura, della protezione dell’ambiente oppure della sanità. Quando si discute una modifica di legge alle Camere, i deputati devono tenere conto anche delle opinioni e degli interessi di quasi duemila aziende e organizzazioni.