Super-droni per cercare i dispersi del Nanga Parbat

ISLAMABAD (aggiornata alle 9.30) - Ora sono affidate ai droni le speranze di ritrovare l’alpinista italiano Daniele Nardi e quello britannico Tom Ballard sul Nanga Parbat, con la sua vetta a 8’126 metri sul livello del mare la nona montagna più alta della terra situata in Pakistan . La spedizione russa che dal campo base del K2 si era detta disponibile a mettersi sulle tracce dei due alpinisti, dispersi da domenica, ha rinunciato a causa del forte rischio valanghe. Adesso scatterà il piano B dell’alpinista basco Alex Txikon che ha messo a disposizione i suoi tre super-droni dotati di una particolare potenza per il volo in quota che dovrebbero poter sorvolare la zona dello Sperone Mummery, a oltre 6.000 metri di altitudine, dove si presume possano trovarsi Nardi e Ballard.
Il nuovo piano - secondo quanto riferisce lo staff di Nardi sulla pagina Facebook dell’alpinista - prevede di prelevare Alex Txikon con tre suoi collaboratori, tra cui un medico, dal campo base del K2 per trasportarli al campo base del Nanga Parbat e successivamente in una posizione più vicina alla parete Diamir. Da lì Txikon potrebbe attivare i suoi tre droni perlustrando tutta la zona dello Sperone Mummery, fino al plateau sovrastante e lungo tutte le vie che teoricamente possono aver percorso Daniele Nardi e Tom Ballard. Per poter attuare questa operazione occorrono le autorizzazioni al volo, considerato che lo spazio aereo pachistano è ancora chiuso a causa delle tensioni tra Pakistan e India.
Il giorno dell’ultimo contatto
È da domenica scorsa si sono persi i contatti con l’alpinista italiano Daniele Nardi e quello britannico Tom Ballard, impegnati in un’ascensione invernale lungo lo sperone Mummery, su una via mai percorsa. L’ultimo contatto con loto risale alla scorsa domenica, quando Nardi ha chiamato la moglie da circa 6.000 metri di quota, al campo 4. Secondo lo staff della spedizione l’assenza di comunicazione da parte degli alpinisti potrebbe essere provocata dal maltempo oppure dalle batterie del telefono, ma intanto è stato questo l’ultimo messaggio telefonico scambiato da Nardi con la moglie: «Siamo a circa 6.300 metri forse anche qualcosa in più, siamo saliti lungo un camino diverso. Siamo saliti leggeri ma ora scendiamo in fretta a C4, il meteo non è buono, nebbia, nevischio e raffiche di vento come ieri». Nella mattinata odierna - mercoledì - si è poi appreso che a causa delle tensioni tra India e Pakistan (vedi anche i suggeriti) nelle zone di confine, l’elicottero incaricato di avviare le ricerche di Daniele Nardi e Tom Ballard è bloccato a Skardu, a poca distanza dal campo base. Ad annnunciarlo è stato lo staff di Nardi che sta cercando di trovare una rapida soluzione per consentire all’elicottero di sorvolare la montagna alla ricerca dei due alpinisti.

La montagna assassina
Il Nanga Parbat, che si trova in territorio pachistano, è il secondo ottomila dopo l’Annapurna per indice di mortalità, ossia per il rapporto tra il numero delle vittime e quello degli scalatori giunti in vetta, con un valore che si aggira intorno al 28%. Quindi, è anche soprannominato anche «The killer mountain», la montagna assassina. Pur essendo molto più vicino agli ottomila del Karakorum di quanto lo sia rispetto a quelli dell’Himalaya propriamente detto, non vi fa parte per il fatto di trovarsi sul lato sud della valle dell’Indo, così che viene considerato come l’unico ottomila del Kashmir.
La tragica avventura dei fratelli Messner
Una spedizione al Nanga Parbat passata alla storia è quella tragica vissuta nel 1970 dai fratelli altoatesini Reinhold e Günther Messner, il primo diventato poi il primo uomo ad aver scalato tutti gli 8.000 della Terra. L’obiettivo era quello di aprire la prima via sulla parete Rupal con metodo classico (attacco prolungato, posa di corde fisse) ma senza ossigeno. Il piano originale prevedeva che l’attacco finale alla vetta venisse lanciato dal solo Reinhold Messner che venne però raggiunto lungo il percorso da Günther. I due fratelli proseguirono insieme e raggiunsero la vetta il 27 giugno del 1970, portando a compimento la terza ascensione assoluta al Nanga Parbat. Günther fu molto provato e incominciò a soffrire di allucinazioni a causa del freddo e della stanchezza. I fratelli Messner, inoltre, avevano esaurito le scorte di acqua e cibo e decisero quindi di scendere per il versante Diamir, considerando questa via più facile rispetto alla parete Rupal. Durante la discesa Günther venne travolto da una valanga e scomparve, mentre Reinhold sopravvisse quasi miracolosamente al rientro dalla cima.
Le polemiche e il ritrovamento
Reinhold Messner allora cercò invano il fratello per tre giorni, riportando numerosi congelamenti in seguito ai quali gli furono amputate le dita dei piedi. A fatica scese a valle, dove venne salvato dagli abitanti del luogo. In modo fortuito incrociò poi i componenti della sua spedizione che nel frattempo avevano smantellato il campo base ritenendo morti i due fratelli altoatesini, fra l’altro senza aver effettuato alcun tentativo di ricerca o di soccorso. Successivamente Reinhold venne accusato di aver causato la morte del fratello sacrificandolo per la propria ambizione. In particolare, il medico e alpinista tedesco Karl Maria Herrligkoffer sostenne che Reinhold aveva abbandonato Günther - ormai allo stremo delle forze e in condizioni di salute precarie - sulla parete Rupal, per poter raggiungere comunque la vetta. Max von Kienlin e Hans Saler, gli altri partecipanti alla fatale spedizione del 1970, da parte loro pubblicarono un libro in sostennero che Reinhold avesse fatto scendere il fratello dalla parete Rupal, riservandosi per sé la discesa dal versante Diamir e diventare così il primo alpinista a scendere in solitaria per quel versante attraversando il Nanga Parbat.
In ogni caso, Reinhold Messner fu molto sconvolto dall’accaduto e nel 1971 organizzò una spedizione per andare a cercare i resti del fratello, che però non riuscì a ritrovare. Nel 2000, alla base della parete Diamir, è stato però ritrovato un osso umano, che successive analisi del DNA hanno dimostrato appartenere a Günther. Il corpo di Günther Messner è stato infine ritrovato dalla popolazione locale nel 2005, sulla parete Diamir, a 4.600 metri di quota. La posizione del corpo confermava il racconto di Reinhold sulla morte del fratello. Reinhold, recatosi sul posto, riconobbe il corpo dai capelli e dall’abbigliamento. I resti furono bruciati, secondo l’uso tibetano, ma Reinhold riuscì a far uscire dal Pakistan uno scarpone contenente alcune ossa, nascosto in uno zaino. E l’analisi del DNA su questi confermò appunto appartenevano a Günther.
