Statistica

Svizzera, disoccupazione ai minimi da vent'anni

La ripresa postpandemica spinge il mercato del lavoro: nel 2022 il tasso medio è stato del 2,2% – Baruffini: «In Ticino siamo tornati sotto i livelli del 2018 e del 2019» – Gehri: «Manca il personale qualificato»
© CdT/Chiara Zocchetti
Roberto Giannetti
09.01.2023 22:15

Le incertezze economiche sono numerose, ma l’economia svizzera riesce a superare bene queste difficoltà, e il mercato del lavoro è in ottima salute. È quanto emerso ieri dalla pubblicazione dei dati sulla disoccupazione nel mese di dicembre. Innanzitutto, la buona notizia è che lo scorso anno il tasso di disoccupazione medio è stato del 2,2%, ciò che corrisponde a una diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto al 2021 (3,0%). Non era mai stato tanto basso da 20 anni. Inoltre, in Ticino il tasso medio di disoccuazione nel 2022 è stato del 2,6%, meno della media del 2018 e del 2019, ossia del periodo prepandemia. Comunque, tornado ai dati di dicembre, alla fine del mese in Svizzera il tasso di senza lavoro si è attestato al 2,1%, in progressione di 0,1 punti percentuali rispetto a novembre. Rispetto al dodicesimo mese del 2021, si registra però una netta diminuzione di 0,5 punti percentuali, indica la Segreteria di Stato dell’economia (SECO).

Nel cantone tasso al 2,8%

In Ticino in dicembre il tasso di disoccupazione si è attestato al 2,8%, un dato invariato rispetto a novembre e in calo di 0,4 punti percentuali rispetto a 12 mesi prima. Per quel che riguarda la media annua, si è passati dal 3,2% del 2021 al 2,6% del 2022. Nel canton Grigioni, in dicembre la disoccupazione si è fermata all’1,1%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,3 punti su base annua. La media per il 2022 è stata dell’1,0% (1,6% nel 2021). A livello nazionale, a fine dicembre il numero di disoccupati era di 96.941, un dato inferiore di 24.787 o del 20,4% rispetto a dicembre 2021. Come considerare questi dati? «Si tratta assolutamente di una tendenza positiva - spiega il ricercatore IRE Moreno Baruffini - perché il dato è sceso sotto il valore di prima della crisi del COVID. Infatti nel 2022 abbiamo registrato un tasso medio annuo del 2,6%, più basso del tasso medio del 2019, che era stato del 2,8%, e anche del 2018, che era stato del 2,9%. E per una volta, il discorso è simile sia per il Ticino, sia per la Svizzera, anche se il nostro cantone ha le sue particolarità». «Addirittura - continua - le aziende segnalano una mancanza di manodopera. A mio avviso, questo continuo aumento del numero dei posti vacanti si spiega in due modi. Da un lato gioca il cambiamento demografico, e quindi il fatto che ci sono più persone che vanno in pensione rispetto a quelle che entrano sul mercato del lavoro. Dall’altro gioca la questione della "polarizzazione" del mercato del lavoro, il quale crea posti di lavoro o di alta o di bassa qualifica, e quindi chi ha una qualifica media fa fatica a ricollocarsi, ed è per quello che la disoccupazione scende ma non va a zero». 

Molti posti vacanti

«Questo - precisa - è dimostrato dai dati. I disoccupati a fine mese in Ticino erano 4.657, contro 1.005 posti liberi (quelli annunciati secondo la legge). Questo significa che si potrebbero assorbire ancora un quarto dei disoccupati con i posti vacanti. Ma c’è una frizione dovuta al turnover, ossia al fatto che ogni mese vengono creati nuovi posti di lavoro che devono essere occupati. Per questo dico sempre che la disoccupazione è un dato dinamico. Infatti nel mese di dicembre sono entrate nella statistica 1253 persone, e ne sono uscite 1135. Il dato totale è leggermente aumentato per motivi stagionali. Però sullo stock totale c’è una rotazione pari al 25%, che rappresenta la percentuale dei disoccupati che cambia ogni mese. Insomma, non è così "banale" riempire i posti vacanti con i disoccupati esistenti». 

Disoccupazione giovanile

«Infine, un dato importante - sottolinea - è quello della disoccupazione giovanile, che è sceso parecchio. Infatti, il valore di dicembre, che in genere è il valore più alto dell’anno, è al 4,3%. E questo rappresenta uno dei valori più bassi degli ultimi anni». Se da un lato questo presenta dei vantaggi per il lavoratori, che trovano più facilmente un impiego, per le imprese invece ci sono difficoltà a reperire il personale necessario. «Questa è una difficoltà reale - afferma Andrea Gehri, presidente della Camera di commercio del Canton Ticino -. Infatti le aziende fanno fatica a reperire soprattutto personale qualificato sul territorio. Questo può avere più motivazioni: sicuramente da una parte vi sono le conseguenze della pandemia che ha modificato alcuni equilibri in settori dove le chisure sono state lunghe e dolorose, inoltre in questi anni iniziamo a percepire gli effetti della decrescita demografica che non permette di sostituire le persone che vanno in pensione. Inoltre, bisogna sottolineare che l’economia sta vivendo un buon momento, e quindi le aziende assumono per soddisfare le richieste dei loro clienti». 

Frontalieri utili

«È vero - precisa - che il bacino dei frontalieri sopperisce in parte a questa mancanza di manodopera, e questo soprattutto in alcuni settori storicamente a forte dipendenza. Ma non tutti i cantoni sono di frontiera e hanno le medesime opportunità di poter avvalersi di personale frontaliero. Ce ne sono alcuni, in particolare nella Svizzera centrale o discosti dalle regioni di frontiera, che devono cercare la manodopera più distante e devono confrontarsi con tutti i problemi legati alle concessioni dei permessi». Ma come spiegare questa ottima salute del mercato del lavoro malgrado i problemi e le incertezze che stiamo vivendo? «Direi - sottolinea Andrea Gehri_- che la ripresa postspandemica è una realtà. È chiaro che le incertezze potranno modificare questa tendenza in futuro, soprattutto se i conflitto in Ucarina non dovesse trovare una conclusione. Ma è un’ulteriore conferma che dimostra come l’economia svizzera abbia saputo reagire alle difficoltà che ha incontrato: prima alla pandemia, e poi all’aumento dei costi delle materie prime, dei costi energetici, e quindi dell’inflazione. Tutto questo significa che l’economia svizzera ha un alto grado di resistenza, soprattutto grazie all’innovazione e al costante sviluppo di valore aggiunto, grazie ai quali ha saputo resistere in questa situazione difficile».