L'analisi

Svizzera, un quadro di tenuta nonostante le tensioni mondiali

Acque agitate a livello internazionale, ma la Confederazione nel complesso è riuscita a navigare e ha evitato la recessione – Le previsioni indicano per il 2023 ancora una crescita annua, seppure rallentata, con un incremento solo lieve della disoccupazione
© CdT/Gabriele Putzu
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
05.03.2023 20:45

I dati resi noti nei giorni scorsi dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) hanno confermato che in Svizzera nel 2022 non c’è stata recessione. Quanto alle previsioni per il 2023 e il 2024, vedremo nei prossimi giorni gli aggiornamenti che la stessa SECO fornirà. Nell’attesa, vale la pena di ricordare che quest’ultima nel dicembre scorso aveva indicato un proseguimento del rallentamento economico per quest’anno, legato al complicato contesto internazionale, e una parziale risalita l’anno prossimo. In entrambi i casi quindi ancora crescita economica, seppur rallentata, senza recessione annua. La Svizzera ha dunque sin qui mostrato nuovamente la sua capacità di fondo di tenuta economica.

I dati

Vediamo situazione e prospettive, prendendo i dati SECO nella versione corretta dagli eventi sportivi (la Svizzera è sede di organizzazioni internazionali che curano manifestazioni sportive di rilievo, anche dal punto di vista economico). Il fatto che nel quarto trimestre del 2022 ci sia stata una crescita economica zero rispetto ai tre mesi precedenti va registrato, ma va anche valutato con equilibrio. Anzitutto lo zero è come detto su base trimestrale, mentre c’è uno 0,7% in rapporto a un anno prima. Poi, la crescita per l’intero 2022 è del 2,1%, percentuale ragionevole considerando il contesto mondiale e leggermente sopra le previsioni del dicembre scorso (2%).  Nel complesso non c’è stata né una recessione tecnica (data da due trimestri consecutivi con il segno negativo), né appunto una recessione annua.

La crescita sopra la media del 2021 (3,9%) non era replicabile, in quanto frutto del forte rimbalzo economico internazionale legato all’uscita dalla pandemia dopo la caduta economica a questa collegata. Ma una buona tenuta elvetica c’è stata anche nel 2022, anno segnato in ampia misura dalla guerra in Ucraina causata dall’invasione russa e dal perdurare di marcate tensioni geopolitiche tra Occidente e Cina. Le previsioni di dicembre della SECO indicano una crescita svizzera dell’1% nel 2023 e dell’1,6% nel 2024. Vedremo presto se la Segreteria di Stato dell’economia confermerà o meno il probabile segno positivo, seppur non grande, per quest’anno e per il prossimo. Nei giorni scorsi gli economisti di Credit Suisse hanno indicato 1% per il 2023 e quelli di UBS 0,8% per il 2023 e 1,3% per il 2024.

L’inflazione

È utile vedere il quadro svizzero anche in due importanti capitoli specifici, l’inflazione e la disoccupazione. Sul versante dell’inflazione, o rincaro, la Svizzera ha chiuso il 2022 con una percentuale annua del 2,8%; si tratta di un dato chiaramente al di sopra della media elvetica (nel 2021 c’era stato uno 0,6%), ma che resta decisamente al di sotto delle percentuali delle maggiori aree economiche. Pur subendo per la sua parte l’onda internazionale di rincari, la Confederazione si sta confermando Paese a inflazione contenuta, nonostante i rimbalzi mensili talvolta registrati (come il 3,3% di gennaio). Tra gli elementi che consentono alla Svizzera di frenare l’inflazione c’è la forza del franco, una valuta robusta rende infatti meno care le importazioni. Le previsioni di dicembre della Segreteria di Stato dell’economia indicano un rincaro annuo elvetico del 2,2% nel 2023 e dell’1,5% nel 2024. Gli economisti di UBS nei giorni scorsi hanno fornito queste previsioni in tema di rincaro: 2,1% quest’anno e 1,3% l’anno prossimo.  

Quanto al mercato del lavoro, secondo la SECO la disoccupazione nazionale annua è scesa dal 3% del 2021 al 2,2% del 2022. In dicembre la Segreteria di Stato dell’economia ha fornito queste previsioni sulla disoccupazione: 2,3% quest’anno e 2,4% l’anno prossimo. Nei giorni passati UBS ha indicato ancora 2,2% per il 2023 e 2,5% per il 2024. Vale la pena di ricordare che anche l’Ufficio internazionale del lavoro (ILO, che utilizza criteri diversi da quelli della SECO) ha reso nota nella sua recente rilevazione trimestrale una diminuzione della disoccupazione in Svizzera: nel quarto trimestre del 2022 il tasso di senzalavoro per l’ILO era al 4,1%, contro il 4,3% del trimestre precedente e il 4,4% dello stesso trimestre del 2021.

Il lavoro

La riduzione della disoccupazione è una tendenza che ha toccato nel 2022 molte tra le economie principali, ma la Svizzera continua dal canto suo ad avere un tasso di disoccupazione che è tra i più bassi nel raffronto internazionale. I lievi aumenti dei senzalavoro previsti al momento per quest’anno e per il prossimo non fanno certo piacere ma, se questa sarà la dimensione degli incrementi, non cambierà nella sostanza il quadro di un mercato del lavoro elvetico che sta rimanendo, seguendo i dati complessivi, tra i più robusti.

Scambi globali, un vantaggio

«Il punto sulla globalizzazione e sulle vie di Svizzera e Italia», è questo il titolo dell’incontro organizzato nei giorni scorsi a Zurigo dall’Associazione svizzera per i rapporti economici e culturali con l’Italia (ASRI), in collaborazione con Amici del Liceo artistico (ALA). Un’occasione per dibattere sullo stato dell’arte per quel che riguarda gli scambi economici globali e sulla situazione e sulle prospettive di Svizzera e Italia all’interno di questi.

I numeri

Per il relatore Lino Terlizzi – collaboratore del Corriere del Ticino e de Il Sole 24 Ore, conduttore di Index a TeleTicino – esistono attualmente tre posizioni principali sulla globalizzazione economica: c’è chi sostiene che questo meccanismo si stia in sostanza fermando, sull’onda di forti tensioni geopolitiche e di marcati contrasti in campo economico; c’è chi ritiene che la globalizzazione non stia andando verso uno stop complessivo e che si vada piuttosto verso una riglobalizzazione, con meno accordi multilaterali e con più rafforzamento-chiusura delle singole grandi aree (tre soprattutto: Nord America, Europa, Cina e alleati); c’è infine che pensa che si stia semplicemente assistendo a una fase di oscillazioni nella globalizzazione e che questa, al di là degli alti e dei bassi, continuerà a camminare perché nel complesso ha più vantaggi che svantaggi. Secondo il relatore quest’ultima posizione è quella più realistica. Prendendo un termometro della globalizzazione come l’incidenza dell’export di merci e servizi sul PIL mondiale, si può vedere – con i dati della Banca mondiale - come la percentuale tra il 2015 e il 2021 sia rimasta comunque alta, con oscillazioni tra il 27% e il 29%, ad eccezione di una discesa al 26% nel 2020, causata dalla pandemia. Si resta dunque vicini al 30% e ciò suona come una conferma del fatto che – nonostante i conflitti economici e geopolitici, le guerre dei dazi e purtroppo anche le guerre vere e proprie – rimane una forte spinta di fondo, di lungo periodo, che supporta lo sviluppo degli scambi globali. In questo contesto, Svizzera e Italia hanno mantenuto una marcata propensione agli scambi e all’import-export. Se si guarda alle quote sulle esportazioni globali (relative a 163 Stati), si può vedere come i due Paesi ancora a fine 2020 avevano posizioni di rilievo nella classifica della Banca mondiale: dodicesima con il 2,6% un’Italia che ha un forte tessuto di imprese soprattutto di media dimensione, quindicesima con il 2,1% la piccola ma molto dinamica Svizzera. Percentuali queste che potrebbero apparire limitate ma che in realtà sono ragguardevoli, considerando l’enorme volume degli scambi mondiali e il fatto che la classifica dell’export è aperta da potenze economiche con queste quote: Cina 12,7%, USA 9,9%, Germania 7,8%, Giappone 3,6%. Sia la Svizzera sia l’Italia non possono contare su molte materie prime e hanno trasformato le necessità di fondo in vocazione agli scambi economici. Entrambi i Paesi sono stati e sono attori nella globalizzazione e continueranno a essere tali. La Svizzera, secondo l’indice elaborato dal KOF di Zurigo, a fine 2020 era il Paese con il maggior grado di globalizzazione a livello mondiale, pur avendo mantenuto pienamente la sua autonomia politica.

Il dibattito

Nel dibattito che ha caratterizzato l’incontro, con domande e interventi da parte del pubblico, sono emersi tra gli altri anche temi come la validità o meno delle sanzioni economiche occidentali attuate contro la Russia dopo che questa ha invaso l’Ucraina, e come il peso dei debiti pubblici sulla crescita economica internazionale. Sulle sanzioni resta per alcuni il dubbio che non colgano nel segno, ma rimane anche che non esistono alternative valide per i Paesi che vogliono opporsi all’invasione senza entrare in guerra e che la Russia un declino economico lo registra. Sulla necessità o meno di ridurre in modo consistente i debiti pubblici ci sono pareri diversi in campo sia politico sia economico, ma molti dati a livello globale indicano che i Paesi con indebitamento pubblico eccessivo e prolungato registrano un effetto di freno sui loro tassi di crescita economica.